Strano destino quello della musica ungherese dell’800. La sua presenza nel clima musicale europeo si riduce ad una serie di trascrizioni di ritmi gitani, ad una presenza di influssi selvaggi e sfrenati che appassionano gli autori raffinati ed intellettuali. La musica romantica europea s’impadronisce dei temi, dei motivi, dei ritmi popolari delle pianure ungheresi per ricrearli attraverso i mezzi tecnici che la cultura imperiale prima, borghese e romantica poi, avevano creato. Il mondo europeo nel suo diffuso desiderio di libertà, di spontaneità è attratto dalla selvaggia irruenza dei ritmi tzigani, dalla loro esuberante vitalità.
Bisogna arrivare alla fine del secolo ed agli inizi del ‘900 per conoscere la vera musica ungherese in una dimensione originale ed autonoma, con autori come Béla Bartók e Kodály.
L’Ungheria è una terra impregnata di musica, le sue melodie dall’impeto inconsueto, i suoi ritmi dall’originalità dei suoi colori timbrici hanno caratterizzato il patrimonio tradizionale degli zingari.
Zoltán Kodály (nato nel 1881) e Béla Bartók (1882), quando nel 1905 iniziano a raccogliere e a trascrivere in modo scientifico i canti popolari delle campagne, segnano una svolta epocale nella storia della musica, non solo ungherese: il primo è pianista, compositore, didatta, musicologo, e crede a tal punto nel suo visionario progetto di educazione musicale che da allora il metodo Kodály, basato sul canto popolare, non è solo il metodo ufficiale per l’insegnamento della musica nelle scuole d’Ungheria ma è usato in tutto il mondo; il secondo riesce a formalizzare le particolarità melodiche e ritmiche della musica folkloristica e a fecondarle con le istanze espressive delle poetiche europee del Novecento, aprendo così una terza strada tra Neoclassicismo ed Espressionismo.
Nata dall’ideale libertario e popolare della musica di Liszt e alimentata dalla incrollabile fiducia che Dohnányi, Kodály e Bartók nutrono nelle potenzialità creative del proprio popolo, la vitalità della scuola musicale ungherese è destinata a soccombere di fronte ai totalitarismi (di destra prima e di sinistra poi) che devastano la società ungherese dopo la breve parentesi post-bellica del governo popolare di Béla Kun.
La terza data da ricordare è allora quella conclusiva e tragica del 1956, l’anno dei carri armati sovietici, l’anno dell’esilio volontario di György Ligeti. L’anno dopo è il turno di un altro grande, György Kurtág, che lasciata la sua terra per studiare a Parigi fa però ritorno a tenere alta la memoria di Bartók e della sua scuola all’Accademia di Budapest.
Il folk popolare ungherese è una parte importante dell’identità nazionale e continua a svolgere un ruolo importante nella musica ungherese. La musica tradizionale tende ad avere un forte ritmo dattilico (tipo di contatore in poesia). Un dattilo è una sillaba lunga seguita da due sillabe brevi, come la lingua è sempre sottolineato sulla prima sillaba di ogni parola nella musica popolare ungherese ed è stato influente anche nelle zone limitrofe come la Romania, la Slovacchia e la Polonia meridionale e soprattutto nel sud della Slovacchia, nella regione rumena della Transilvania, in un numero significativo di ungheresi.
Broughton sostiene che il “suono contagioso dell’Ungheria è stato sorprendentemente influente sui paesi vicini (grazie forse alla storia austro-ungarico comune) e non è raro sentire melodie ungheresi in Romania, Slovacchia e Polonia meridionale E’ forte anche nei Szabolcs-zona Szatmár e nella parte sud-ovest del Transdanubio, vicino al confine con la Croazia. Il Busójárás carnevale in Mohács è un importante evento di musica popolare ungherese, già con l’ormai consolidata e ben considerata Bogyiszlo orchestra.
GRUPPI UNGHERESI DI MUSICA ZINGARA
I Kalyi Jag (Fuoco Nero) sono di Budapest. E’ un gruppo di giovani zingari che provengono dalla contea di Svatmàr, in Ungheria. Vanno in giro per il mondo a far conoscere la musica zingara. Nel loro repertorio si possono ascoltare i brani musicali più famosi della tradizione zingara ma anche canzoni scritte da loro, spesso e volentieri in lingua nativa. Il loro lavoro musicale è costantemente accompagnato da ricerche scientifiche sulle tradizioni musicali da cui essi attingono. Nei loro concerti si può notare come le onomatopee fungano come da contrabasso e la ripetizione delle sillabe e di brevi parole come una sorta di basso continuo, come il rullo di un tamburo. L’accompagnamento ritmico nei concerti è scandito dalle dita che schioccano e i piedi che battono il tempo. Come strumenti, i Kalyi Jag usano sia strumenti noti come la chitarra, i tamburi e il mandolino, sia oggetti della vita quotidiana, come cucchiai di legno e bidoni, come facevano gli tzigani un tempo, quando non avevano i mezzi per procurarsi gli strumenti veri e propri. Canzoni melodiche e lente si alternano nei loro concerti a musiche innalzanti e molto ballabili.
GRUPPI IN ITALIA DI MUSICA ZINGARA
Molto singolare l’esperimento di Roberto Durkovic e i suoi Musicisti Tzigani. Le sue canzoni, tutte belle, fanno riflettere, e la musica trainante che le accompagna, fa danzare sui chiodi anche il ballerino scalzo. I musicisti tzigani, incontrati nei vagoni della metropolitana di Milano hanno fatto concretizzare il progetto artistico di Roberto Durkovic con la musica allegra dei Rom, ma nell’Album Strade Aperte c’è molto di più perché le culture etniche hanno amalgamato i colori della rumba e la magia del flamenco con il tango argentino in onore del grande maestro Astor Piazzolla. Felice esito di una lunga e fruttuosa collaborazione musicale tra il musicista di origini mitteleuropee (di madre italiana e padre cecoslovacco) e il suo gruppo I Fantasisti del Metrò, “Accordiamoci”, il nuovo disco di Roberto, affronta con levità temi importanti come la guerra, il pregiudizio, l’attuale momento politico e sociale, dosando ottimismo e speranza. I concerti di Durkovic hanno un impatto straordinario con il pubblico di tutte le età per la musica universale dei suoni vibranti e battenti.
Ascoltare queste canzoni ti viene voglia di non andare a dormire, mi tornano in mente altri momenti facendomi rivivere i colori di una smagliante e calda giornata di settembre a Budapest in altri momenti sospesi dentro un loro denso elemento particolare che è come il tempo, ma che esiste fuori di esso.
Gli zingari utilizzano con grande passione e capacità il linguaggio musicale basando la costruzione dei brani su due elementi di fondo: l’apprendimento, come per la lingua parlata, di arie e melodie popolari dai luoghi di passaggio e l’estro individuale particolarmente esaltato dalla pratica molto frequente dell’improvvisazione. È difficile individuare una musica originale zingara. Si possono riconoscere però stili diversi, come fra i gitani e gli tzigani, dove però l’elemento comune rimane l’utilizzo di un filo conduttore prescelto su cui poi avviare fioriture, cesellature, arabeschi.
Se si ricercano elementi di continuità nella presenza dei loro canti, si può verificare che la cultura slava ha dato un contributo determinante con la sua forte influenza sui principali ceppi linguistici zingari immigrati in Europa da est.
Nella tradizione esiste una netta distinzione fra canto ed esecuzione strumentale, il primo rimane rivolto all’ambito ristretto della comunità ed è puramente sentimentale, mentre l’esecuzione di motivi strumentali per violino, chitarra, ottoni, viene fatta per professione, cioè dietro pagamento.
Oggi lo stato dell’arte della musica degli zingari è leggermente diverso: si sono sviluppate formazioni che coprono entrambi i versanti vocale e strumentale (i Bratch o gli Ando Drom) ed altre come Bregovic’ che restano fedeli alla tradizione strumentale o i Kalyi Jag che, viceversa, restano fedeli alla tradizione vocale segnata al massimo da una sottile linea strumentale di accompagnamento ritmico o di controcanto.
GLI STRUMENTI FEDELI DELLA MUSICA ZINGARA
Gli zingari non amano gli strumenti di rame o a fiato.
La loro predilezione si rivolge alla chitarra, il prototipo dello strumento individuale attraverso il quale lo zingaro esprime la sua gioia e la sua malinconia, sia al violino e ai suoi derivati; una piccola orchestra normale ne comprende parecchi (violino, violoncello ecc), a cui si aggiungono clarinetto e piatti. La chitarra e l’arpa hanno pure i loro ferventi amatori (anche il pianoforte presso i sedentari). È normale che la mitologia zigana abbia unificato l’arte musicale e lo strumento che la simboleggia più correntemente: il violino. Infatti ci sono molte belle leggende relative alla creazione del violino che, se fanno intervenire elementi cristiani (ad esempio il diavolo), sembrano tuttavia essere l’eco di antiche tradizioni che riallacciano la musica ad interventi da parte di esseri sovrumani aventi lo scopo di consolare l’infelicità umana.
Grazie per questa magia che fa riflettere non solo le nostre menti ma la luce dei raggi di un sole forse da tempo dimenticato.
Gloria Berloso
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