Posts tagged ‘Giovanni Pirri’

agosto 21, 2017

PETER HAMMILL

MERCOLEDI’ 15 NOVEMBRE 2017
PETER HAMMILL
Piano e Voce

Teatro “l. Candoni” Tolmezzo
ore 21:15

Peter Hammill

Peter Hammill

Artista con la “A” maiuscola e una delle voci più belle, emozionanti e versatili di sempre, Peter Hammill nasce a Londra nel 1948 e ottiene l’attenzione della scena rock internazionale negli anni Settanta come leader dei Van Der Graaf Generator, dei quali è cantante, chitarrista e pianista, e autore principale. La carriera del gruppo è costellata di scioglimenti e ricostituzioni, e Hammill intraprende parallelamente l’attività da solista, cominciata nel 1971 con e proseguita regolarmente per tutti gli anni successivi fino a oggi.
In una classifica ideale dei gruppi rock britannici più influenti negli anni Settanta, molto probabilmente non troveremmo nelle prime posizioni i Van Der Graaf Generator.

Van der Graaf Generetor

Van der Graaf Generetor

Eppure la band guidata da Hammill, fondata nel 1967 e attiva ancora oggi dopo le ripetute rinascite e cambi di formazione, merita un posto di riguardo nel panorama del rock per l’originalità sia delle scelte musicali sia dei temi trattati. Dal punto di vista musicale, infatti, pur essendo assimilati al filone progressive, la band è ben lontana dai barocchismi e dai virtuosismi dei gruppi loro contemporanei (Emerson Lake & Palmer e Yes, giusto per citarne due tra i più famosi). La musica è allo stesso tempo complessa ed essenziale, le atmosfere sono oscure e cupe (si potrebbe dfinirle “gotiche”) e riflettono i testi scritti da Hammill: l’ispirazione non deriva dalla mitologia e dall’epica (come per i Genesis) ma dal dramma interiore e dal malessere esistenziale. Ricorda Claudio Trotta, che organizzò il primo concerto dell’artista britannico nel 1987 a Genova: «Peter Hammill è un gigante della storia della Popular Music e ha segnato momenti importanti della Barley fra i quali ricordo con particolare emozione il concerto al Conservatorio, parte della rassegna di Musica Contemporanea Musica nel Nostro Tempo, durante il quale si cimentò in un pezzo a cappella, senza ausilio di strumenti né microfono, ipnotizzando l’intera platea di 1500 persone presenti.» L’ultimo lavoro da solista di Hammill è …All That Might Have Been…, uscito nel 2014; dopo Do Not Disturb (2016), il trentesimo album dei Van De Graaf Generator, il compositore è attualmente al lavoro su un nuovo capitolo della sua carriera solista.
Quella di Tolmezzo, unica data per tutto il Nord Est (le altre piazze sono Roma, Napoli, Terni, Chiari, Milano e Livorno) si profila come un nuovo grande appuntamento proposto da Folkest agli appassionati di musica della nostra regione.

  Prevendite: www.folkest.com
                      TicketOne
Angolo della Musica- Via Aquileia 89, UDINE tel. + 39 0432 505745
Agenzia Soprattutto Viaggi- Via Ermacora 5, TOLMEZZO (Ud) tel. + 39 0433 468268
Punto Verde – Via Matteotti 4/b TOLMEZZO (Ud) tel. + 39 0433 40114

aprile 16, 2017

Ciao Bruce, Mister Tambourine Man di Gloria Berloso

Bruce Langhorne è stato uno dei più importanti chitarristi degli anni ’60, in particolare nei primi anni del folk-rock. Lui è più noto per aver suonato su i primissimi dischi di Bob Dylan, in particolare Bringing It All Back Home del 1965 ovvero l’anno del passaggio di Dylan dal folk al folk-rock. Tuttavia, ha suonato con numerosi musicisti folk-rock nella seconda metà degli anni sessanta, tra cui Tom Rush, Richard & Mimi Fariña, Richie Havens, Gordon Lightfoot, Eric Andersen, Fred Neil, Joan Baez, e Buffy Sainte-Marie. Inoltre ha suonato con alcuni altri strumenti in concerti dal vivo con Bob Dylan, Judy Collins, i Fariñas, e altri; ha prodotto Ramblin’ Jack Elliott.
Ha anche lavorato su alcune colonne sonore, tra cui “Il Mercenario” (The Hired Hand) di Peter Fonda.
Langhorne ha sviluppato uno stile personale spesso utilizzando rapide triplette di note. Lo stile è nato in parte a causa di un incidente da bambino dove ha perso alcune dita. L’incidente ha limitato la gamma di tecniche da lui conosciute, costringendolo a concentrarsi sul ruolo di accompagnatore. Quando è nato il folk rock, Langhorne ha usato una chitarra acustica con un pick-up, in esecuzione attraverso un amplificatore Fender Twin Reverb, che ha preso in prestito dal chitarrista (e compagno polistrumentista) Sandy Bull. Influenzato da Roebuck Staples degli Staple Singers, avrebbe creato un effetto tremolo a tempo con la canzone. Il risultato è stato un suono, sia acustico ed elettrico di colore, molto adatto al periodo in cui rock e musica popolare si sono fuse. Langhorne è diventato una parte della scena folk di New York nei primi anni ’60, dove ha iniziato come accompagnatore al cantante folk Brother John Sellers, al Folk City Club di Gerde. Come risultato della sua costante presenza al club, ha iniziato con numerosi musicisti del Greenwich Village e a trovare lavoro come accompagnatore sia dal vivo che in studio. Una delle sue prime sessioni di registrazione la troviamo nel primo album per la Columbia di Carolyn Hester nel 1961, una sessione che comprendeva anche un allora non conosciuto Bob Dylan all’armonica. Langhorne poi ha suonato su alcuni album di Dylan, The Freewheelin’ 1963 e “Mixed Up Confusion”.
La più grande la fama di Langhorne deriva dal disco Bringing It All Back Home 1965 soprattutto per “She Belongs to Me,” “Love Minus Zero / No Limit” e “Mr. Tambourine Man “. Nella copertina dell’Album, Dylan scrive che Langhorne è Mr. Tambourine Man: “‘Mr. Tambourine Man,”penso, è stato ispirato da Bruce Langhorne. Bruce ha suonato la chitarra con me in tantissimi primi dischi. Su una session, il produttore Tom Wilson aveva chiesto di suonare il tamburello. E Bruce aveva questo gigantesco tamburello, è stato davvero grande. Era grande come un carro a quattro ruote. Langhorne era molto più di una nota interessante nella carriera di Dylan, però. Nella metà e la fine degli anni ’60 è stato sempre in studio, aggiungendo particolarmente importanti contributi ai due album Vanguard di Richard & Mimi Fariña. Ha fatto altre apparizioni importanti nel primo album elettrico di Tom Rush, il primo album di John Sebastian, di Joan Baez  e numerosi altri LP. Ha anche prodotto il primo album major di Ramblin’ Jack Elliott, 1968 di Young Brigham. Dai primi anni ’70 la sua opera di session era diventata meno frequente, anche se ha continuato a lavorare sulle colonne sonore, come accompagnatore dal vivo, e co-gestione di uno studio di registrazione con Morgan Cavett.

Ciao Bruce!

Bruce Langhorne è morto il 14 aprile 2017 in un ospizio a 78 anni. Era nato a Tallahassee in Florida l’undici maggio 1938.

 

gennaio 31, 2017

FRANCESCA DE MORI – ALTRE STRADE, UN’ESPERIENZA PER CHI AMA IL JAZZ

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Un’esperienza per amanti della musica jazz,

dello swing e della canzone d’autore.

Il primo lavoro discografico di

Francesca De Mori.

Nel disco ci sono 5 canzoni inedite e 3

canzoni di interpreti noti:

Battiato, Ornella Vanoni e Rossana Casale

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Francesca De Mori racconta:
“La tecnica, compagna necessaria, ha tempi, regole e momenti in cui atterrare e in cui camminare in noi e con noi, ma
la mia attenzione – grazie al mio cammino in Ipso e ai miei percorsi esperienziali nel mondo della Bioenergetica, Biomusica, Reiki, Theta Healing e il continuo studio dei movimenti del suono con il Metodo Funzionale della Voce – si pone anche al mondo emotivo, al corpo, all’uno che siamo.

La mia attività si svolge in Accademia di Musica Moderna (AMM) a Milano, presso il circolo Arci Ohibò (sempre per AMM) e presso l’Accademia F. Gaffurio di Lodi.

Grazie alle diverse provenienze dei musicisti, le storie rivisitate in maniera del tutto personale assumono un tocco speciale, offrono paesaggi sonori che possono essere divertenti, contagiosi e aperti a suggestive interpretazioni”.

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Altre strade, il nuovo progetto musicale di Francesca De Mori, 

mantiene quel che promette nel nome: i percorsi per arrivare alla musica 

non solo sono altri, come testimoniano i differenti linguaggi dei 

musicisti implicati, ma ci racconta anche che le strade della musica 

sono sempre Altre, nel senso che aprono, sorprendono e lasciano 

scorgere il nuovo, l’inedito. Il suono di questo lavoro è così, 

imprevedibilmente fresco “come l’acqua” e ricco delle differenze 

artistiche coinvolte che si sono lasciate contaminare tra loro in maniera 

fertile e gioiosa. Il titolo, Altre strade, svela anche un percorso individuale 

che i singoli artisti hanno dovuto cercare per arrivare a una sintesi 

formale che conservasse le singolarità di un lavoro collettivo ma originale. 

La musica, composta da Daniele Petrosillo, offre una notevole godibilità 

nei ritmi e nelle melodie e la voce di Francesca De Mori – accompagnata da 

Salvatore Pezzotti al piano e da Rino Dipace alla batteria – rende cantabili intervalli 

sonori preziosi ma offerti con la limpidezza e la precisione che ogni “canzone”, 

anche la più sofisticata, dovrebbe avere. Così, dopo aver ascoltato 

Altre strade

si può produrre quel fenomeno psichico detto catacustico, che riguarda cioè 

una sorta di eco interiore del soggetto, responsabile 

del “ritornello che si fissa in mente”.

 

Altre strade rende, dunque, omaggio a quel processo di reminiscenza 

musicale – legato a ciò che Nietzsche chiamava il terzo orecchio 

dell’artista – e fa sì che questi brani possano accompagnarci in alcuni 

momenti della vita, per lo più significativi, in cui ci sorprenderemo 

d’un tratto a cantarli.

– Laura Pigozzi

Per conoscere gli altri musicisti coinvolti e avere qualche informazione in più sul disco, cliccate su questo link: http://www.francescademo ri.it/discografia/

 

 

ottobre 25, 2016

BOB DYLAN: con il Nobel o no è il poeta Dylan acclamato da milioni di persone

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Bob Dylan è per la musica quello che Jack Kerouac è per la letteratura, un’altra dichiarazione forte e volutamente difficile da difendere per iniziare con una rubrica dedicata al “marchio” del premio Nobel per la letteratura! Tuttavia la dichiarazione nell’analogia ha un senso diverso. Nel corso degli anni sessanta e settanta, la musica e la letteratura hanno marciato vicine, si sono incontrate e sono diventate inscindibili: non si può capire “On the Road”, senza il bee-bop jazz, né si è in grado di capire la letteratura del XX secolo senza le lettere di Dylan. D’altra parte, Dylan è parte di una vera e propria esperienza che ha cambiato la concezione della vita di milioni di persone: la letteratura beatnik, le poesie di Allen Ginsberg, la musica, i viaggi lunghi senza destinazione negli Stati Uniti d’America, la droga, San Francisco, le vite spezzate, gli hippies, le manifestazioni contro la guerra. Bob Dylan è una particolare forma di letteratura; è un autore-personaggio, che fa e simboleggia un momento di vita per milioni di persone.

Esplorando tensioni e contraddizioni, non c’è dubbio che Bob Dylan è una figura centrale di una generazione e di un immaginario culturale che ha provato a cambiare il mondo, ma non ci è riuscito. Pertanto, qualsiasi cenno che dica che Dylan è simile a Sartre è stato preannunciato precedentemente nel 1964. Sartre ha convertito e radicalizzato percorsi verso posizioni rivoluzionarie marxiste molto chiaramente e quindi respinto il premio Nobel per evitare di diventare una “istituzione”. Il caso di Dylan è un po’ diverso: per anni è già un istituto de facto, in grado di influenzare come pochi, ammirato e accettato da tutto il mondo della musica. Le canzoni di Dylan sono diventate una tradizione americana come il Giorno del Ringraziamento. Tuttavia, la sua istituzionalizzazione simboleggia come nessun altro, la profonda impronta dell’onda rivoluzionaria degli anni ’60 e, allo stesso tempo, la conseguente normalizzazione. Bob Dylan stesso è stato sempre un po’ cinico con il suo ruolo di icona radicale, auto definendosi un ribelle contro la ribellione.
Nel suo primo e unico anno presso l’Università del Minnesota, Dylan ha partecipato a diverse riunioni del Socialist Workers Party, il partito trotskista guidato da James Cannon, si considerava un semplice successore di Woody Guthrie, il cantante comunista, che con la sua chitarra voleva “uccidere i fascisti”. Gli eredi di Guthrie hanno acquisito la semplicità nella musica popolare e artigianale. La mossa di rifiutare l’elettrificazione della musica, e di usare una chitarra acustica per sostenere i lavoratori e le lotte studentesche è chiamata anticapitalismo romantico da Michael Lowy. Dylan è stato in grado di crescere in questo mondo, ma di rompere con lui per far avanzare il “movimento reale”, creando quella sintesi virtuosa tra tradizione e modernità, più tardi conosciuta come folk-rock. Non senza tensioni, per inciso, con il movimento popolare nei settori più ortodossi. A Newport nel 1965, Dylan ha suonato la sua chitarra elettrica per la prima volta e Pete Seeger, indignato per tale eresia, ha minacciato di tagliare il cavo della chitarra con un’ascia.

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Bob Dylan e Pete Seeger

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Woody Guthrie

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Phil Ochs

 Il passaggio di Bob Dylan dalla chitarra acustica all’elettrica, significa anche un cambiamento nelle questioni affrontate nelle sue canzoni. Dylan è più incline a creare inni e alla critica politica come l’altro autore politico Phil Ochs, Dylan va avanti per affrontare i problemi esistenziali di una generazione, orientata più verso quel settore giovanile che ha preferito andare ai macro-festival che nell’esercito militare della SDS. Nel corso degli anni ’60 e ’70 c’era una tensione che ha attraversato tutto il movimento giovanile tra il “rivoluzionario” e l’”esistenzialista” che, anche se si sono riuniti in un forte rifiuto del capitalismo e dell’imperialismo, hanno scelto modi diversi di lotta. Mentre i “rivoluzionari” hanno sostenuto la resistenza armata della resistenza vietnamita contro l’invasore americano, gli “esistenzialisti” semplicemente hanno manifestato contro la guerra. Norman Mailer ben descrive questo conflitto nel suo romanzo “Le armate della notte”.

Dylan è il primo artista di culto e di massa: i suoi testi combinano elementi tradizionali della cultura americana con avanguardie europee. Simboleggia come nessun altro l’emergere di una particolare classe media, nata dopo la guerra, e che si autodefinisce come “intellighenzia” di tipo nuovo, sempre alla ricerca di sovversioni provenienti dal basso, ma pronta a costruire le aspirazioni di vita all’interno di un capitalismo dinamico e ricco di opportunità.

Con questo premio Nobel, l’istituzione culturale riconosce apertamente la mutazione culturale che è nata negli anni ’60, non può più pensare l’arte come qualcosa di indipendente dalla società dei consumi, ma come qualcosa che deve connettersi con i desideri delle masse. Non possiamo più pensare all’arte al di fuori delle aspirazioni culturali delle masse; Dylan certamente ha significato più come poeta per milioni di persone. Non possiamo pensare che la musica di Mozart sia l’unico culto, dimenticando Bob Dylan. Non possiamo pensare di seguire la massa e ascoltare solo Justin Bieber e dimenticare Dylan, mentre milioni di adolescenti stanno scoprendo che i loro problemi esistenziali sono gli stessi di quelli dei loro genitori. Infine, non possiamo dissociare Ginsberg da Dylan: entrambi erano poeti. Il genio di Dylan ha aggiunto una chitarra e con più abilità ha creato questo ibrido nato tra cultura d’élite e la cultura di massa nel tardo capitalismo. Sullo sfondo, il premio Nobel riconosce solo una realtà, che “i tempi stanno cambiando” e i confini tradizionali dell’arte non possono essere definiti solo dall’accademia.

Con il Nobel o no, egli è il poeta Dylan acclamato da milioni di persone, in un momento di culto e popolare. Il premio Nobel per la letteratura a un poeta popolare rompe paradigmi e fa scuotere le ragnatele di un premio d’élite.
Mestamente, vedo che l’umanità egocentrica, mediocre e classista, continua a ritmo sostenuto verso l’autodistruzione. Non abbiamo imparato nulla sulla vita e la storia. Lo spettacolo dell’orrore non ha la capacità di reagire. Ci accontentiamo di vivere nella nostra bolla per sentirci al sicuro e privo di responsabilità collettive. Prendo atto ancora una volta che noi siamo la peggiore piaga che ha abitato la terra. E sì, l’Accademia aiuta solo le persone a mostrare ciò che realmente sono!

Gloria Berloso

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ottobre 17, 2016

Happy Birthday a Chuck Berry che festeggia i 90 anni senza tante fanfare.

Chuck Berry, che compirà 90 anni martedì 18 ottobre 2016, ha influenzato tutti gli artisti con ’50s rock’ n ‘hit roll come “Maybelline“, “Johnny B. Goode” e “Brown-Eyed Handsome Man“. Mentre i Rolling Stones, Paul McCartney, Bob Dylan, Neil Young, The Who e Roger Waters sono stati a festeggiare al festival di Indio, non si celebra in tutta l’America nessun grande evento per celebrare Berry, e per festeggiare il suo novantesimo compleanno.

Chuck Berry

Chuck Berry

Chuck Berry ha rotto tutte le regole. I suoi dischi sono stati grandi, le sue melodie sono state grandi, le idee che cantava sono state grandi. Lo afferma soprattutto Bobby Craig, il pianista rock che ha suonato con Berry nel 1980 ed Elvis Presley nel 1970 a Palm Springs

Il 18 ottobre 2016 è anche il 30° anniversario di due concerti andati in scena a St. Louis per il 60° compleanno di Chuck Barry con il chitarrista degli Stones, Keith Richards.

 Il regista candidato all’Oscar, Taylor Hackford ha girato quei concerti che sono il fulcro per il suo documentario: Chuck Berry: Hail, Hail Rock ‘n’ Roll”.
Hackford ha celebrato gli 80 anni di Berry con la pubblicazione di una serie di DVD con filmati dietro le quinte di quei concerti e interviste complete con il pioniere del rock ‘n’ roll
che attestano la grandezza e la eccentricità di Berry.

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“Credo che Chuck Berry dovrebbe essere salutato ogni volta che c’è un concerto”, ha detto Hackford, che ora sta finendo un film con Robert De Niro chiamato “The Comedian”. “È assolutamente unico ed ha influenzato da solo gli artisti di tutto il mondo. Ma, i Rolling Stones stanno per fare quello che hanno intenzione di fare e sono una grande, grande band. Hanno imparato tutto da Chuck Berry e molte volte hanno parlato di questa influenza.” I Rolling Stones si sono effettivamente formati dopo che Mick Jagger ha visto Richards con un disco di Chuck Berry alla stazione di Dartford nel Kent, in Inghilterra. Erano stati compagni di classe alle elementari e Richards lo ha scritto nel suo libro: “La vita”. Jagger aveva invitato Richards ad uscire con il suo gruppo di appassionati di R & B e avevano iniziato a registrare musica, con Richards alla chitarra elettrica, suonando secondo il “Chuck-style“.

Chuck Berry con Mick Jagger

Chuck Berry con Mick Jagger

Keith Richards-Chuck Berry

Keith Richards-Chuck Berry

Dylan ha detto addirittura che era dentro Chuck Berry prima di scoprire Woody Guthrie e di passare al folk. Il suo primo successo rock, “Subterranean Homesick Blues”, è direttamente influenzata da “Too Much Monkey Business’’ di Berry.
I Beatles hanno avuto la genialità di comporre con Berry canzoni come “Roll Over Beethoven”, “Rock and Roll Music” e “Sweet Little Sixteen”, e McCartney nel 2014 ha citato Berry come “uno dei più grandi poeti che l’America abbia mai prodotto”.

Chuck è una contraddizione totale. È un uomo di colore fiero d’esserlo. D’altra parte, egli ha una visione molto critica delle diverse componenti della società. La definizione di genio gli si addice, è un uomo che non sente le normali debolezze umane che molti di noi hanno. Quando incontriamo qualcuno che è un genio, che ha fatto cose che nessun altro ha fatto, perché dovrebbe essere normale?

Hackford ha detto che gli altri pionieri da lui intervistati, tra cui Little Richard, Jerry Lee Lewis, gli Everly Brothers, Roy Orbison, Bo Diddley e il produttore di Presley, Sam Phillips, hanno ammesso di essere stati influenzati da Berry. Anche Lewis, un pianista che vomitava epiteti razzisti a Berry quando hanno fatto un tour insieme negli anni ’50, ha elogiato Berry.

Berry è l’artista più geniale della loro generazione. Proviene da un passato turbolento ma a 21 anni Berry scopre che ogni volta che canta canzoni country riceve una reazione positiva, anche dal pubblico afro-americano. Alla fine, lui e la sua band, tra cui il pianista Johnny Johnson, guadagnano una ottima reputazione e registrano negli studi per la Chess Records di Chicago.

La loro registrazione nel 1955 “Maybelline” diventa la prima canzone che fonde country e blues in quello che diventa noto come il rock ‘n’ roll.

Nessuno ha scritto e registrato tante canzoni di successo come Chuck Berry. Con Elvis Presley, insieme hanno creato una rivoluzione culturale sessanta anni fa.

Happy Birthday Chuck !!!

Happy Birthday Chuck !!!

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Gloria Berloso

giugno 11, 2016

Max Manfredi – Trita Provincia – Audiolibro

Max Manfredi e Federico Bagnasco

per la realizzazione di un unicum, tra la poesia, la narrazione, il teatro e il melologo.

O più semplicemente un viaggio, un sogno, un invito al lettore/ascoltatore a perdersi.

 

Finirà il 30 Giugno la campagna di finanziamento tramite crowdfunding per la realizzazione dell’audiolibro di Max Manfredi “Trita Provincia”, con la voce narrante dello stesso Max e con musiche a cura di Federico Bagnasco, a due anni e mezzo di distanza dalla riuscitissima campagna di crowdfunding per la realizzazione dell’album Dremong (Gutenberg Music 2014), ultimo lavoro discografico di Manfredi. Sarà dunque possibile partecipare e contribuire alla realizzazione di questo progetto, tramite la piattaforma web di Produzioni dal Basso (https://www.produzionidalbasso.com/project/maxmanfredi-trita-provincia-audiolibro/) A seconda della cifra con la quale si vorrà sostenere il progetto ci saranno diverse possibili ricompense, tra mp3, eBook, cd, libri, magliette o quant’altro.
Trita Provincia, novella discreta, è un libro che Max Manfredi scrisse circa trentacinque anni fa e venne pubblicato nel 2002 (Liberodiscrivere Editore Genova). Una piccola opera insieme lucida e visionaria, un atto d’amore appassionato nei confronti della scrittura, della sua necessità e della sua vanità. Un caleidoscopico labirinto di parole che trascina il lettore in una ridda di immagini e situazioni, scenografie e sogni ad incastro, palinsesti indecifrati, guide oniriche, tasselli di mosaici, reperti da mercatino delle pulci, teatri di parrocchia, libri d’ore, bricolage neogotico, cinema di terza visione, in un fluire continuo che è insieme divertito e struggente. L’audiolibro, la lettura “ad alta voce” fatta dallo stesso Max, potrà offrire una nuova prospettiva del testo e trasformare i giochi di suoni della parola scritta in giochi di immagini in movimento, come un film per non vedenti, come un dialogo quasi intimo con il lettore/ascoltatore.
Il testo narrato si completerà con alcune musiche “di scena” che spesso faranno da sfondo o in alcuni casi anche da contrappunto alla voce narrante, o più semplicemente da interpunzione tra i paragrafi e tra i capitoli. Queste musiche in parte saranno originali e in parte attingeranno dal repertorio delle canzoni di Max, come luoghi comuni in cui l’appassionato conoscitore di Max Manfredi possa ritrovarsi. Lo strumento musicale protagonista di questo accompagnamento sarà la viola da gamba, in tutte le sue varianti di registro, dalla più piccola e più acuta ai violoni più gravi, e sarà per lo più orchestrata in consort, quei piccoli ensemble strumentali usuali nel rinascimento, composti da strumenti della stessa famiglia; uno strumento antico, già di per sé evocativo, che con armonie e sonorità più moderne, potrà creare una identità sonora indefinita, qualcosa di distante e magico, semisconosciuto e semiconosciuto, come fuori dal tempo. Un particolare capitolo del libro, oltre alla voce di Max vedrà la straordinaria partecipazione di Lisa Galantini e Aldo Ottobrino. L’intero progetto, che avrà una durata complessiva di circa 4 ore, sarà curato da Federico Bagnasco, storico collaboratore di Max in produzioni discografiche e attività concertistica.
Federico sarà dunque anche curatore delle musiche, compositore e, parzialmente, anche esecutore.
Il lavoro è già iniziato, e alcuni brevi estratti sono pubblicati in rete, ma solo a campagna di finanziamento conclusa, e a cifra raggiunta, si potrà continuare nel montaggio delle registrazioni effettuate. Questo crowdfunding potrà consentire di portare a termine il progetto, coprendo una parte delle spese di realizzazione: studio di registrazione, delle voci come delle musiche, montaggio e mixaggio, così come una parte dei costi di stampa. Il progetto è stato appoggiato dall’Unione Ciechi e Ipovedenti Ligure.
Venerdì 17 Giugno, a Genova, presso La Claque (Teatro della Tosse, ore 21) si terrà un concerto di Max Manfredi, con ospiti, per presentare e per finanziare il progetto audiolibro.

Link utili https://www.produzionidalbasso.com/project/max-manfredi-trita-provincia-audiolibro/
https://www.facebook.com/tritaprovincia/




https://www.youtube.com/watch?v=08mLuIaKUhY

scansione_trita_nero_corretta_pdbBio Max Manfredi: nasce a Genova nel mese di dicembre. Ha pubblicato finora quattro libri in versi e in prosa, fra cui Trita provincia, e sei cd (senza contare le collaborazioni). Svolge un’acclamata attività concertistica, prevalentemente come cantautore, in Italia e all’estero.
http://www.maxmanfredi.com
Bio Federico Bagnasco: ha un’intensa attività concertistica e discografica, prevalentemente come contrabbassista. Interessato alla musica in tutte le sue forme e nei contesti più disparati (dall’orchestra sinfonica alla musica antica, dalla musica etnica al jazz, dal teatro alla canzone d’autore, dalla musica popolare di tradizione alla musica contemporanea), si occupa anche di didattica dello strumento e di ricerca musicale.
http://www.federicobagnasco.com

giugno 11, 2016

Ritorna FOLKEST – LA FIESTE DA SEDON musica popolare friulana

LA FIESTE DA SEDON

Anteprima Folkest 2016 – Festa della musica popolare friulana

Castello di Ragogna

12 giugno 2016

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Folkest offre un primo assaggio del suo fitto Festival con un’anteprima che è ormai diventato un appuntamento con la tradizione e la cultura popolare friulana: attorno al gruppo musicale La Sedon Salvadie e al suo concerto, domenica 12 giugno al Castello di Ragogna in programma una grande Festa della musica popolare che coinvolge tutti i musicisti che hanno fatto parte di questa formazione, i loro personali progetti artistici, gli amici e gli amici degli amici. Dopo il successo, infatti, delle prime dieci edizioni dell’annuale festa de La Sedon, questo appuntamento raccoglie da quest’anno intorno a sé alcune realtà molto significative della cultura friulana come l’Associazione Glesie Furlane di Villanova di San Daniele del Friuli e la Clape Culturâl Patrie dal Friûl di Udine, editrice dello storico periodico La Patrie dal Friûl, che si affiancheranno all’Associazione Culturale Folkgiornale nell’organizzazione di questo festival dedicato alla musica tradizionale friulana, nell’intento di farlo diventare un autentico punto d’incontro tra diverse realtà musicali e culturali del Friuli, unite anche nell’omaggio a Bertrando di Saint Genes, il più grande Patriarca di Aquileia, del quale ricorre l’anniversario della scomparsa nei prati della Richinvelda in queste stesse giornate.

Carantan

Il gruppo musicale La Sedon Salvadie, considerato oggi il maggior rappresentante della scena musicale tradizionale e dell’evoluzione della musica folk friulana, è da sempre legato al territorio del Comune di Ragogna, sia perché uno dei suoi fondatori era residente proprio a Ragogna, sia perché qui furono effettuate molte ricerche negli anni Ottanta, a metà anni Novanta e anche recentemente.

La Sedon Salvadie ha da poco girato la boa dei trent’anni di attività, anni che hanno visto il gruppo esibirsi in tutto il mondo e collaborare anche con musicisti molto importanti (Angelo Branduardi, Massimo Bubola, The Chieftains, Carlos Nuñez e Inti Illimani tra gli altri). Dalle file de La Sedon Salvadie hanno preso le mosse le formazioni più significative dell’attuale panorama musicale friulano:  Andrea Del Favero, Giulio VenierLino Straulino, Emma Montanari, Marisa Scuntaro, Dario Marusic, Glauco Toniutti. Tutti hanno militato o militano in questa formazione e hanno dato o danno vita a molti altri gruppi e realtà di ricerca e di riproposta, quali Carantan, Braul, Tischlbong, Montanari Grop, Furclap, Nosisà, Lino Straulino… Trent’anni di storia, visti con gli occhi di tre generazioni di musicisti, diventano così l’occasione per ripercorrere le tappe della riscoperta e dell’evoluzione della musica popolare friulana, dal rischio di oblio degli anni Settanta, fino al grande impatto con i media, alle tournée in tutto il mondo, alle apparizioni televisive e agli special dedicati, oltre le prestigiose collaborazioni alcune delle quali saranno presenti alle giornata de La Fieste da Sedon.

Il tutto sarà inserito negli spazi giusti all’interno del castello e nelle aree disponibili, con un impatto che tenga conto del valore del monumento all’interno del quale ci si andrebbe a muovere, secondo una valutazione da fare all’atto della stesura del progetto definitivo della manifestazione, inserendo con lo stesso criterio anche eventuali stand. Elemento fondamentale e caratterizzante del castello Superiore di Ragogna è il mastio, conosciuto anche come torre, utilizzato dai Conti di Porcia fino alla seconda metà del XVIII e poi lasciato lentamente cadere in rovina. Alla fine nel 1976 il terremoto lo distrusse quasi completamente.

Oggi il mastio si presenta completamente ricostruito, anche se profondamente modificato per quanto riguarda la disposizione interna dei locali. La progettazione infatti ha tenuto conto del recupero di alcune parti originarie di muratura al piano terra in funzione di quello che dovrebbe essere il futuro Museo del Castello.

Alla realizzazione dell’evento contribuiranno varie realtà: oltre all’associazione Culturale Folkgiornale, Associazione Glesie Furlane di Villanova di San Daniele del Friuli e la Clape Culturâl Patrie dal Friûl, con il patrocinio della Provincia di Udine e della Comunità Collinare del Friuli, che da anche il contributo, il Comune di Ragogna (con il patrocinio all’iniziativa e la concessione d’uso del castello), la Edit Eventi di Spilimbergo che curerà Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni, inserendo le manifestazione tra gli appuntamenti di maggior spicco di un festival internazionale come Folkest.

castello di ragogna

Lino Straulino

Lino Straulino

 

 

 

 

 

 

 

Domenie ai 12 di Jugn dal 2016.

Domenica 12 giugno 2016.

Program da zornade

Programma della Giornata

10.00 messe pal Beât Bertrand cu lis

Lino Straulino

Bintars

musicheis da vecje tradizion dal Patriarcjat (santa messa per il Beato Betrando di Aquieia con le musiche della vecchia tradizione del Patriarcato di Aquileia).

11.15 visite al cjistiel, par cure dal Grup Archeologjic Reunia (visita al castello a cura del Gruppo Archeologico Reunia).

11.45 aperitîf salvadi (aperitivo selvatico)

12.15 a gustà cu la Sedon (a pranzo con la Sedon Salvadie)

Tal salon dal cjistiel (Nel salone del castello)

14.30 Andrea Del Favero e Glauco Toniutti – savôrs e sunôrs dal Friûl, ienfri musiche e ricetis dai cogos     da storie dal Friûl (Andrea Del Favero e Glauco Toniutti – sapori e suoni dal Friuli, tra musiche e ricette dei cuochi della storia del Friuli)

15.45 Memoreant Beltram: storiis sul Patriarcje  (In ricordo di Bertrando: storie sul Patriarca)

Tal curtîl dal cjistiel

Nel cortile del castello

concierts dai grups musicâi

concerti con i gruppi musicali

16.00 Carantan

16.45 I Bintars

17.30 Lino Straulino

18.15 La Sedon Salvadie

19.00 Si sune e si fâs fieste ducj insieme

Si suona e si fa festa tutti insieme

Si mangje e si bêf par furlan.

Si mangia e si beve in friulano

Si podaran comprà discs e libris su la culture Furlane.

Potrano essere acquistati dischi e libri sulla cultura Friulana.

febbraio 29, 2016

Una canzone può cambiare la sorte di una persona?

Nella storia della musica ci sono molte canzoni che hanno segnato l’esistenza dei loro autori. Cercherò di ricordarne alcune che hanno avuto riscontro in una parte di pubblico soprattutto giovanile, sensibile e pacifista.
Senza andare in ordine nel tempo ma riferendomi agli anni sessanta e settanta, mi vengono in mente le canzoni che maggiormente sono entrate nel cuore e nella mente di milioni di persone in tutto il mondo e non sono più uscite. Naturalmente mi riferisco a quei brani che in maniera decisa si scontravano con il pensiero politico, la guerra, il razzismo, la libertà di pensiero.
Tutti sappiamo che i maestri, allora censurati, combattuti, perseguitati sono stati ancor prima degli anni sessanta, Woody Guthrie e Pete Seeger. E proprio da una ballata di Arlo Guthrie, figlio di Woody che vorrei partire. La canzone, lunga 18 minuti, racconta la storia vera di Arlo, arrestato nel novembre del 1965 in un centro di reclutamento a Manhattan, dopo una visita psichiatrica per verificare i requisiti militari e la capacità conseguente di uccidere bambini, violentare donne e sterminare interi villaggi.

Arlo Guthrie

Arlo Guthrie

La canzone è naturalmente Alice’s Restaurant scritta nel 1967 e alla quale si ispira l’omonimo film del 1969 di Arthur Penn, che diventa molto popolare tra i figli dei fiori ma anche un punto di riferimento, per il dialogo, la libertà e la fraternizzazione. Per chi non lo sapesse il ristorante si trovava in una chiesa sconsacrata di Great Barrington nello stato del Massachusetts.
Un’altra canzone che dovrebbe essere riascoltata spesso e nel tempo è sicuramente Ohio, scritta da Neil Young e pubblicata come singolo nel 1970 da Crosby, Stills, Nash & Young. Il brano racconta quanto avvenuto nel campus della Kent University nello stato dell’Ohio il 4 maggio 1970, quando la Guardia Nazionale sparò ad altezza uomo contro i manifestanti, uccidendo quattro studenti. Il governatore d’allora ne chiese l’immediata censura ritenendola un incitamento alla violenza. Forse molti non sanno che la Guardia Nazionale era una forza militare di riserva e fu utilizzata proprio negli anni sessanta e settanta contro le manifestazioni studentesche. Alla Guardia Nazionale facevano soprattutto parte i figli privilegiati di una ben determinata classe sociale e in questa maniera non venivano arruolati nell’esercito in partenza per il Vietnam.


Young affermò nelle note interne dell’antologia Decade del 1976 come i disordini alla Kent State University fossero stati “probabilmente la più grande lezione mai ricevuta circa la violazione dei diritti civili su suolo americano”, e ricordò che David Crosby pianse quando finirono di registrare il brano.
Dopo questa canzone, il movimento statunitense di controcultura considerò C.S.N.Y. dalla propria parte, dando ai quattro musicisti lo status di leader e portavoce delle istanze libertarie del movimento contestatario per tutto il decennio successivo.
Un’altra canzone scritta per diretta esperienza della sua autrice Joan Baez, è Where Are You Now, My Son? Una chiara e netta denuncia alle bombe sganciate dai suoi connazionali nel dicembre 1972 ad Hanoi. Le urla di una madre che sembra canti mentre dice I miei figli, i miei figli, dove siete ora figli miei? I suoi figli erano da qualche parte, in una tomba di fango e lei come un vecchio gatto li cercava dove li aveva visti prima delle bombe.
Questa canzone e la registrazione diretta sul luogo del massacro provocarono una reazione tale nella destra statunitense tanto che Joan Baez già perseguitata per anni, e incarcerata nel 1967 dove partorì suo figlio nel 1969, continuò ancora di più il suo impegno contro la guerra.

JOAN BAEZ

JOAN BAEZ

Nel 1969 uscì un album con una ballata che occupava tutto il lato B del disco. S’intitolava Monster e fu considerato un capolavoro assoluto degli Steppenwolf, gruppo formato da John Kay (voce) e da Jerry Edmonton (batterista). Anche questo brano era lungo venti minuti circa e ripercorreva la storia degli Stati Uniti con l’arrivo dei profughi religiosi che rubavano la terra ai nativi per costruire la grande nazione e raccontava degli abusi, della corruzione, della guerra civile.
La musica di John Kay ha sempre avuto un sottofondo di coscienza sociale. Da ragazzo fuggì dalla Prussia Orientale con la madre e successivamente seguì la strada del Rock’n’roll mentre ascoltava la radio delle forze armate degli Stati Uniti nella Germania Ovest. Queste prime esperienze lasciarono un segno indelebile su Kay e aprirono la strada ad un impegno per la musica potente e testi significativi. Questo impegno fu cementato nel 1965, quando Kay partecipò ad un seminario di canzoni d’attualità al Newport Folk Festival con Bob Dylan e Phil Ochs. La musica degli Steppenwolf diventò la colonna sonora della guerra del Vietnam e Monster l’inno dei manifestanti.

Steppenwoolf

Steppenwoolf

Un’altra canzone che segnò la vita di John Lennon, componente dei Beatles e baronetto inglese, fu sicuramente Give Peace a Chance nel 1969. Il brano che divenne un messaggio universale di milioni di persone in ogni parte del mondo, cantato nelle manifestazioni pacifiste assieme alla già celebre We Shall Overcome. La vita di Lennon dopo lo scioglimento con i Beatles e il trasferimento negli Stati Uniti cambiò radicalmente. Costretto nel nuovo paese per i suoi ideali politici, iniziò proprio con questa canzone ed in seguito con Imagine e molte altre, una crociata pacifista contro la guerra in Vietnam. Iniziò inoltre a difendere i musicisti dai predoni delle case discografiche aderendo al Rock Liberation Front, a solidarizzare con Le Pantere Nere, a partecipare ai raduni, a deprecare la repressione violenta nelle carceri con la canzone Attica State, a condannare il colonialismo britannico nell’Irlanda del Nord. Con Yoko Ono condusse una battaglia assolutamente storica ma ebbe vita molto dura dato che fu spiato fino alla sua morte avvenuta nel dicembre del 1980 ad opera di un pazzo che gli ha sparato. Naturalmente questo omicidio resta ancora oggi una incognita per il semplice fatto che Lennon fu sorvegliato a vista, ottenne la cittadinanza americana nel 1975 dopo una prova di forza con le autorità che nel 1973 gli intimarono di allontanarsi dal paese.

John Lennon

John Lennon

Una canzone che cambiò la vita al suo autore fu nel 1969 Le Métèque, tradotta in italiano da Bruno Lauzi con l’assistenza del suo autore Moustaki stesso che l’italiano lo parlava in casa da piccolo, essendo la sua una famiglia di ebrei sefarditi originari di Corfù, isola greca ionica dove però l’italiano era lingua corrente e storica. Métèque in italiano si traduce con meticcio. Nell’antica Atene i meteci erano gli stranieri greci residenti nelle città dell’Attica per un periodo determinato. Questi stranieri erano obbligati a iscriversi ad una lista, avere un protettore e pagare una tassa. Nella tripartizione delle classi, i meteci stavano in mezzo tra i cittadini e i non liberi.
George Moustaki con questa canzone volle rispondere ad una amica che lo aveva chiamato appunto métèque, non riconoscendolo francese puro ovvero immigrato. La canzone quindi nascondeva un significato profondo, diventò un inno all’essere straniero con la semplicità delle parole al fine di farsi capire meglio alla donna che lui desiderava.
Nacque un capolavoro.
Moustaki aveva la gran dote dell’intelligenza e dell’equilibrio e continuò rigorosamente la sua strada senza scendere a compromessi ideologici e commerciali, non preoccupandosi di scontentare coloro che lo avevano esaltato, per seguire solamente il suo istinto, la sua vena.
Ancora oggi la maggior parte della gente ricorda Lo Straniero:

Geoge Moustaki

George Moustaki

CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
SONO SOLTANTO UN UOMO VERO
ANCHE SE A VOI NON SEMBRERA’
CON GLI OCCHI CHIARI COME IL MARE
CAPACI SOLO DI SOGNARE
MENTRE ORAMAI NON SOGNO PIU’
META’ PIRATA META’ ARTISTA
UN VAGABONDO UN MUSICISTA CHE RUBA
QUASI QUANTO DA’
CON QUESTA BOCCA CHE BERRA’
DA OGNI FONTANA CHE VEDRA’
E FORSE MAI SI FERMERA’
CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
HO ATTRAVERSATO LA MIA VITA
SENZA SAPERE DOVE ANDARE
È STATO IL SOLE DELL’ESTATE
E MILLE DONNE INNAMORATE A MATURARE LA MIA ETA’
HO FATTO MALE A VISO APERTO
E QUALCHE VOLTA HO ANCHE SOFFERTO
SENZA PERO’ PIANGERE MAI
E LA MIA ANIMA SI SA
IN PURGATORIO FINIRA’
SALVO UN MIRACOLO ORAMAI
CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
SOPRA UNA NAVE ABBANDONATA
SONO ARRIVATO FINO A TE
E ADESSO TU SEI PRIGIONIERA
DI QUESTA SPLENDIDA CHIMERA E
DI QUESTO AMORE SENZA ETA’
SARAI REGINA E REGNERAI
LE COSE CHE TU SOGNERAI
DIVENTERANNO REALTA’
IL NOSTRO AMORE DURERA’
PER UNA BREVE ETERNITA’
FINCHE’ LA MORTE NON VERRA’
IL NOSTRO AMORE DURERA’
PER UNA BREVE ETERNITA’
FINCHE’ LA MORTE NON VERRA’

In questo articolo ho descritto le mie conoscenze personali nell’intento di risaltare un contenuto sociale ancora indistinto, da trovare e ricercare in certi momenti per uscire dal groviglio psicologico della mia educazione mai sinceramente definita per posarsi su constatazioni di sofferenze umane e di dolore.

Gloria Berloso

Gloria Berloso

febbraio 6, 2016

Chiude Ghiaccio Bollente. Carlo Massarini racconta la sua straordinaria esperienza.

La musica non nasce per caso e non è fine a sé stessa. Le sue radici sono nella vita dell’uomo e nella società in cui questi vive. Esistono periodi di tempo nella storia della musica che non hanno solo nomi, ma anche una immensa biblioteca ed esigono un particolare senso nel tempo. Le difficoltà che inevitabilmente si trova davanti chi è sprovvisto di cultura in questo campo non così familiare a tutti, frenano generalmente il naturale desiderio di conoscere e di capire, benché le prospettive che così si aprono meritino la più intensa partecipazione dell’intelletto, e l’esperienza piuttosto insolita di scoprire che una storia anche in settori della vita apparentemente statici e, in confronto al nostro divenire umano, del tutto esenti da ogni forma di mutamento, ingenera e giustifica una certa perplessità. Ma le possibilità che si offrono sono considerevoli. Le successive trasformazioni della musica, che tutti noi oggi conosciamo con una certa precisione, costituiscono un discorso storico che può essere ricollegato con l’epoca storica, nel significato comune del termine. In questo campo le grandezze assolute restano sempre le costanti fondamentali. Oggi le nostre conoscenze sono molto più estese di quelle delle passate generazioni, anche nel campo della musica, ma queste conoscenze si imperniano sulle nostre capacità di riflessione e di associazione, senza le quali non sarebbero comunicabili né d’altra parte accessibili al nostro intelletto in modo diverso da prima. La comunicazione a onde cerebrali e vibrazioni sonore sono un veicolo di possibilità d’incontro fra chi scrive musica e chi l’ascolta. La musica e le canzoni però devono avere un ruolo sempre essenziale nella società e non si possono liquidare semplicemente ascoltando in cuffia suoni distorti; le emozioni che una canzone comunica si possono percepire molto di più a un concerto e comunque da registrazioni effettuate con veri strumenti musicali. Il suono e la voce sono elementi essenziali per esprimere al meglio quello che vogliamo e desideriamo comunicare.
La musica è sempre riuscita a far comunicare tutti coloro che cercano la libertà, che sono contro la guerra, i fili spinati, le barriere, lo stato di polizia violenta. La lotta è sempre al centro dell’attenzione quando a farne le spese sono i più poveri, i più sfortunati e chi desidera solo la pace. La gente sta sempre con la massa, la gente teme la diversità, soprattutto culturale; la gente esalta la violenza con la quale pensa di esercitare un potere sugli altri e respinge la bellezza diversa, il colore, l’incrocio. Se guardiamo l’arcobaleno, è formato da vari colori, nessuno di essi prevale sull’altro e sono tutti belli. È così che dovrebbe essere la gente, dovrebbe brillare sempre con i suoi colori, i suoi incroci e rispettare la libertà di tutti. L’arcobaleno forma un arco che tocca la terra, il mare ed il cielo ed insegna a tenerci per mano e a percepire anche il vuoto riempito d’aria, quell’aria che tutta la gente deve respirare per continuare a vivere.
Dal nostro immaginario peschiamo le parole per trasmetterle alla gente che non smette mai di formare un mezzo cerchio esattamente come l’arcobaleno. La gente ha i suoi colori quando ti circonda, incrocia le braccia quando sceglie la pace; la gente sa ch’è giusto essere libera d’ascoltare e di capire, solo così la diversità può essere annullata.
Carlo Massarini, ha continuato ad esprimere la sua passione di comunicatore, la sua vocazione di trasmettere al grande pubblico arte e conoscenze che sono il patrimonio o l’esperienza solo di pochi. In uno strano meccanismo la direzione RAI ha deciso con una semplice comunicazione di chiudere l’eccellente (ed unica nel suo genere) trasmissione Ghiaccio Bollente su RAI 5, ideata da Paolo Giaccio e condotta da Massarini. Il mio sconcerto come quello di chi ascolta la radio e la televisione per seguire concerti importanti e in modo esclusivo la musica, è visibile. Si sono elevate numerose proteste e critiche da parte di giornalisti, dal popolo del web e dai musicisti. È evidente che la nuova classe dirigente RAI la musica non la “sente” o forse c’è qualcosa di ancora più inquietante nei corridoi del palazzone?
In una intervista esclusiva di Alberto Marchetti, il conduttore Carlo Massarini risponde alle sue domande e chiarisce molti aspetti interessanti di questo sistema.
Gloria Berloso

Carlo Massarini

Carlo Massarini

• Proprio in questi giorni si parla di una sospensione di Ghiaccio Bollente, magazine in onda in seconda serata su Rai 5, l’unica trasmissione rimasta sulla buona musica di ogni genere, l’unica capace ancora di informare su un universo culturale tagliato completamente fuori dai palinsesti. Una brutta notizia che ha scatenato il web, con una petizione on line che ha raccolto in pochi giorni migliaia di firme.
A – Ciao Carlo, parlami di Ghiaccio Bollente.
Ghiaccio Bollente è stata un’idea di Paolo Giaccio, l’ultima idea prima di andare in pensione, a lui si deve l’intuizione di Mr Fantasy, è stato lui a volerla, Rai 5 ci ha concesso questo spazio, uno spazio interessante perché è una specie di Stereonotte televisivo. Non era mai successo che ci fosse musica da mezzanotte circa fino alle 5 del mattino, musica di ottima qualità, in maniera così organica, strutturata, tutte le notti, con una programmazione che puoi sapere in anticipo in modo da scegliere cosa vedere, seguire, registrare, con materiali sonori più o meno rari dalle teche rai, e anche di acquisto. Su questo abbiamo aggiunto il magazine con l’ora settimanale di materiale prodotto da noi, lì ho cercato di fare un’operazione di storicizzazione e narrazione, la cosa più interessante che ora si possa fare, raccontare delle storie, raccontarle bene, con dovizia di particolari, con notizie e filmati d’epoca.
È un po’ il lavoro che sta facendo Buffa per il calcio, Lucarelli per la cronaca, io ho cercato di raccontare soprattutto le storie di persone evidentemente poco conosciute in Italia, come alcuni bluesmen, a partire da B.B. King, Hawling Wolf, Chuck Berry, Muddy Waters, gli Staples Singers, e anche alcune storie di rock come a esempio quella di Winwood dei Traffic, storie di rock che sono radicate nel mio dna prima ancora che nel mio cuore; quindi monografie di grandi come David Bowie, Brian Ferry, oppure una serata molto bella, intensa, lunga, tutta dedicata a Lou Reed. Insomma, arrivati a questo punto della storia del rock, magari anche solo per un fattore generazionale, più che impazzire per le nuove band, che francamente mi lasciano quasi sempre un po’ così, mi sono dedicato al racconto di band epocali del passato.
Ci sono naturalmente molti artisti interessanti come gli Arcade Fire, Kamasi Washington è un artista interessante, amante della contaminazione, a lui abbiamo dedicato spazio proprio da poco, ma in generale poche produzioni sono storicamente all’altezza di altri decenni passati. Anche questo potrebbe non voler dire nulla, diciamo allora che è proprio un mio sentire, per me Jackson Browne rappresenta molto di più di cantori del nuovo decennio.
Ma non siamo sordi a quel che di buono arriva da produzioni anche indipendenti, e abbiamo promosso, nell’ultimo semestre, i dischi del mese, mettendo in risalto proprio questo genere di musica, uno spazio certo non immenso, alla fine presentiamo 9 dischi per 3 minuti a testa, mettendo quei dischi, belli e sorprendenti, che spesso è molto difficile scovare, scoprire, a meno di lanci improvvisi. Per esempio di jazz abbiamo presentato l’album “Mockroot” di Tigran Hamasyan, che è un album di grande spessore, ricco di contaminazioni, abbiamo consigliato Charles Lloyd, il vecchio sassofonista che riportò in scena Michael Petrucciani, poi album rock molto particolari, cantautori meno ascoltati ma non per questo minori, quasi impossibili da trovare per un ascoltatore normale, e ti dico Father John Misty o Iosonouncane con uno dei migliori album italiani dell’anno.
Se non leggi le riviste settoriali, o se non sai cosa cercare nel mare di internet, se non incroci le informazioni, come puoi scovare cose tanto nascoste? Se uno fa un programma deve farlo come lo vorrebbe vedere da ascoltatore, per lo meno io ho sempre la curiosità di sentire cose belle lontane dai soliti suoni, diverse nell’intenzione e nel modo. È un paradosso, lo so.

Per voi giovani 1971

Per voi giovani 1971

Quando eravamo ragazzi noi, mi ricordo, se amavi i Traffic e volevi ascoltare un loro brano dovevi comprare le riviste, cercare le tue informazioni, chiedere in giro, parlare con gli altri appassionati; adesso che l’informazione è totale, ora che puoi sapere tutto di tutti perché hai internet, Wikipedia, i social, Amazon, in questo di tutto su tutti, su così tante persone, si capovolge il problema, e più che mai serve una guida per districarsi in questo arcipelago sconosciuto. Ho realizzato quindi questa rubrica proprio perché mi immedesimo in un ascoltatore medio alla ricerca di cose che valgono, di sorprese, di emozioni sempre più rare nel già sentito di tutti i canali fotocopia.
Poi abbiamo avuto quest’idea delle interviste approfondite, che non sono quelle stereotipate del tg, interviste che rivelano fatti originali, curiosità, il coinvolgimento emotivo dell’artista, dove c’è chi ride, chi si arrabbia, mostrando l’uomo oltre l’artista.
E ancora c’è la storicizzazione, perché i ragazzi di oggi sanno poco delle radici, del percorso che ha portato ai loro attuali beniamini, perché non sanno come andare indietro, quali percorsi seguire, non c’è spesso tempo, voglia o competenza per risalire un fiume che non ha un solo ramo ben definito, ma mille rivoli paralleli e spesso confluenti o divergenti. Io per esempio ho avuto una botta di blues una quindicina di anni fa, ho iniziato ad acquistare molti album del genere, sono tornato pian piano alla visione d’insieme, fino a comprendere buona parte della complessità. Come tutti sono preso dalle mie passioni, quella volta per esempio a quarant’anni, e prima avevo avuto innamoramenti per altri generi, sempre alla ricerca di una sorta di guida, oltre quello che si riesce a trovare da soli, perché hai bisogno di qualcuno che ti descriva le strade che poi puoi anche scegliere di non seguire. Ma le sai. La storicizzazione credo sia fondamentale per mettere tutto in prospettiva, per capire il valore di ciò che è accaduto in passato e comprendere meglio il tratto musicale contemporaneo.
A – Ho avuto modo di vederti su palchi importanti nell’ultimo anno, a L’Aquila per esempio, o a Roma per gli aiuti al Nepal.
Come si fa a dire di no richieste del genere? Mi sono sembrate iniziative nobili, degne di nota fin dall’inizio, fare il presentatore di grandi palchi non è esattamente il mio mestiere anche se l’ho fatto più di qualche volta. A Roma per esempio, per il Namaskar for Nepal (24 settembre 2015), la serata era costruita bene, eclettica, non solo rock, non solo jazz ma musiche molto diverse, a volte addirittura opposte, tutte comunque di qualità, fatte da persone di grandi capacità, evidentemente anche con un grande cuore perché comunque venire a proprie spese un po’ da tutta Italia è stato, come dire, sicuramente un bel gesto da parte di tutti quei musicisti. Ho trovato che molte delle persone che suonavano, molti dei musicisti che ho presentato io non li conoscevo neanche, prendi Jaka, o il sorprendente Joyeaux, i Bandabardò li conoscevo poco, però la cosa bella è che si è creato un clima fantastico, non solo sul palco ma anche nel retro, tutti erano contenti di esserci, nonostante la pioggia, nonostante la poca voglia della gente di rischiare, di mettersi in macchina con un tempo così incerto, però c’era un grande piacere, e anche un filo di orgoglio nell’essere lì, prima, nell’esserci stati, poi. Tutti disposti addirittura a tornare, così si diceva nel retro palco, concordi, perché era stato davvero peccato fosse stata fatta una cosa così bella per così poca gente. È segno che la cosa è piaciuta, non solo da un punto di vista musicale ma proprio da un punto di vista di spirito.
Credo si rifarà. Ovviamente bisognerà trovare una nuova data in cui tutti o la maggior parte degli artisti presenti saranno liberi, trovare una sala a Roma, chiusa, che abbia dei costi ragionevoli, perché l’auditorium sarebbe perfetto, ma purtroppo è carissimo. Quindi c’è un insieme di cose da cercare, da valutare, è una congiunzione rara quella di una serata come questa passata, una congiunzione che va evidentemente ritrovata, si, c’è tutta la voglia e il piacere di ripeterla.
A “Il Jazz Italiano per L’Aquila” (6 settembre 2015) sono stato invitato da Luciano Linzi e Paolo Fresu, era un po’ un paradosso, io lavoro per Rai 5, e per questa iniziativa per Rai 5, la mia struttura produttiva, la richiesta mi è giunta dall’esterno. Mi sono sentito onorato, conoscevo molti dei musicisti presenti, alcuni erano stati anche ospiti su Ghiaccio Bollente, ma avere una sorta di investitura da parte dei jazzisti italiani mi è sembrata una cosa davvero emozionante, bella, mi sono divertito a farla, ho sentito musiche che non conoscevo, tutte comunque straordinarie, non solo sul palco principale la sera ma anche andando in giro per la città. È stata una giornata davvero memorabile, non si era mai riunito tutto intero l’universo del jazz, intorno a una iniziativa nobile, evidentemente questa de L’Aquila è una motivazione molto forte, un po’ come per il Nepal per certi versi, una città a solo un centinaio di chilometri da Roma ferita da un terremoto violento, che fa fatica a riprendersi e dove soprattutto fa fatica a rinascere una vita culturale che c’era sempre stata.
Vedere 40.000 persone, come si è detto, sciamare per L’Aquila, riprenderne possesso, reimmettendo emozione, cultura, sentimento, è stata una vera gioia. Ho fatto un giro nel pomeriggio, ed era intrigante questo viaggiare da un concerto all’altro, sorridendo, lasciandosi trascinare dai flussi e dalle musiche, con i musicisti che si ritrovavano in mezzo alla folla, con le marching bands a rallegrare le vie piene di impalcature, e poi ti ritrovavi vicino a Trovesi, oppure alla Marcotulli, in uno scambio emotivo intensissimo.
Forse nessuno si aspettava tanto afflusso, ma in certe situazioni qui devi sempre essere molto cauto, non ne ho parlato con loro, ma immagino, si organizza una cosa bella, e lo sai che è bella, sai che arriverà tanta gente, ovvio, però è la prima volta, quanta gente arriverà? L’Aquila è un posto relativamente piccolo, la gente deve partire da Roma, Pescara, evidentemente c’è stato un richiamo molto forte, quindi si, ti aspetti che al concerto della sera ci sia gente ma hai sempre l’incognita della prima volta. Ebbene, c’è stata sicuramente più gente di quella che si aspettavano, da una previsione di ventimila ne sono arrivate il doppio, quelle che sono mancate sono le strutture del posto. Essendo una città con un centro storico non pienamente funzionale sono mancati i luoghi dove rifocillarsi, l’anno prossimo sapendo già la dimensione dell’affluenza la città si organizzerà sicuramente meglio. A noi portarci un maglione e una giacca a vento per non soffrire il freddo. L’Aquila non è Roma.
A – Dal punto di vista delle informazioni e della capacità di farsi guida, penso che Mr Fantasy sia stato un programma davvero epocale.
Si, la cosa nuova giusto al momento giusto, mettiamola così, la prima trasmissione al mondo a trasmettere video musicali, una grande intuizione di Paolo in un momento molto creativo, erano finiti gli anni settanta che erano stati anche loro anni creativi certo, ma anche anni molto difficili, gli anni di piombo, non c’erano più i concerti, la musica era stata sacrificata, la musica era importante ma faticava a ritrovarsi, si viveva un momento molto cupo, teso. Poi a contrasto sono arrivati gli ottanta che come spesso capita erano esattamente il contrario, colorati, anche frivoli, leggeri, ma anche di grandi contaminazioni, entrava prepotente l’elettronica, si allargava la world-music nel rock, il rock ampliava enormemente le sue sonorità.
Mr Fantasy (1981 – 1984) è stato un programma nato sull’onda di quel momento creativo, Milano stava vivendo anni di grande vitalità, di grande fermento, intorno alla scuola di architettura che si chiamava Menphis, dove lavoravano Mendini, Sottsass, grandi designer che hanno dato un impulso eccezionale al design italiano, e noi ci siamo trovati lì, con questa idea in mano, quella di una trasmissione incentrata sui videoclip, ai quali aggiungere i nostri, una serie di videoclip prodotti direttamente da noi, altra idea geniale, che ci proiettò subito avanti, molto più avanti di tutto quello che c’era in giro, che nel tempo ha un po’ lasciato il concetto di video solo musicali per diventare poi un programma di videoteatro, animazione, trasformando il video clip come forma breve di racconto compiuto, un punto di riferimento per tutti quelli che volevano fare danza, teatro, pubblicità, videoarte, e noi siamo stati in quegli anni al centro di questo movimento visivo, l’abbiamo anticipato e poi raccontato, fatto vedere.
È un programma durato relativamente poco, solo quattro anni, ma è un programma che proprio perché nato nel momento giusto, con la formula giusta, era tutto al suo posto, c’era un fantastico designer televisivo, Convertino, che utilizzando il cromakie e quest’idea di uno studio tutto bianco, l’iperspazio lo chiamavamo, dove entravo da un tunnel a marcare il cambio dimensionale, c’erano questi videoclip prodotti da noi che nella loro ingenuità primigenia permisero a tanti artisti di avere visibilità e un seguito.
Fummo noi a interrompere la programmazione, la Rai si era trovata in mano questa trasmissione nata un po’ di nascosto, quasi un programma del sottoscala, costava poco, ce l’avevano fatto fare senza sapere esattamente la forza di quella creazione, senza immaginare dove saremmo andati a parare.
La cosa poi ha funzionato e naturalmente erano tutti contenti, ma la fermammo noi, perché eravamo convinti in quel momento di poter lasciare il campo del video che aveva ormai dilagato, ce l’avevano tutti, ogni tv commerciale riempiva i palinsesti di video, non avevamo più quella sensazione di essere esclusivi anche sulle grandi prime uscite, avevamo poi altri progetti in cantiere, ci sentivamo molto creativi. Eravamo convinti delle nostre idee, fino ad abbandonare la trasmissione in fase alta, mentre era ancora un programma di culto.
Ripartimmo subito con Non Necessariamente (1986), che era un progetto di viaggi immateriali, precorreva internet, c’era la memoria, il computer, questa rete che catturava, si viaggiava in un mondo virtuale attraverso una mappa, un browser, una grande intuizione anche lì, forse non supportata dalla necessaria esperienza, troppo complessa dal punto di vista tecnologico, troppo visionaria, per la produzione richiedeva mesi e mesi di preparazione, e si sa che le cose troppo complesse poi diventano ostiche, il pubblico alla fine non si ritrovò. Ma sono orgoglioso d’averla fatta, a guardarla adesso è certo un filo datata, ma i mezzi erano davvero elementari a confronto con quelli contemporanei, si faceva in un pomeriggio di post produzione quello che oggi un ragazzo fa in mezz’ora col proprio pc, ma dal punto di vista concettuale, di ideazione, ancora oggi è un programma molto avanti.
Oggi programmi così la Rai non li farebbe proprio, non c’è più il piacere della sperimentazione, oggi la Rai punterebbe a programmi dal budget ridotto e dal massimo ascolto possibile, già allora fu possibile realizzare quel programma solo per l’onda di entusiasmo generata da Mr Fantasy, chiunque altro avrebbe ricevuto risposta negativa. Eravamo al posto giusto nel momento giusto, le circostanze erano favorevoli.
Mediamente (1995 – 2002) è stata un’altra grande intuizione, questa volta di Renato Parascandolo, che conoscevo come collaboratore di Per voi giovani, in radio, era quello impegnato socialmente e politicamente, di quelli che andavano nelle fabbriche a intervistare gli operai, consapevoli che col digitale stesse arrivando una nuova rivoluzione non solo nella comunicazione, era il 1994, internet non era ancora nulla, forse c’era qualche motore di ricerca rudimentale, fu un altro momento chiave per la creatività per chi aveva la giusta visionarietà, e invece che prendere esperti informatici ci avvalemmo di studenti in filosofia, quindi capaci di leggere meglio le ricadute della tecnologia sulla società, altra idea geniale.
A – Quali musicisti ricordi con più piacere?
Bob Marley rimane il più grande, quasi mitologico nel vero senso della parola, Marley era più di un cantante, era un leader spirituale, aveva evidentemente una missione, un uomo dal carisma immane. È stato un incontro bello, emozionante, e nel tempo ci siamo incrociati ancora, nel 1977, poi in Italia nel 1980, la sua presenza fisica e carismatica è la più forte che io abbia mai incontrato. Questo
indipendentemente dalla musica, che trovo comunque fantastica, resta il più grande interprete del roots reggae, e in giro ricordo che c’erano Peter Tosh, i Burning Spear, i Black Uhuru, insomma una scena eccezionale, che riempiva gli stadi, un genere tornato un po’ nella penombra.

Jackson Browne-Carlo-Massarini

Jackson Browne – Carlo Massarini

Poi ce ne sono stati tanti altri, Jackson Browne, di cui tradussi i testi in italiano, con lui ci fu un feeling particolare, era un comunicatore, capace di rendere universali le sue cose, le sue sensazioni, aveva il dono di una poetica di grande afflato pur parlando di sentimenti e sensazioni molto private. Fu una delle mie passioni più forti, era in quegli anni in una fase compositiva straordinaria, penso ad alcune canzoni come “Before the Deluge”, con una forza evocativa unica.

carlo massarini e massimo villa nello studio di popoff

Carlo Massarini e Massimo Villa nello studio di Popoff

A quel tempo erano necessarie operazioni di questo tipo, nei 70 prima di andare in radio (1973 – 1977 Popoff e Radio2 21.29) mi traducevo io i testi delle canzoni per la trasmissione, quelli di Zappa, Mitchell, Coen, Dylan. Allora bisognava tradurre i testi per conoscere gli artisti e i loro messaggi, i testi di quel periodo erano importanti e gli italiani proprio non parlavano inglese, un’operazione quasi didattica, mia e dei miei colleghi, per capire e far capire percorsi e temi. Mi è sempre stata congeniale questa posizione di mezzo tra le cose belle e quelli che le volevano conoscere, coerente con tutto quello che ho fatto, sia per la musica che per la tecnologia. Mi ci trovo a mio agio.

Alberto Marchetti

Alberto Marchetti

 

 

 

 

Intervista a cura di Alberto Marchetti

Gloria Berloso

Gloria Berloso

 

 

Prefazione e pubblicazione a cura di Gloria Berloso

gennaio 11, 2016

Starman David Bowie se n’è andato

Non sapevo che ora fosse, le luci erano basse, mi appoggiai comodamente, ascoltando la radio. Dei musicisti jazz suonavano rock and roll e molto soul, dissero. Poi il suono parve farsi sempre meno forte ritornò come una voce piana in un’onda di fase. Non erano di certo dei disc-jockeys, quelli: era una strana burla cosmica.

In cielo c’è un ultra terrestre, un uomo delle stelle. Vorrebbe venire a farsi conoscere, ma pensa che le nostre menti salterebbero a causa sua. Un ultra terrestre sta attendendo in cielo. Ci ha detto di non sbagliare, perché sa che è necessario. Mi ha detto: “lascia che i bambini perdano, lascia che i bambini facciano, lascia che i bambini ballino”. Sentivo il bisogno di telefonare a qualcuno, così ho chiamato te.

Hey, incredibile, l’hai sentito pure tu?

Se accendi il televisore, può darsi che lo prendiamo sul secondo canale. Guarda fuori la finestra, vedo la sua luce. Se riusciamo a fargli dei segnali, è possibile che atterri questa notte. Ma non dirlo a papà, perché ci chiuderebbe dentro per paura.

Reise ins Labyrinth, Die USA 1986 Regie: Jim Henson Darsteller: David Bowie Rollen: Koboldkoenig Jareth

Reise ins Labyrinth, Die USA 1986 Regie: Jim Henson Darsteller: David Bowie Rollen: Koboldkoenig Jareth

David Bowie, spesso disilluso ha abbandonato varie volte le scene. Il suo animo sensibile e i paurosi esaurimenti nervosi vinti dalla sua creatività lo hanno portato a ritornarci sempre con un gusto ed un culto dell’estetica che pochi artisti sono riusciti ad esaltare al pari suo. Bowie è sempre stato pronto a fare del nuovo, dello strabiliante, del rock che non risentiva delle influenze Dylaniane. Le sue canzoni sono fascinose, provocatorie, eccellentemente ben strutturate dal punto di vista musicale e in netto contrasto con l’ambiente americano. C’è tristezza quando dedica alcune note a Bob Dylan; ammirazione e tanta ironia nelle note dedicate a Andy Warholl; c’è rottura dopo i contrastanti rapporti con l’ex amico Lou Reed con la canzone del travestito Queen Bitch. Bowie è il marziano che diventa il simbolo del neo edonismo inglese con tutta la sensualità di Oscar Wilde, scrittore maledetto e rinnegato di Doryan Gray.

David Bowie 2Dorian Gray è Bowie per il quale il narcisismo Wildiano non può far a meno di tingersi di toni avveniristici. All’estrema fragilità e debolezza del personaggio Bowie non resta che l’ironia, il sarcasmo su di sé e sul suo successo nell’enorme circo che è il rock dove David è il clown, il travestito, il marziano, il cosmico menestrello.

Nel bellissimo disco Ziggy Stardust. uscito negli anni ’70 parla di sé, della sua bellezza, del suo super io, di Doryan Gray, e anche se i loro nomi non compaiono, il brano ne è intriso sino a trasudare gli effetti in un edonismo lampante.

David Bowie non ha mai però imposto nulla al pubblico, lui crea per il pubblico, cerca di provocare la curiosità e l’immaginazione, è libero da qualsiasi mercificazione. Lo ho dimostrato con il suo ultimo video in un letto d’ospedale. Per quanto ogni giudizio sul personaggio Bowie sia azzardato, credo che rimanga uno dei più grandi artisti in cui la comunicatività è spinta al massimo.

Non intendo dare delle indicazioni su cosa ascoltare di David Bowie; credo valga la pena di ascoltare tutto ciò ha creato, non solo la sua ultima opera Blackstar. La sua musica è per dirla con un termine inglese, exciting, una sorta di eccitazione che ne deriva dall’ascoltarla che non è tutta e solo fisica ma va al di là dei cinque sensi, ed arriva ad investire le sfere profonde del nostro cervello.

La sua voce ha sempre avuto una efficacia tutta sua ed un fascino magnetico; sempre modulata con immensa maestria, toccando ora toni bassi e gravi, ora raggiungendo falsetti leziosi e quasi femminili.

Avessi potuto catturare anche una sola goccia di tutta l’estasi che ci pervase quel pomeriggio, poter disegnare quell’amore su di un pallone bianco, e farlo volare dalla cima più alta di tutte le cime che l’uomo ha celato dietro il suo cervello.

Gloria Berloso