LA MUSICA NELLA VITA MEDIEVALE
Il viaggio musicale nel passato
con
Ensemble Canavisium Moyen Age
di
Gloria Berloso
I trovatori
I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della Provenza, regione attualmente appartenente alla Francia. Successivamente, trobadori si possono ritrovare in Francia, Catalogna, Italia settentrionale, ma vengono a esser influenzate tutte le scuole letterarie d’Europa: la scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese. Fra i più noti si ricordano:
Bernard de Ventadorn e Jaufré Rudel
Ars antiqua
Con il termine Ars Antiqua (o Ars Vetus) è indicato quel periodo convenzionale della Storia della musica anteriore al XIV secolo nel corso del quale in Italia e in Francia venne gradatamente recepita la “riforma” compositiva e musicale, iniziata da Philippe de Vitry e da Marchetto da Padova, chiamata provocatoriamente Ars nova. Fra gli esponenti più rilevanti si citano:
- Adam de la Halle
- Francone da Colonia
- Petrus de CruceLa Scuola di Notre Dame o Scuola di Parigi fu una scuola musicale al servizio della cattedrale di Notre Dame di Parigi, nella quale tra il XII secolo e gli inizi del XIII, si sviluppò la polifonia. Gli unici esponenti a noi noti sono:
- Scuola di Notre Dame
- Leonin
- Perotin Ars Nova è la locuzione con cui si indicò nel XIV secolo un nuovo sistema di notazione ritmico-musicale in contrapposizione a quello dei secoli precedenti. L’Ars Nova si sviluppò quasi contemporaneamente in Francia e in Italia, all’inizio del XIV secolo. Nel 1377 l’Ars Nova francese e italiana si fusero: nella notazione di Marchetto da Padova, per esempio, si inseriscono le figure ritmiche di Vitry (come spiegato più avanti nel paragrafo Il cambiamento della notazione musicale), la ballata diventa a 2 voci e quasi sostituisce il madrigale.Ars nova francese
- Principali esponenti:
- L’Ars Nova
- Philippe de Vitry
- Guillaume de Machaut Ars nova italiana
- Marchetto da Padova
- Francesco Landini
- Jacopo da Bologna.
Note
Flauto di Pan: Il flauto di Pan o pipa di Pan, è un antico strumento musicale basato sul principio del tubo chiuso, costituito in genere da cinque o più tubi di lunghezza progressivamente crescente. Il flauto di Pan è stato a lungo conosciuto come uno strumento popolare, ed è considerato il primo organo a fiato, antenato dell’organo a canne e dell’armonica. Il flauto di Pan è chiamato per la sua associazione con il dio greco Pan. Le canne del flauto di Pan sono in genere a base di bambù o di canna da gigante; gli altri materiali usati sono legno, plastica e metallo. I tubi che lo compongono sono fermati ad una estremità, in cui l’onda si riflette in piedi dando una nota di una ottava più bassa di quella prodotta da un tubo aperto di uguale lunghezza. Il flauto di Pan è giocato soffiando orizzontalmente attraverso l’estremità aperta contro lo spigolo interno dei tubi. Ogni tubo è sintonizzato su una nota chiave, detta frequenza fondamentale.
Ghironda: Nella seconda metà del XVII secolo lo strumento appare nella corte francese nell’ambito della “moda” pastorale dell’aristocrazia di quegli anni; l’opera del liutaio Henri Bâton, che nei primi anni del secolo successivo sviluppa la ghironda nella sua forma “moderna”, permette inoltre l’inserimento della “vielle à roue” (il nome francese dello strumento) tra gli strumenti da musica da camera. Le ghironde create da Bâton, disponibili nelle forme a chitarra e a liuto, più curate nell’aspetto esteriore e dotate di un’intonazione più precisa, riscuotono largo successo soprattutto tra il pubblico femminile; in breve tempo lo strumento viene ammesso ai concerti e molti fabbricanti di strumenti cominciano a produrlo. Il gran numero di opere d’arte del periodo che raffigurano la ghironda e i molti componimenti eseguiti sono prova della popolarità dello strumento, che tuttavia non ottiene un posto “fisso” all’interno dell’orchestra d’opera; nella seconda metà del secolo, infatti, ritorna ad essere principalmente uno strumento folcloristico.
Virga: La virga (dal latino bastone) è un neuma elementare, insieme al punctum, utilizzato nel canto gregoriano. L’accento grave si è poi trasformato graficamente in un piccolo tratto orizzontale – più o meno ridotto ad un punto, l’accento acuto ha conservato il suo disegno e ha dato origine alla barra verticale della virga. La virga può apparire in due diversi contesti: come indicazione melodica o come indicazione ritmica. Sopra una sillaba isolata indica una altezza melodica, più alta della nota che la precede o che la segue. Questa indicazione, che era importante nella notazione corsiva, non è più significativa nella notazione diastematica sul tetragramma, dove l’altezza della nota è evidente. Logicamente non è più stata riscritta nelle notazioni “quadrate”, sia vaticane che di Solesme, ma è frequentemente presente nelle trascrizioni corsive del Graduale Triplex. All’inizio di un gruppo neumatico, la virga isolata gioca un ruolo ritmico importante per segnalare due attacchi consecutivi. In questa posizione (per esempio, qui, sulla prima parola dell’Alleluia Ostende nobis), è generalmente trascritta da una virga dall’edizione vaticana e questa virga è solitamente puntata nelle edizioni di Solesmes. È una nota importante che deve supportare l’attacco e forte tanto in intensità che in durata. La nota che la segue ugualmente una nota d’attacco, ma generalmente più breve. Al contrario, il tractulus ha un valore sillabico pieno (è la versione episemata del punctum), e ogni nota del movimento deve essere cantata nella sua individualità, perciò più lentamente. Le serie solitamente sono omogenee, ma talvolta si incontra delle discese miste dove il tractulus posto alla fine di un inciso (ed è ugualmente episemato in certi manoscritti. Al contrario, talvolta si incontrano casi di clivis subbipunctis , dove i due primi punti di una discesa sono dei tractulus episemati ed il resto ha un valore leggero di punctum. Non è il caso di raddoppiare la durata di un punctum in rapporto ad un tractulus: per un ritmo di base “limite” dell’ordine di 150 note al minuto, un lieve rallentamento (120/min) pone dinnanzi l’individualità delle note, quando una leggera accelerazione (180/min)pone innanzi un movimento d’insieme. Giocando da una parte all’altra di questo limite, è possibile restituire queste sfumature senza rompere il legato ritmico d’insieme.
Breve: In ambito musicale, la breve è una nota musicale del sistema tonale occidentale, del valore di 8/4 di semibreve. È rappresentata da un rettangolo vuoto o, più recentemente, con un ovale vuoto tra due barre laterali. La figura veniva usata fino al 1500. Un simbolo collegato è utilizzato per la pausa di breve, una pausa della durata di 8/4 di semibreve.
Gravis: Grave in musica è un’indicazione di tempo, lento e quasi marziale. Solitamente si trova all’inizio della composizione perché viene usato come introduzione lenta, di contrasto al tempo veloce che lo segue. Grave è anche, allo stesso tempo, un’indicazione d’espressione e di approccio allo strumento musicale. Grave può anche indicare un suono basso (ovvero di bassa frequenza).
Punctum: (dal latino punto) è il neuma più elementare, insieme alla virga, utilizzato nel canto gregoriano. Esso corrisponde ad una nota isolata. Il punctum può comparire anche nella notazione di un neuma composto, di solito per segnare dei neumi subpunctis o praepunctis. In queste stesse posizioni, il ‘punctum inclinatum è una forma in losanga utilizzato nella notazione quadrata gregoriana dei neumi composti quindi in posizione non isolata. L’accento grave della notazione accentuata si è trasformato graficamente col tempo in un piccolo tratto orizzontale più o meno ridotto ad un punto, da cui è risultato il punctum ed il tractulus più largo, che è in effetti un punctum episemato. Le due forme sono ben distinte nelle notazioni corsive di san Gallo e di Laon, come li si può vedere nel Graduale triplex, ma non sempre sono distinte con l’episema nelle edizioni di Solesme. Quando è isolato su una sola sillaba, il punctum si oppane come nota grave nei movimenti melodici, in opposizione alla virga più acuta. Il punctum ha un valore leggero, neutro. Le note corrispondenti si fondono in un movimento collettivo che può dunque essere rapido.
Nella notazione quadrata è dotata di una coda verso il basso. La virga è presente anche come elemento neumatico in numerosi neumi composti e corrisponde sempre alla cima melodica del neuma e più spesso anche all’accento ritmico. La virga è un resto grafico dell’epoca dove solo il senso di variazione della melodia veniva notato graficamente con un accento acuto / dalle note che indicavano una elevazione, ed un accento grave \ dalle note che indicavano un abbassamento in rapporto al resto di una parola per i canti sillabici o di neumi per i canti neumatici.
Neuma: Il neuma (dal greco νεύμα neuma: segno, cenno, ma anche da πνεύμα: soffio, fiato o νόμος: melodia, formula melodica) nel canto gregoriano è un segno della notazione musicale utilizzato a partire dal IX secolo e durante tutto il Medio Evo, fino all’introduzione del pentagramma che sta ad indicare l’insieme di note che si trovano su una unica sillaba. Il neuma trascrive una formula melodica e ritmica applicata ad una singola sillaba. Si parlerà quindi di neuma monosonico se ad una sillaba corrisponde una sola nota musicale o di neuma plurisonico nel caso dell’utilizzo di più note su una singola sillaba. Nel caso del melisma che solitamente caratterizza lo jubilus nel canto dell’alleluia, vengono impiegate anche decine di note in un unico neuma. Il neuma viene quindi distinto dall’elemento neumatico, il quale indica un segno unito in composizione ad altri che lo precedono o lo seguono su una singola sillaba. Contrariamente all’approccio moderno, l’elemento di base del canto gregoriano non è la nota musicale, ma il neuma. Attualmente, nelle moderne edizioni del Canto gregoriano come nel Graduale Triplex, vengono utilizzate sia la notazione quadrata che la notazione sangallese e la notazione metense per offrire una lettura sinottica.
Mandora: è una specie di liuto, usato soprattutto nel rinascimento. È anche noto come mandola. La mandola è uno strumento musicale a plettro appartenente alla vastissina famiglia dei liuti, discendenti dall’arabo oud approdato in Europa durante l’età media. È una variante italiana di origine cinquecentesca ed è affine al mandolino che assieme ad essa si è evoluto. Nella sua variante contemporanea, la mandola, a parte proporzioni maggiori, consta di quattro cori all’unisono accordati per quinte. La mandola tenore, più comune, presenta la stessa accordatura del mandolino (sol, re, la, mi), un’ottava sotto; invece la mandola contralto, più rara, è accordata, come la viola, una quinta sotto al mandolino (do, sol, re, la). Per tale ragione la seconda trova talora impiego nelle orchestre a plettro dove può ricoprire il ruolo che la viola svolge in orchestra. Tuttavia, l’apprezzamento di cui lo strumento ha goduto nella tradizione popolare ha finito per favorire la mandola tenore (o mandola tout-court), che per la sua accordatura permette a un mandolinista di passare su questo strumento senza cambiare diteggiature. Può assolvere funzioni melodiche, armoniche e ritmiche. Il suo utilizzo nella musica celtica è piuttosto recente. In questa tradizione musicale, sotto influsso dell’Irish bouzouki, i due cori più gravi possono essere accordati all’ottava. Recenti sono pure le modifiche della forma a goccia, che facilita l’esecuzione sulla parte alta della tastiera, e del fondo piatto, che ne facilita la produzione su scala industriale.
Semibreve: La semibreve, nel sistema tonale occidentale, è il valore 1/1 di una nota musicale o di una pausa musicale. Questo valore, a seconda del tempo in cui è posto, come ad esempio gli equivalenti 2/2 o 4/4 può essere pensato quindi frazionato in 2 o 4 pulsazioni. Quando è inserita in un tempo “alla breve” (cioè 2/1, esattamente il suo doppio, lei diventa la metà) invece vale 1 pulsazione. La semibreve è la figura di valore con la durata più lunga. Rappresenta infatti l’intero (4/4). È rappresentata da un cerchio (o ovale) vuoto.
Lunga: In ambito musicale, la lunga è una nota musicale del sistema tonale occidentale, del valore di 16/4 di semibreve. È rappresentata da un rettangolo vuoto con un’asticella verticale sul lato destro (se rivolta in alto) o sul lato sinistro (se rivolta in basso). Un simbolo collegato è utilizzato per la pausa di lunga, una pausa, raramente impiegata, della durata di 16/4 di semibreve. Entrambe sono cadute in disuso.
Minima: La minima, nel sistema tonale occidentale, è una figura musicale (nota o pausa) il cui valore è la metà della semibreve, cioè 1/2, o 2/4. La metà della minima è la semiminima. È rappresentata da un cerchio (o ovale) vuoto con un’asticella verticale sul lato destro (se rivolta in alto) o sul lato sinistro (se rivolta in basso). Il termine minima deriva dal latino minimus con cui si indicava il valore musicale più breve.
Prolazione: è un termine usato nella teoria della musica medioevale per descrivere la sua struttura ritmica su di una piccola scala. Il termine deriva dal latino prolatio, usato per la prima volta da Philippe de Vitry nel descrivere l’Ars nova, uno stile musicale che si sviluppo in Francia nel XIV secolo. La prolazione assieme al tempus corrispondeva a quello che oggi è il tempo nella musica moderna. La prolazione descriveva se una semibreve era uguale a due minime (prolazione minore o prolazione imperfetta) o se era uguale a tre minime (prolazione maggiore o prolazione perfetta). La musica medioevale era spesso suddivisa in triadi, mentre nella notazione moderna tale valore è inequivocabilmente suddiviso in due parti, a significare che soltanto la prolazione minore è sopravvissuta nel nostro sistema musicale. Noi oggi indichiamo tale valore modificando il valore di una nota con un punto (punto di valore) o con una terzina. La stria della musica medioevale mostra un graduale passaggio dalla prolazione maggiore a quella minore.
Polifonia: Con il temine polifonia si definisce in musica uno stile compositivo che combina 2 o più voci (vocali e/o strumentali) indipendenti, dette anche parti. Esse si evolvono simultaneamente nel corso della composizione, mantenendosi differenti l’una dall’altra sia dal punto di vista melodico che ritmico, pur essendo regolate da principi armonici. In senso compositivo il termine polifonia si contrappone a quello di monodia. Sebbene si sappia con certezza che pratiche affini all’organum e al falso bordone fossero note sin dai tempi più antichi, non sappiamo se le civiltà primitive abbiano sviluppato la polifonia. Dalle testimonianze bibliche dell’orchestra del tempio di Gerusalemme (Salmi, Cronache), sembra che la polifonia non fosse un concetto ignoto. Gli studi etnomusicologi ci riferiscono di una certa disposizione da parte di culture musicali etniche verso forme di polifonia. Tra le forme si individuano la pratica dell’eterofonia, del bordone, dell’imitazione e canone, e del parallelismo. Le prime fonti scritte che attestano l’uso della pratica polifonica si collocano intorno al 900 circa. Nel trattato anonimo dal titolo Musica Enchiriadis, proveniente dalla Francia settentrionale, sono infatti riportate le prime informazioni su questa pratica consistente nel sovrapporre ad una melodia desunta dal repertorio gregoriano, detta vox principalis, una seconda voce detta organalis, a distanza intervallare di quarta o di quinta, procedente per moto retto. Questa prima pratica polifonica, che può essere definita diafonia, e che trova le sue origini nell’ambito profano, ha dato origine all’organum parallelo.
Organum: L’ organum rappresenta per lungo tempo, nell’ambito della musica sacra, la forma nella quale si fanno esperienze e nuove acquisizioni contrappuntistiche importantissime per l’evoluzione della pratica polifonica. Dalla pratica del punctum contra punctum, ovvero nota contro nota (da cui deriva il termine contrappunto), che prevedeva che ad ogni nota del canto ne corrispondesse una della nuova voce, la polifonia si evolve verso una maggiore autonomia delle voci. Innanzitutto dal “primigenio” moto parallelo fra le due voci via via vi si insinua l’impiego del moto obliquo e del moto contrario, come ci viene testimoniato da Guido d’Arezzo nel suo Micrologus. Verso il XII secolo appaiono composizioni polifoniche in cui la voce superiore inizia ad arricchirsi nel suo andamento, offrendo libere ornamentazioni melismatiche in corrispondenza delle singole note del canto (vox principalis). Il nuovo stile, che viene comunemente codificato come organum melismatico, nasce in particolare dal lavoro dei maestri dell’Abbazia di S.Marziale di Limoges. Il secolo XII vede anche il delinearsi di strutture musicali formali nate da diversi orientamenti nella pratica polifonica. Accanto all’organum troviamo infatti altre forme: Conductus, Motetus, Clausula, Copula, Hoquetus, Rondellus.
Scala: Nel linguaggio musicale, una scala è una successione ascendente o discendente di suoni (note ossia frequenze) compresi nell’ambito di una o più ottave. La scala, vista come una serie di intervalli invece, viene correntemente definita come modo anche se il concetto di modo implica anche un particolare comportamento melodico delle note componenti la scala, dato dal maggiore o minor grado di attrazione. Le note di una scala sono anche definite come gradi della scala. Il numero di scale conosciute è molto ampio: scale diverse si caratterizzano per un diverso numero di suoni (scale a cinque suoni, a sette suoni, …) e per le diverse specie di intervalli che le compongono. Popolazioni diverse adoperano scale diverse e una stessa popolazione può aver adottato differenti scale nel corso della storia, per motivi culturali e per l’utilizzo di differenti sistemi di accordatura o temperamenti). Spesso le scale sono dei costrutti teorici, costruiti “a tavolino” a volte sulla base di complesse relazioni matematiche o formali, sebbene molta musica (soprattutto contemporanea o extraeuropea) sia costruita con un approccio meno teorico.
Tetragramma: Il tetragramma è il rigo musicale composto da quattro linee utilizzato nella notazione quadrata. È il predecessore del pentagramma, il rigo di cinque linee utilizzato nella notazione moderna. Il tetragramma e la notazione quadrata, insieme alla notazione metense ed alla notazione san gallese, sono tutt’oggi utilizzate nella notazione del canto gregoriano. Nell’antichità, fino al medioevo, non si conosceva una maniera di scrivere la melodia musicale, anche se in alcuni ambiti si era trovata qualche forma di notazione. I primi codici musicali risalgono al IX secolo. Le note erano segnate con dei segni grafici chiamati neumi. Ma la preoccupazione dei primi annotatori non era quella di dare indicazioni melodiche poiché la musica veniva trasmessa ancora mnemonicamente, ma ritmiche. Per questo venivano chiamate notazioni adiastematiche, cioè in campo aperto.
A partire dal X secolo nacque l’esigenza di dare indicazione, oltre che del ritmo, anche degli intervalli melodici. Gli antichi amanuensi, prima di scrivere, preparavano le pergamene tracciando a secco delle linee che utilizzavano come guida per una corretta scrittura. Si prese l’abitudine inizialmente di scrivere il testo una linea sì ed una linea no e di utilizzare le linee vuote per scrivere la musica. In un secondo tempo le linee divennero due che vennero colorate: di rosso per indicare il Fa e di giallo per indicare il Do. Fu così che nacque la notazione diastematica. Le linee si assestarono fino a quattro, poiché l’ambitus della musica medievale non era così esteso come nella musica moderna.
L’invenzione del tetragramma è impropriamente attribuita al monaco benedettino Guido D’Arezzo all’inizio dell’XI secolo, insieme ai nomi delle note musicali, sebbene sistemi musicali analoghi fossero già utilizzati dal IX secolo. I neumi andavano scritti su una linea o su uno spazio interlineare, analogamente all’uso attuale del pentagramma e le note vennero chiamate Ut (cambiata nel XVII secolo in Do da Giovanni Battista Doni), Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, dalle iniziali dei versi della prima strofa dell’inno a San Giovanni Battista Ut queant laxis, utilizzato da Guido D’Arezzo come memorandum per i suoi allievi.
I neumi furono rappresentati da Guido D’Arezzo con dei quadrati, poi diventarono romboidali ed infine tonde. L’introduzione delle figure di durata è attribuita a Francone da Colonia nel 1260.
Notazione quadrata: La notazione quadrata, detta anche notazione vaticana, è una maniera di annotare il canto gregoriano. È la notazione più recente, apparsa nel XI secolo ed impropriamente attribuita a Guido d’Arezzo. È anche la più conosciuta, anche se oggi si preferisce avvalersi anche di altri sistemi di notazione, sia la metense e la sangallese in modo particolare come avviene nel Graduale Triplex, per un confronto ed un approfondimento dal punto di vista semiologico. I più antichi sistemi di annotazione erano detti adiastematici: i neumi erano scritti in campo aperto e non veniva riportata nessuna indicazione per quanto riguarda la posizione melodica delle note. Tuttavia, a poco a poco, si manifestò una ricerca di diastemazia, ossia di precisione nella notazione degli intervalli. I neumi, ancora in campo aperto, furono disposti su differenti livelli poi fissati in modo rigoroso attorno ad una linea tracciata con punta secca. Questa linea, riservata prima solo all’orientamento del notatore, fu presto colorata, poi si videro apparire righi a due o tre linee prima che il numero fosse definitivamente fissato a quattro.
Fine quinta parte
Note e bibliografia riportate nell’ultima parte
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