Posts tagged ‘Maria Cuono’

luglio 11, 2018

Fragile e Fiera, il nuovo album di Serena Finatti

Serena Finatti

Serena Finatti

 

 La cantautrice friulana che vive a Fiumicello, lo stesso paese di Giulio Regeni, barbaramente torturato e ucciso al Cairo nel 2016, in questo album dedica proprio a Giulio una canzone “Chissà”, immaginandolo come un ragazzino che studia, sogna e spera un futuro di libertà per tutti, e un progetto di vita da realizzare. Un racconto che implica il dolore vero dell’intera comunità di questa piccolo paese che a sostegno della famiglia Regeni, cerca e vuole giustizia.
 Tutto il disco ha dei contenuti di spessore sociale e politico, dall’attacco immediato di “Presunta Realtà”, brano acceso e vibrante, a “Trasparenze” con le maschere che sbiadiscono svelando il vero intento di illudere tutti noi; da “Per un click”, una vetrina amaramente finta a “Nove vite” dove il gatto sceglie la vita tra la casa, la strada o il gattile. Da “Fragile e Fiera”, toccante canzone che parla di libertà d’amare, della fragilità e la fierezza di una madre con un vissuto difficile e doloroso ad “Abbracciami”; ed infine la bellissima canzone friulana di altri autori “Anìn a Grîs ”, per perdersi nell’oscurità fra la sterpaglia e senza soldi. Il testo è una poesia scritta in friulano dalla poetessa friulana Maria Grazia Di Gleria e la musica è del maestro Marco Liverani.

“Andiamo a grilli stasera, tra erba e terra vicino al Tagliamento
Andiamo a smarrirci nell’oscurità tra cespugli e cielo,senza bisacce né quattrini Ricchi di libertà, a raccogliere granelli di vita e respiri d’aria pura
E a dormire profondamente sul letto argentato dell’acqua,
senza timore d’annegare:meraviglia d’un sangue,
lontani dalla brina e dal mucido dei cimiteri.
Andiamo a stelle stanotte,con occhi scalzi e musica,
nel fiato caldo della nostra piccola poesia’’
La Finatti affronta le tragiche realtà per indurre le nuove generazioni che si scontrano ed incontrano la velocità, a riflettere e a lottare per la pace e la libertà”

 

Ogni funzione umana dipende sempre dal nostro contatto con il mondo esterno ed impariamo a formulare pensieri osservando gli altri, ad amare e ad aver cura degli altri, accostandoci a loro, ed impariamo a frenare i nostri impulsi di ostilità ed egoismo per amore. Quando l’umanità si contrasta con gli interessi della sua vera natura, la sua capacità d’amare si impoverisce e comincia a desiderare il potere sugli altri. Così diminuisce la sua sicurezza interiore ed è avviata a cercare una compensazione, perdendo il senso della dignità costringendola a trasformarsi in merce.
  L’album riflette e specchia la realtà e lo fa attraverso i sogni che parlano d’amore e di pace, e attraverso la musica, ritrova una dimensione più intima con la chitarra acustica, le combinazioni armoniche e ritmiche, e gli arrangiamenti di Andrea Varnier, eccellente e prezioso chitarrista che costruisce emozioni intorno la voce intonata di Serena Finatti e il suo piano. Molto bello l’effetto con loop station che permette ai due musicisti di giocare con la voce sovrapponendo le linee vocali e gli strumenti.
Gli altri protagonisti sono:
Pietro Sponton, ottimo percussionista, diplomato al conservatorio Tartini di Trieste e con numerosi anni di studio della batteria con Adolfo Del Forno.
L’ensemble vocale di sette giovani tra i 12 e i 24 anni, i Sing&Feel.

Per quanto riguarda la copertina e il libretto, ho trovato difficoltà a leggere i testi.
Le tracce su CD non lasciano respiro perché tra l’una e l’altra non c’è sfumatura per lasciar pensiero e suspence a chi lo ascolta ma forse è semplicemente una scelta di produzione. Nel complesso l’opera è pregevole e significativa, come d’altronde lo sono i precedenti lavori di Serena e Andrea. Bravissimi!!!

 Gloria Berloso

aprile 5, 2016

Del Sangre – Il Ritorno dell’Indiano

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Del Sangre

 

Il volto indiano di Geronimo rimanda ad una vecchia foto virata color seppia, colore della sabbia rossa del deserto americano, quello immaginato e sognato, quello dei canyon e delle rapide, quello del Mississippi e quello della polvere incollata alla faccia dei cercatori d’oro e dei poveri disperati diseredati di tutte le terre del mondo, finiti là, nel vecchio, maledetto, amatissimo Ovest americano.

Luca Mirti: voce chitarra, Marco “Schuster” Lastrucci: basso, Fabrizio Morganti: batteria, Giuseppe Scarpato: chitarra, Claudio Giovagnoli: sax, Paolo “Pee Wee” Durante: organo Hammond e Gianfilippo Boni: pianoforte e Wurlitzer hanno realizzato questo nuovo lavoro firmato Del Sangre con dieci canzoni nuove e un brano di Ivan Della Mea (Sebastiano) hanno presentato Il ritorno dell’Indiano.

Track List del nuovo CD:

1 – L’INDIANO

2 – UNA CHITARRA PER LA RIVOLUZIONE

3 – GAETANO BRESCI

4 – SUCCESSE DOMANI

5 – FUORI DAL GHETTO

6 – ALZA LE MANI

7 – SACRA CORONA UNITA

8 – SCARPE STRETTE

9 – GLI OCCHI DI GERONIMO

10 – ARGO SECONDARI

11 – SEBASTIANO

Il titolo del disco rivela in sostanza il ritorno del gruppo rock fiorentino che ha prodotto fra il 1999 e il 2010 altri sei dischi di notevole importanza sia per l’impegno sociale che per l’influenza musicale di artisti come Springsteen e i Clash. Si comprende quindi che le sonorità sono molto rock, in alcuni tratti originali, in altri con assoli più cattivi con la chitarra solista che travalica l’altra chitarra soprattutto nel brano d’apertura e dà un senso di confusione forse voluta. I trascinanti fraseggi dell’Hammond e del sax, ben inseriti in un background ritmico molto carico e ben costruito, hanno un carattere molto dinamico, sono carichi di sentimento e rivelano una certa abilità tecnica. Molto buono pure il lavoro del pianoforte. Il lutto che attraversa tutto il disco è un sentimento alto, forte, perché individua senza mistificazioni di sorta l’aporia sanguinosa della quale si nutre l’intera Storia e la cultura degli Stati Uniti. Solo in quest’ottica il genocidio dei nativi americani vive in tutto il suo orrore. Non esiste il capitalismo gentile. O dentro o fuori.

Il 5 settembre 1886 la notizia si sparse come un baleno in tutti gli Stati Uniti: il capo della tribù degli Apache, Geronimo, si era arreso per l’ultima volta nei pressi di Fort Bowie, in Arizona. Con Geronimo c’erano quindici uomini, undici donne e sei bambini. Ci erano voluti 5000 soldati, un quarto dell’intera forza dell’esercito, per arrestarlo. L’epica storia di Geronimo, la sua ascesa a leader indiano, ammirato per intelligenza e coraggio, temuto sia dagli occhi bianchi che dalla sua stessa gente, la sua decisione di resistere alla ghettizzazione dei nativi americani nelle riserve.

Avevo sangue sul vestito quando mi misero in ginocchio e fui portato in aula con le catene con le catene ai polsi e le ferite ancora aperte Giura di dire il vero, giura su Dio Ma Vostro Onore la verità non la saprà dalla mia bocca più che da ogni carogna che ho fatto fuori Ogni banchiere in doppio petto, ogni custode del rispetto Credo che mentirei chiedendo scusa Avevo una famiglia ed un lavoro almeno onesto e i miei capelli bianchi troppo presto Tagli al personale fu tutto quello che mi fu detto senza nemmeno un grazie, senza un saluto E la mia casa presto aveva un cielo come tetto quando la banca se la portò via e non rimase niente, salvo il riflesso di uno specchio dove ho paura anche a guardarci dentro Avevo i denti consumati e il sangue freddo nelle mani quando premetti il dito sul grilletto e non provai rimorso quando li stesi tutti dentro in quella fossa prima di me stesso Un uomo a 40 anni ed una vita devastata non mi hanno piegato, neanche un momento Si sono presi tutto ma non lo sguardo di quel tempo Con gli occhi di Geronimo li ho guardati

Geronimo fu chiamato anche il Sognatore, perché Geronimo riferiva di avere il potere di vedere il futuro; in effetti all’epoca di Cochise (“Kociss”, Coltello) era lo sciamano della tribù. Geronimo combatté contro un sempre maggior numero di truppe messicane e statunitensi e divenne famoso per il suo coraggio e per essere sfuggito numerose volte alla cattura. Le forze di Geronimo divennero l’ultimo grande gruppo di combattimento di pellerossa che si rifiutarono di riconoscere il governo degli Stati Uniti nel West. Questa lotta giunse a termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al generale Nelson Miles dell’esercito statunitense, a Skeleton Canyon, Arizona. Geronimo venne mandato in prigione in Florida. Nel 1894 venne trasferito a Fort Sill (Oklahoma). In età avanzata Geronimo divenne una specie di celebrità, ma non gli fu permesso di fare ritorno alla sua terra natia. Cavalcò durante la parata inaugurale del Presidente Theodore Roosevelt, nel 1905. Geronimo morì di polmonite a Fort Sill il 17 febbraio 1909.

GAETANO BRESCI – Nella sua fotografia più nota Gaetano Bresci ci appare come un distinto signore dall’aspetto curato, con i baffi impomatati, le punte rivolte appena all’insù, giacca nera, camicia bianca e farfallino. Non a caso, fin da ragazzo, a Prato, era stato soprannominato il «paino», ovvero il damerino: un nomignolo che gli era sempre andato un po’ stretto. Trascorre l’infanzia a Prato, dove la sua vita lavorativa inizia a soli undici anni, per quattordici ore al giorno, dal lunedì al sabato, con la domenica trascorsa alle scuole comunali per imparare a decorare la seta. La prima volta in galera è a 23 anni, con l’accusa di aver insultato una guardia. Il confino, invece, a 26, sull’isola di Lampedusa, per aver partecipato a scioperi e manifestazioni anarchiche. Tornato a casa, trova lavoro in Garfagnana e mette incinta una donna. Riconosce il figlio, si assicura che abbia di che vivere, e poi parte per gli Stati Uniti, in cerca di fortuna, e all’inizio del 1898 si trasferisce a Paterson, The Silk City, la città della seta che stava a una trentina di chilometri a nord di New York, nel New Jersey. Fabbriche su fabbriche e il fiume Passaic ai piedi delle colline: Paterson, all’arrivo di Bresci, accoglieva una comunità di circa cinquemila italiani. Gli anarchici erano almeno un migliaio, si radunavano in circoli, nei bar, leggevano e parlavano, perché in America, a parte la paga migliore, si poteva anche discutere senza il rischio di venire arrestati. Per questo aveva scelto Paterson. Sembrava che gli anarchici fossero tutti lì. Nel frattempo, a poche settimane dall’arrivo, Bresci conosce una giovane ricamatrice di origine irlandese di nome Sophie Knieland, che diventerà sua moglie. La loro luna di miele, però, è funestata dall’eco dei moti di Milano, la grande protesta popolare contro il caro vita, duramente repressa nel sangue. Vendicare i morti di Milano: sembra essere questo il movente principale del gesto di Bresci. Incominciò a organizzare il ritorno in Italia con largo anticipo, sfruttando i biglietti a prezzi scontati messi a disposizione per visitare l’Esposizione parigina. Ad amici e parenti raccontò che tornava a Prato per rivedere la famiglia e risolvere alcune questioni patrimoniali.

Mentre in America gli anarchici dibattevano, Gaetano pensò che era tempo di agire e quando si imbarcò per Le Havre, il 17 maggio 1900, aveva uno stipendio buono, un cottage a West Hoboken, una figlia di un anno e una moglie che ancora non sapeva di essere nuovamente incinta. Passando per Parigi e Genova, dopo un soggiorno a Prato dai parenti, Bresci approda nella Milano stretta dall’afa, e da lì si sposta a Monza. Il 29 luglio, elegante come sempre, va in giro per la città con la macchina fotografica al collo. Mangia ben cinque gelati al Caffè del Vapore, poi si mescola alla folla che assiste al passaggio del sovrano gli spara nel petto tre colpi con la sua Harrington & Richardson calibro 38 a cinque colpi, acquistata a New York prima d’imbarcarsi. Il primo colpo è per i morti di Milano, le «vittime pallide e sanguinanti del generale Bava Beccaris, per il potere che elargisce medaglie agli assassini e piombo agli sfruttati». Il secondo colpo è per i compagni di Paterson costretti all’esilio, «per gli operai e le operaie che la fame e le persecuzioni hanno allontanato dalle proprie case. Per tutti gli anarchici reclusi, confinati, accerchiati dal mare su un’isola prigione». Il terzo colpo è per la sua infanzia negata, la breve infanzia trascorsa a Prato, «avvilita dal lavoro ottimizzato che non dà tregua». Non si sa se ci fu un quarto colpo, la cronaca su questo punto non è chiara. In ogni caso tre furono sufficienti. Nel libro di Pasi, autore e giornalista del tg3, non mancano i riferimenti alla stampa del tempo; alle pubblicazioni libertarie – L’Aurora, La Questione Sociale e Il Risveglio –, che descrivono Bresci come un eroe, e ai giornali filogovernativi, che lo rappresentano come un pazzo o come il mero esecutore di un grande complotto. Il processo si svolse con una rapidità insolita. Giudicato colpevole del delitto di regicidio, con sentenza del 29 agosto 1900, Gaetano Bresci fu condannato alla pena dell’ergastolo, di cui i primi sette anni da scontarsi in segregazione cellulare continua. Ufficialmente si impiccò nella sua cella nel carcere di Santo Stefano il 22 maggio del 1901, ma non aveva con sé altro oggetto se non un fazzoletto, e secondo i medici che effettuarono l’autopsia, il corpo era in stato di decomposizione troppo avanzato per essere morto da sole 48 ore. La versione ufficiale è che sia morto in carcere, più probabile che sia stato riempito di botte dalle guardie, non c’era neanche la sua tomba, prima che l’anarchico e poeta del vino Luigi Veronelli la individuasse e mettesse una croce di legno nel giardino del carcere.(Fonte Pasi)

ARGO SECONDARI – nasce a Roma il 12 settembre 1895. Di estrazione sociale borghese è il quinto di sette figli. Dopo la prematura morte della madre, sebbene giovanissimo, viene fatto imbarcare come mozzo in una nave in partenza per il Sud America, dove, fatte perdere le proprie tracce, vive di espedienti. Tra le varie professioni esercita anche quella di pugile ed entra in contatto con i circoli sovversivi dell’emigrazione italiana. È sicuramente questa scuola di vita che forgia il suo carattere barricadero, generoso e ribelle e che, allo scoppio del conflitto mondiale, lo conduce, al pari di molti sindacalisti rivoluzionari a fare ritorno in Italia per arruolarsi -assieme ai fratelli- nella guerra contro gli imperi centrali. Partito come soldato semplice, durante il conflitto mondiale, raggiunge il grado di tenente del battaglione Studenti degli Arditi. Decorato con tre medaglie al valor militare, nel dopoguerra è uno dei fondatori dell’Associazione tra gli Arditi. Nel luglio 1919 pianifica, di concerto con elementi anarchici e repubblicani, un tentativo insurrezionale che dal Forte di Pietralata si sarebbe dovuto estendere ai quartieri popolari della capitale. Ma il piano fallisce e i congiurati arrestati. Secondari riesce a sfuggire alla cattura e dopo un breve periodo di latitanza sui monti vicino Bevagna viene arrestato mentre cerca di espatriare in Svizzera. Grazie ad un’amnistia, torna libero nel marzo del ‘20. Due mesi dopo, in maggio, è il principale promotore, in seno alla sezione romana dell’Ass. Arditi, dell’espulsione dal direttivo degli Arditi legati alle correnti politiche d’ordine e reazionarie (fascisti e nazionalisti). A più riprese S. cerca di far scendere in piazza gli Arditi romani al fianco dei lavoratori in occasione delle agitazioni del “Biennio rosso” ma nel complesso i suoi tentativi falliscono. Secondari si dimette da ogni carica direttiva. La sua figura riemerge prepotente dalle ceneri dell’arditismo l’anno successivo, nel pieno dilagare dello squadrismo fascista. È infatti Secondari che, di concerto con gli Arditi Piccioni e Baldazzi, legati ad un’altra associazione la “Fratellanza tra gli Arditi d’Italia” e l’anarchico interventista Attilio Paolinelli fonda, negli ultimi giorni del Giugno 1921, gli Arditi del Popolo: la prima milizia paramilitare della classe operaia Estromesso, nell’ottobre dello stesso anno, dall’associazione da lui stesso fondata, a causa dei dissidi con l’ala dell’organizzazione legata ai partiti e alla politica, Secondari cerca, senza riuscirvi, di raccogliere nuove forze attorno ad un nuovo progetto di milizia antifascista. Nell’ottobre del ‘22, nei giorni della marcia su Roma, Secondari viene aggredito sotto casa da una squadraccia di fascisti, tutti armati di bastone. Nella lotta furibonda egli, coraggioso ma solo, viene più volte colpito alla testa da violente bastonate. Dall’aggressione non si riprenderà più. Trasferitosi col fratello a Camerino, nel 1924 viene internato dalle autorità fasciste nel locale manicomio criminale. Traferito, in seguito, in quello di Montefiascone e, definitivamente, in quello di Rieti. Sepolto dalla vendetta dello stato fascista tra le mura del sanatorio della cittadina laziale, Secondari trova la morte, dopo 17 anni di internamento coatto, il 17 marzo 1942.(Fonte P.S.)

Le lacrime dell’indiano sono vere, le canzoni le piangono per tutti i Geronimo e gli eroi della storia. Loro non avrebbero pianto. Così noi piangiamo per loro.

Come tributo a Ivan Della Mea i Del Sangre hanno scelto non a caso un eroe operaio: SEBASTIANO. Le canzoni di Della Mea facevano da colonna sonora alle proteste degli studenti e degli operai e parlavano una lingua diretta, al punto da introdurre naturalmente e felicemente i comizi più partecipati e le manifestazioni più intense. Ivan ha cantato, scritto, parlato la politica e le lotte, ma soprattutto i sentimenti, i rapporti che a quelle lotte davano, e se non vogliamo farlo morto, daranno ancora un senso.

Sebastiano l’operaio

il terrone da catena

licenziato stamattina

e stasera alla fontana

Accusato di violenza

contro i capi, terrorista,

perché oggi chi picchetta

quanto meno è brigatista

   VIVA LA FIAT

Licenziato con sessanta

che con lui fa sessantuno

tutti quanti terroristi

mentre il terrorista è uno

Terrorista è chi ci nega il diritto alla ragione

alla lotta per la vita

contro la disperazione

     VIVA LA FIAT

Controllare le assunzioni

poi schedare il personale

concordare pseudo-lotte

e alla fine licenziare

Incastrare il sindacato

ingolfare la sinistra

è il progetto dichiarato

del padrone terrorista

   VIVA LA FIAT

Col sorriso doppiopetto

il fumeè – democrazia

la mattia ci licenzia

e poi svelto corre via

Lo ritrovi in Quirinale

“Anche questa è una scelta”

per mostrare al presidente

la sua nuova Lancia Delta

Una lancia per lo stato

nato dalla Resistenza

o per la Costituzione

certo contro la violenza

Di sessanta Sebastiano

il terrone terrorista

perché oggi chi picchetta

quanto meno è brigatista

Liquidato con sessanta

che con lui fa sessantuno

tutti quanti terroristi

mentre il terrorista è uno

L’estrema umanità di queste canzoni non fa che confermare la validità di questo lavoro e dei suoi autori, in storie toccanti e spietate, dove l’animo umano, vagliato in profondità, viene messo a nudo, anche questo, in un contrasto tra gioventù e vecchiaia, tra l’amaro sapore del ricordo e la consapevolezza del tempo perduto, tra l’insensibilità, che purtroppo ci circonda, ed il sottile velo che separa la realtà dal fantasioso e sognante mondo interiore dell’uomo. Credo che sia giusto ascoltare questo album. La netta suddivisione tra il bene ed il male, tra il buono ed il cattivo, tanto difficile da riconoscere nel nostro tempo piuttosto ipocrita, ci tranquillizza, è la nostra fortezza della solitudine, uno dei nostri ultimi conforti.

SCARPE STRETTE   *****

C’è chi piange troppo per sperare

che forse un giorno sorriderà

e chi spera troppo per pensare

che quel giorno non piangerà

È una scelta vivere o morire

testa o croce prendere o lasciare

chiedi al sangue che ti ha dato un nome

quanta vita ancora puoi versare

Mio padre sicuro, mi tiene per mano

l’inferno non brucia, il passo è deciso

la prima scopata, bicchieri di vino

polmoni bruciati, non sei più un bambino

Ti guardi allo specchio, i solchi sul viso

e quanto hai pagato ti ha tolto il sorriso

Ti accorgi di colpo che la strada è sterrata

Le scarpe più strette di quelle che avevi,

quando sei partito…

C’è chi un tempo ha scelto di fuggire

e chi ha scelto di morire qua

Chi ha lasciato lacrime di sale

su autostrade senza un’anima.

È una sfida a chi corre più forte

auto truccate lanciate in corsa

Il traguardo ai cancelli del cielo

Un traguardo tagliato a forza…

 

 Autrice articolo

Gloria Berloso

Gloria Berloso

febbraio 6, 2016

Chiude Ghiaccio Bollente. Carlo Massarini racconta la sua straordinaria esperienza.

La musica non nasce per caso e non è fine a sé stessa. Le sue radici sono nella vita dell’uomo e nella società in cui questi vive. Esistono periodi di tempo nella storia della musica che non hanno solo nomi, ma anche una immensa biblioteca ed esigono un particolare senso nel tempo. Le difficoltà che inevitabilmente si trova davanti chi è sprovvisto di cultura in questo campo non così familiare a tutti, frenano generalmente il naturale desiderio di conoscere e di capire, benché le prospettive che così si aprono meritino la più intensa partecipazione dell’intelletto, e l’esperienza piuttosto insolita di scoprire che una storia anche in settori della vita apparentemente statici e, in confronto al nostro divenire umano, del tutto esenti da ogni forma di mutamento, ingenera e giustifica una certa perplessità. Ma le possibilità che si offrono sono considerevoli. Le successive trasformazioni della musica, che tutti noi oggi conosciamo con una certa precisione, costituiscono un discorso storico che può essere ricollegato con l’epoca storica, nel significato comune del termine. In questo campo le grandezze assolute restano sempre le costanti fondamentali. Oggi le nostre conoscenze sono molto più estese di quelle delle passate generazioni, anche nel campo della musica, ma queste conoscenze si imperniano sulle nostre capacità di riflessione e di associazione, senza le quali non sarebbero comunicabili né d’altra parte accessibili al nostro intelletto in modo diverso da prima. La comunicazione a onde cerebrali e vibrazioni sonore sono un veicolo di possibilità d’incontro fra chi scrive musica e chi l’ascolta. La musica e le canzoni però devono avere un ruolo sempre essenziale nella società e non si possono liquidare semplicemente ascoltando in cuffia suoni distorti; le emozioni che una canzone comunica si possono percepire molto di più a un concerto e comunque da registrazioni effettuate con veri strumenti musicali. Il suono e la voce sono elementi essenziali per esprimere al meglio quello che vogliamo e desideriamo comunicare.
La musica è sempre riuscita a far comunicare tutti coloro che cercano la libertà, che sono contro la guerra, i fili spinati, le barriere, lo stato di polizia violenta. La lotta è sempre al centro dell’attenzione quando a farne le spese sono i più poveri, i più sfortunati e chi desidera solo la pace. La gente sta sempre con la massa, la gente teme la diversità, soprattutto culturale; la gente esalta la violenza con la quale pensa di esercitare un potere sugli altri e respinge la bellezza diversa, il colore, l’incrocio. Se guardiamo l’arcobaleno, è formato da vari colori, nessuno di essi prevale sull’altro e sono tutti belli. È così che dovrebbe essere la gente, dovrebbe brillare sempre con i suoi colori, i suoi incroci e rispettare la libertà di tutti. L’arcobaleno forma un arco che tocca la terra, il mare ed il cielo ed insegna a tenerci per mano e a percepire anche il vuoto riempito d’aria, quell’aria che tutta la gente deve respirare per continuare a vivere.
Dal nostro immaginario peschiamo le parole per trasmetterle alla gente che non smette mai di formare un mezzo cerchio esattamente come l’arcobaleno. La gente ha i suoi colori quando ti circonda, incrocia le braccia quando sceglie la pace; la gente sa ch’è giusto essere libera d’ascoltare e di capire, solo così la diversità può essere annullata.
Carlo Massarini, ha continuato ad esprimere la sua passione di comunicatore, la sua vocazione di trasmettere al grande pubblico arte e conoscenze che sono il patrimonio o l’esperienza solo di pochi. In uno strano meccanismo la direzione RAI ha deciso con una semplice comunicazione di chiudere l’eccellente (ed unica nel suo genere) trasmissione Ghiaccio Bollente su RAI 5, ideata da Paolo Giaccio e condotta da Massarini. Il mio sconcerto come quello di chi ascolta la radio e la televisione per seguire concerti importanti e in modo esclusivo la musica, è visibile. Si sono elevate numerose proteste e critiche da parte di giornalisti, dal popolo del web e dai musicisti. È evidente che la nuova classe dirigente RAI la musica non la “sente” o forse c’è qualcosa di ancora più inquietante nei corridoi del palazzone?
In una intervista esclusiva di Alberto Marchetti, il conduttore Carlo Massarini risponde alle sue domande e chiarisce molti aspetti interessanti di questo sistema.
Gloria Berloso

Carlo Massarini

Carlo Massarini

• Proprio in questi giorni si parla di una sospensione di Ghiaccio Bollente, magazine in onda in seconda serata su Rai 5, l’unica trasmissione rimasta sulla buona musica di ogni genere, l’unica capace ancora di informare su un universo culturale tagliato completamente fuori dai palinsesti. Una brutta notizia che ha scatenato il web, con una petizione on line che ha raccolto in pochi giorni migliaia di firme.
A – Ciao Carlo, parlami di Ghiaccio Bollente.
Ghiaccio Bollente è stata un’idea di Paolo Giaccio, l’ultima idea prima di andare in pensione, a lui si deve l’intuizione di Mr Fantasy, è stato lui a volerla, Rai 5 ci ha concesso questo spazio, uno spazio interessante perché è una specie di Stereonotte televisivo. Non era mai successo che ci fosse musica da mezzanotte circa fino alle 5 del mattino, musica di ottima qualità, in maniera così organica, strutturata, tutte le notti, con una programmazione che puoi sapere in anticipo in modo da scegliere cosa vedere, seguire, registrare, con materiali sonori più o meno rari dalle teche rai, e anche di acquisto. Su questo abbiamo aggiunto il magazine con l’ora settimanale di materiale prodotto da noi, lì ho cercato di fare un’operazione di storicizzazione e narrazione, la cosa più interessante che ora si possa fare, raccontare delle storie, raccontarle bene, con dovizia di particolari, con notizie e filmati d’epoca.
È un po’ il lavoro che sta facendo Buffa per il calcio, Lucarelli per la cronaca, io ho cercato di raccontare soprattutto le storie di persone evidentemente poco conosciute in Italia, come alcuni bluesmen, a partire da B.B. King, Hawling Wolf, Chuck Berry, Muddy Waters, gli Staples Singers, e anche alcune storie di rock come a esempio quella di Winwood dei Traffic, storie di rock che sono radicate nel mio dna prima ancora che nel mio cuore; quindi monografie di grandi come David Bowie, Brian Ferry, oppure una serata molto bella, intensa, lunga, tutta dedicata a Lou Reed. Insomma, arrivati a questo punto della storia del rock, magari anche solo per un fattore generazionale, più che impazzire per le nuove band, che francamente mi lasciano quasi sempre un po’ così, mi sono dedicato al racconto di band epocali del passato.
Ci sono naturalmente molti artisti interessanti come gli Arcade Fire, Kamasi Washington è un artista interessante, amante della contaminazione, a lui abbiamo dedicato spazio proprio da poco, ma in generale poche produzioni sono storicamente all’altezza di altri decenni passati. Anche questo potrebbe non voler dire nulla, diciamo allora che è proprio un mio sentire, per me Jackson Browne rappresenta molto di più di cantori del nuovo decennio.
Ma non siamo sordi a quel che di buono arriva da produzioni anche indipendenti, e abbiamo promosso, nell’ultimo semestre, i dischi del mese, mettendo in risalto proprio questo genere di musica, uno spazio certo non immenso, alla fine presentiamo 9 dischi per 3 minuti a testa, mettendo quei dischi, belli e sorprendenti, che spesso è molto difficile scovare, scoprire, a meno di lanci improvvisi. Per esempio di jazz abbiamo presentato l’album “Mockroot” di Tigran Hamasyan, che è un album di grande spessore, ricco di contaminazioni, abbiamo consigliato Charles Lloyd, il vecchio sassofonista che riportò in scena Michael Petrucciani, poi album rock molto particolari, cantautori meno ascoltati ma non per questo minori, quasi impossibili da trovare per un ascoltatore normale, e ti dico Father John Misty o Iosonouncane con uno dei migliori album italiani dell’anno.
Se non leggi le riviste settoriali, o se non sai cosa cercare nel mare di internet, se non incroci le informazioni, come puoi scovare cose tanto nascoste? Se uno fa un programma deve farlo come lo vorrebbe vedere da ascoltatore, per lo meno io ho sempre la curiosità di sentire cose belle lontane dai soliti suoni, diverse nell’intenzione e nel modo. È un paradosso, lo so.

Per voi giovani 1971

Per voi giovani 1971

Quando eravamo ragazzi noi, mi ricordo, se amavi i Traffic e volevi ascoltare un loro brano dovevi comprare le riviste, cercare le tue informazioni, chiedere in giro, parlare con gli altri appassionati; adesso che l’informazione è totale, ora che puoi sapere tutto di tutti perché hai internet, Wikipedia, i social, Amazon, in questo di tutto su tutti, su così tante persone, si capovolge il problema, e più che mai serve una guida per districarsi in questo arcipelago sconosciuto. Ho realizzato quindi questa rubrica proprio perché mi immedesimo in un ascoltatore medio alla ricerca di cose che valgono, di sorprese, di emozioni sempre più rare nel già sentito di tutti i canali fotocopia.
Poi abbiamo avuto quest’idea delle interviste approfondite, che non sono quelle stereotipate del tg, interviste che rivelano fatti originali, curiosità, il coinvolgimento emotivo dell’artista, dove c’è chi ride, chi si arrabbia, mostrando l’uomo oltre l’artista.
E ancora c’è la storicizzazione, perché i ragazzi di oggi sanno poco delle radici, del percorso che ha portato ai loro attuali beniamini, perché non sanno come andare indietro, quali percorsi seguire, non c’è spesso tempo, voglia o competenza per risalire un fiume che non ha un solo ramo ben definito, ma mille rivoli paralleli e spesso confluenti o divergenti. Io per esempio ho avuto una botta di blues una quindicina di anni fa, ho iniziato ad acquistare molti album del genere, sono tornato pian piano alla visione d’insieme, fino a comprendere buona parte della complessità. Come tutti sono preso dalle mie passioni, quella volta per esempio a quarant’anni, e prima avevo avuto innamoramenti per altri generi, sempre alla ricerca di una sorta di guida, oltre quello che si riesce a trovare da soli, perché hai bisogno di qualcuno che ti descriva le strade che poi puoi anche scegliere di non seguire. Ma le sai. La storicizzazione credo sia fondamentale per mettere tutto in prospettiva, per capire il valore di ciò che è accaduto in passato e comprendere meglio il tratto musicale contemporaneo.
A – Ho avuto modo di vederti su palchi importanti nell’ultimo anno, a L’Aquila per esempio, o a Roma per gli aiuti al Nepal.
Come si fa a dire di no richieste del genere? Mi sono sembrate iniziative nobili, degne di nota fin dall’inizio, fare il presentatore di grandi palchi non è esattamente il mio mestiere anche se l’ho fatto più di qualche volta. A Roma per esempio, per il Namaskar for Nepal (24 settembre 2015), la serata era costruita bene, eclettica, non solo rock, non solo jazz ma musiche molto diverse, a volte addirittura opposte, tutte comunque di qualità, fatte da persone di grandi capacità, evidentemente anche con un grande cuore perché comunque venire a proprie spese un po’ da tutta Italia è stato, come dire, sicuramente un bel gesto da parte di tutti quei musicisti. Ho trovato che molte delle persone che suonavano, molti dei musicisti che ho presentato io non li conoscevo neanche, prendi Jaka, o il sorprendente Joyeaux, i Bandabardò li conoscevo poco, però la cosa bella è che si è creato un clima fantastico, non solo sul palco ma anche nel retro, tutti erano contenti di esserci, nonostante la pioggia, nonostante la poca voglia della gente di rischiare, di mettersi in macchina con un tempo così incerto, però c’era un grande piacere, e anche un filo di orgoglio nell’essere lì, prima, nell’esserci stati, poi. Tutti disposti addirittura a tornare, così si diceva nel retro palco, concordi, perché era stato davvero peccato fosse stata fatta una cosa così bella per così poca gente. È segno che la cosa è piaciuta, non solo da un punto di vista musicale ma proprio da un punto di vista di spirito.
Credo si rifarà. Ovviamente bisognerà trovare una nuova data in cui tutti o la maggior parte degli artisti presenti saranno liberi, trovare una sala a Roma, chiusa, che abbia dei costi ragionevoli, perché l’auditorium sarebbe perfetto, ma purtroppo è carissimo. Quindi c’è un insieme di cose da cercare, da valutare, è una congiunzione rara quella di una serata come questa passata, una congiunzione che va evidentemente ritrovata, si, c’è tutta la voglia e il piacere di ripeterla.
A “Il Jazz Italiano per L’Aquila” (6 settembre 2015) sono stato invitato da Luciano Linzi e Paolo Fresu, era un po’ un paradosso, io lavoro per Rai 5, e per questa iniziativa per Rai 5, la mia struttura produttiva, la richiesta mi è giunta dall’esterno. Mi sono sentito onorato, conoscevo molti dei musicisti presenti, alcuni erano stati anche ospiti su Ghiaccio Bollente, ma avere una sorta di investitura da parte dei jazzisti italiani mi è sembrata una cosa davvero emozionante, bella, mi sono divertito a farla, ho sentito musiche che non conoscevo, tutte comunque straordinarie, non solo sul palco principale la sera ma anche andando in giro per la città. È stata una giornata davvero memorabile, non si era mai riunito tutto intero l’universo del jazz, intorno a una iniziativa nobile, evidentemente questa de L’Aquila è una motivazione molto forte, un po’ come per il Nepal per certi versi, una città a solo un centinaio di chilometri da Roma ferita da un terremoto violento, che fa fatica a riprendersi e dove soprattutto fa fatica a rinascere una vita culturale che c’era sempre stata.
Vedere 40.000 persone, come si è detto, sciamare per L’Aquila, riprenderne possesso, reimmettendo emozione, cultura, sentimento, è stata una vera gioia. Ho fatto un giro nel pomeriggio, ed era intrigante questo viaggiare da un concerto all’altro, sorridendo, lasciandosi trascinare dai flussi e dalle musiche, con i musicisti che si ritrovavano in mezzo alla folla, con le marching bands a rallegrare le vie piene di impalcature, e poi ti ritrovavi vicino a Trovesi, oppure alla Marcotulli, in uno scambio emotivo intensissimo.
Forse nessuno si aspettava tanto afflusso, ma in certe situazioni qui devi sempre essere molto cauto, non ne ho parlato con loro, ma immagino, si organizza una cosa bella, e lo sai che è bella, sai che arriverà tanta gente, ovvio, però è la prima volta, quanta gente arriverà? L’Aquila è un posto relativamente piccolo, la gente deve partire da Roma, Pescara, evidentemente c’è stato un richiamo molto forte, quindi si, ti aspetti che al concerto della sera ci sia gente ma hai sempre l’incognita della prima volta. Ebbene, c’è stata sicuramente più gente di quella che si aspettavano, da una previsione di ventimila ne sono arrivate il doppio, quelle che sono mancate sono le strutture del posto. Essendo una città con un centro storico non pienamente funzionale sono mancati i luoghi dove rifocillarsi, l’anno prossimo sapendo già la dimensione dell’affluenza la città si organizzerà sicuramente meglio. A noi portarci un maglione e una giacca a vento per non soffrire il freddo. L’Aquila non è Roma.
A – Dal punto di vista delle informazioni e della capacità di farsi guida, penso che Mr Fantasy sia stato un programma davvero epocale.
Si, la cosa nuova giusto al momento giusto, mettiamola così, la prima trasmissione al mondo a trasmettere video musicali, una grande intuizione di Paolo in un momento molto creativo, erano finiti gli anni settanta che erano stati anche loro anni creativi certo, ma anche anni molto difficili, gli anni di piombo, non c’erano più i concerti, la musica era stata sacrificata, la musica era importante ma faticava a ritrovarsi, si viveva un momento molto cupo, teso. Poi a contrasto sono arrivati gli ottanta che come spesso capita erano esattamente il contrario, colorati, anche frivoli, leggeri, ma anche di grandi contaminazioni, entrava prepotente l’elettronica, si allargava la world-music nel rock, il rock ampliava enormemente le sue sonorità.
Mr Fantasy (1981 – 1984) è stato un programma nato sull’onda di quel momento creativo, Milano stava vivendo anni di grande vitalità, di grande fermento, intorno alla scuola di architettura che si chiamava Menphis, dove lavoravano Mendini, Sottsass, grandi designer che hanno dato un impulso eccezionale al design italiano, e noi ci siamo trovati lì, con questa idea in mano, quella di una trasmissione incentrata sui videoclip, ai quali aggiungere i nostri, una serie di videoclip prodotti direttamente da noi, altra idea geniale, che ci proiettò subito avanti, molto più avanti di tutto quello che c’era in giro, che nel tempo ha un po’ lasciato il concetto di video solo musicali per diventare poi un programma di videoteatro, animazione, trasformando il video clip come forma breve di racconto compiuto, un punto di riferimento per tutti quelli che volevano fare danza, teatro, pubblicità, videoarte, e noi siamo stati in quegli anni al centro di questo movimento visivo, l’abbiamo anticipato e poi raccontato, fatto vedere.
È un programma durato relativamente poco, solo quattro anni, ma è un programma che proprio perché nato nel momento giusto, con la formula giusta, era tutto al suo posto, c’era un fantastico designer televisivo, Convertino, che utilizzando il cromakie e quest’idea di uno studio tutto bianco, l’iperspazio lo chiamavamo, dove entravo da un tunnel a marcare il cambio dimensionale, c’erano questi videoclip prodotti da noi che nella loro ingenuità primigenia permisero a tanti artisti di avere visibilità e un seguito.
Fummo noi a interrompere la programmazione, la Rai si era trovata in mano questa trasmissione nata un po’ di nascosto, quasi un programma del sottoscala, costava poco, ce l’avevano fatto fare senza sapere esattamente la forza di quella creazione, senza immaginare dove saremmo andati a parare.
La cosa poi ha funzionato e naturalmente erano tutti contenti, ma la fermammo noi, perché eravamo convinti in quel momento di poter lasciare il campo del video che aveva ormai dilagato, ce l’avevano tutti, ogni tv commerciale riempiva i palinsesti di video, non avevamo più quella sensazione di essere esclusivi anche sulle grandi prime uscite, avevamo poi altri progetti in cantiere, ci sentivamo molto creativi. Eravamo convinti delle nostre idee, fino ad abbandonare la trasmissione in fase alta, mentre era ancora un programma di culto.
Ripartimmo subito con Non Necessariamente (1986), che era un progetto di viaggi immateriali, precorreva internet, c’era la memoria, il computer, questa rete che catturava, si viaggiava in un mondo virtuale attraverso una mappa, un browser, una grande intuizione anche lì, forse non supportata dalla necessaria esperienza, troppo complessa dal punto di vista tecnologico, troppo visionaria, per la produzione richiedeva mesi e mesi di preparazione, e si sa che le cose troppo complesse poi diventano ostiche, il pubblico alla fine non si ritrovò. Ma sono orgoglioso d’averla fatta, a guardarla adesso è certo un filo datata, ma i mezzi erano davvero elementari a confronto con quelli contemporanei, si faceva in un pomeriggio di post produzione quello che oggi un ragazzo fa in mezz’ora col proprio pc, ma dal punto di vista concettuale, di ideazione, ancora oggi è un programma molto avanti.
Oggi programmi così la Rai non li farebbe proprio, non c’è più il piacere della sperimentazione, oggi la Rai punterebbe a programmi dal budget ridotto e dal massimo ascolto possibile, già allora fu possibile realizzare quel programma solo per l’onda di entusiasmo generata da Mr Fantasy, chiunque altro avrebbe ricevuto risposta negativa. Eravamo al posto giusto nel momento giusto, le circostanze erano favorevoli.
Mediamente (1995 – 2002) è stata un’altra grande intuizione, questa volta di Renato Parascandolo, che conoscevo come collaboratore di Per voi giovani, in radio, era quello impegnato socialmente e politicamente, di quelli che andavano nelle fabbriche a intervistare gli operai, consapevoli che col digitale stesse arrivando una nuova rivoluzione non solo nella comunicazione, era il 1994, internet non era ancora nulla, forse c’era qualche motore di ricerca rudimentale, fu un altro momento chiave per la creatività per chi aveva la giusta visionarietà, e invece che prendere esperti informatici ci avvalemmo di studenti in filosofia, quindi capaci di leggere meglio le ricadute della tecnologia sulla società, altra idea geniale.
A – Quali musicisti ricordi con più piacere?
Bob Marley rimane il più grande, quasi mitologico nel vero senso della parola, Marley era più di un cantante, era un leader spirituale, aveva evidentemente una missione, un uomo dal carisma immane. È stato un incontro bello, emozionante, e nel tempo ci siamo incrociati ancora, nel 1977, poi in Italia nel 1980, la sua presenza fisica e carismatica è la più forte che io abbia mai incontrato. Questo
indipendentemente dalla musica, che trovo comunque fantastica, resta il più grande interprete del roots reggae, e in giro ricordo che c’erano Peter Tosh, i Burning Spear, i Black Uhuru, insomma una scena eccezionale, che riempiva gli stadi, un genere tornato un po’ nella penombra.

Jackson Browne-Carlo-Massarini

Jackson Browne – Carlo Massarini

Poi ce ne sono stati tanti altri, Jackson Browne, di cui tradussi i testi in italiano, con lui ci fu un feeling particolare, era un comunicatore, capace di rendere universali le sue cose, le sue sensazioni, aveva il dono di una poetica di grande afflato pur parlando di sentimenti e sensazioni molto private. Fu una delle mie passioni più forti, era in quegli anni in una fase compositiva straordinaria, penso ad alcune canzoni come “Before the Deluge”, con una forza evocativa unica.

carlo massarini e massimo villa nello studio di popoff

Carlo Massarini e Massimo Villa nello studio di Popoff

A quel tempo erano necessarie operazioni di questo tipo, nei 70 prima di andare in radio (1973 – 1977 Popoff e Radio2 21.29) mi traducevo io i testi delle canzoni per la trasmissione, quelli di Zappa, Mitchell, Coen, Dylan. Allora bisognava tradurre i testi per conoscere gli artisti e i loro messaggi, i testi di quel periodo erano importanti e gli italiani proprio non parlavano inglese, un’operazione quasi didattica, mia e dei miei colleghi, per capire e far capire percorsi e temi. Mi è sempre stata congeniale questa posizione di mezzo tra le cose belle e quelli che le volevano conoscere, coerente con tutto quello che ho fatto, sia per la musica che per la tecnologia. Mi ci trovo a mio agio.

Alberto Marchetti

Alberto Marchetti

 

 

 

 

Intervista a cura di Alberto Marchetti

Gloria Berloso

Gloria Berloso

 

 

Prefazione e pubblicazione a cura di Gloria Berloso

settembre 8, 2015

A Icio Caravita il Premio Nazionale per la Canzone d’Autore di Vische e del Canavese-Festival Lanterne Rock 2015

La terza edizione del Premio Nazionale per la Canzone d’Autore di Vische e del Canavese, concorso per artisti e cantautori si è concluso. Inserito nell’edizione di Lanterne Rock Festival in scena a Vischesabato 5 e domenica 6 settembre 2015, gli artisti finalisti si sono esibiti nelle due serate. Dopo un primo esame e critica costruttiva alla fine della prima esibizione dove hanno presentato una canzone, nella seconda serata le esibizioni sono diventate molto più credibili ed ogni concorrente ha eseguito due o tre brani di loro composizione. In palio, oltre alle targhe commemorative, premi in denaro per 1000€ complessivi, la partecipazione ad una compilation realizzata da Tam Tam Producion, spazi promozionali radiofonici e televisivi, l’inserimento in diversi eventi organizzati dalla Carovana dei Festival e l’esibizione al prossimo “Nuovo MEI – Meeting degli Indipendenti a Faenza 1/4 ottobre 2015″ ed a ”Eurosong Indie Festival – Ventimiglia 12 e 13 settembre 2015” (in collaborazione con Mei/Audiocoop).

 

Il costo di iscrizione per l’edizione 2015 è stato di 40€ per band, 25€ per cantautori singoli. Una giuria di addetti ai lavori, diversa da quella che ha decretato il vincitore, ha valutato i progetti musicali degli artisti che si sono esibiti dal vivo al Festival Lanterne Rock del 5 e 6 settembre. La selezione è avvenuta tramite l’ascolto del materiale mp3 inviato mentre il vincitore è stato decretato sulla base dell’esibizione dal vivo da cinque giurati e il presidente di giuria. Sono stati valutati il testo, la musica, la tecnica vocale e musicale, l’arrangiamento e la presenza scenica

Il Premio Nazionale per la Canzone d’Autore di Vische e del Canavese, sotto la direzione artistica di Giorgio Giardina è una manifestazione aperta a tutti gli autori, cantautori, solisti o gruppi musicali, con contratto discografico in essere o liberi da vincoli contrattuali. Il concorso ha lo scopo di valorizzare e promuovere artisti e progetti musicali innovativi e di qualità.

L’evento è patrocinato da: Regione Piemonte, Comune di Vische ed organizzato dall’Associazione Culturale Promozione Artistica Eventi. Info: www.promozioneartisticaeventi.it E-mail: promozioneartisticaeventi@gmail.com Tel. 392.77.87.571 – 340.39.29.618

 

Dopo un’attenta e quanto mai difficile scelta per la qualità dei progetti presentati in questa terza edizione, il primo premio è stato assegnato a Icio Caravita, il secondo premio a Degian, il terzo premio a Nico Maraja.

Icio Caravita

Icio Caravita

 

Vische 6 sett. premiazioni

Vische 6 sett. premiazioni

A tutti gli artisti è stata fatta un intervista prima dell’esibizione sul palco.

Qui sotto riporto una breve biografia di Icio Caravita e l’intervista a cura di Gloria Berloso, registrata da David Bonato (Davvero Comunicazione) il 6 settembre 2015 a Vische (Piemonte).

Albo d’oro (1° classificato):

LaStanzaDiGreta (2013), Lorenzo Malvezzi (2014), Icio Caravita (2015).

BIOGRAFIA

Icio Caravita, cantautore emiliano classe 1967, è un one man band che suona chitarra, armonica e percussioni a pedale e ama definirsi menestrello.
Originario di un piccolo paese della bassa, Consandolo di Argenta (Ferrara), ma milanese d’adozione, Icio muove i primi passi in studio nei primi anni duemila, sotto la supervisione di Brando, con cui condivide il palco più volte.
Tra il 2009 e il 2011 Icio pubblica tre Ep autoprodotti: Icio Caravita, 2 passi e N.3. Canzoni folk con il punk tra le righe e un senso di appartenenza naturale alla tradizione della canzone d’autore italiana. Così nel 2010 Mogol consegna a Icio il Premio S.I.A.E. come miglior autore della manifestazione Senza Etichetta.
Nel 2014 Icio Caravita pubblicherà un album per Dasè SoundLab Records.

CARAVITA

 

INTERVISTA A: MAURIZIO ICIO CARAVITA

G.B. 1) Che cos’è per te la musica?

M.I.C. Per me la musica è vita. Io campo di musica e vivo di quello.

G.B. 2) Scrivere canzoni è in genere un’attività solitaria ma alle volte può essere necessario un team di supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira?

M.I.C. Non ho nessuno che mi aiuta, che m’ispira si, magari diverse cose e mi piace star solo anche se può diventare anche un rischio perché ci si chiude proprio per scrivere, almeno io sono così in verità, e poi sono sempre con la testa per aria, ho appunti ovunque, mi piace raggrupparli e rifarli. Non ho nessuno che mi dà una mano, accetto però consigli da chiunque.

G.B. 3) Fabrizio De Andrè sosteneva che il lavoro del critico musicale è un’arte complessa che differenzia l’arte vera da quella falsa. Che ne pensi a tal proposito?

M.I.C. Sono abbastanza d’accordo con De Andrè. Che differenzi l’arte vera da quella falsa è la pura verità, sono convinto che sia proprio così perché parecchia arte è falsa, anche solo il modo di porsi e comunque di ritenersi artista. Se ostentato risulta già falso. Quindi più sei naturale più sei vero.

G.B. 4) Il suono e la voce sono elementi essenziali per esprime al meglio quello che vogliamo e desideriamo comunicare ma devono essere veri. Negli ultimi anni in Italia, il linguaggio, elemento basilare ed importante, è stato usato contro la falsa comunicazione ed in formato di stereotipi, frasi fatte e banalità. Qual è il ruolo del cantautore oggi, esiste un nuovo linguaggio?

M.I.C. Non so se esiste un nuovo linguaggio, sicuramente non quello di cui mi hai parlato ora nel senso che oltre che a tutto quello aggiungo anche il proprio, come dire le abbreviazioni sono diventate di routine e per un cantautore non è possibile. A meno che magari tu non faccia parte di quella schiera di così detti nuovi cantautori che sono i rapper, però non so fino a che punto possano esserlo. La parola è ancora importantissima quindi è nella sua completezza. Non lo so, io sono di vecchio stampo. Sono cambiate molte cose però a livello di scrittura comunque, stai ascoltando una canzone, stai ascoltando un cantautore e quindi ti deve esprimere qualcosa. Se poi magari c’è qualcuno che riesce a farlo con i nuovi linguaggi, mi viene in mente Caparezza, è uno che butta dentro miliardi di cose con intelligenza però è veramente difficile e magari è ancora un po’ prematuro, si svilupperà questa cosa ma non so fino a che punto perché sono tutte cose tronche. Si viaggia per emoticon non più per parole.

G.B. 5) Come ti definisci?

M.I.C. Vero, vero, senza presunzione, proprio naturale.

Le canzoni presentate in concorso: Le piccole cose, Scarabocchio, Sono nervoso precario

Autore: Gloria Berloso

 

 

giugno 1, 2015

La vita la morte l’amore la sorte – Orlando Andreucci

 

Orlando Andreucci

Orlando Andreucci

Parlando del nuovo disco Orlando Andreucci afferma: “La bontà di questo lavoro sta nelle emozioni che è stato capace di generare in me durante la sua stesura. La vita, la morte, l’amore, la sorte sono gli aspetti dell’esistenza che accomunano tutti gli esseri umani, nessuno escluso, ed è per questa ragione che ho deciso di chiamare l’album esattamente così. In questo nuovo cd sperimento l’analisi essenziale anche di temi che vanno oltre l’amore, affrontando la morte senza timore governata dalla sorte che ci lascia, a volte increduli e senza parole, nella staffetta eterna della vita”.

 

Orlando Andreucci è sempre sulla scena, più vivo e più convinto che mai. Con questo disco ritorna in veste di produttore, supervisore, fonte d’ispirazione e padre spirituale dei suoi compagni di viaggio, impegnati in questo importante lavoro indipendente del bravo cantautore romano, ma questo solo nel titolo dell’album, molto chiaro ed illuminante. Andreucci con il volto tirato e quasi stanco, suggerisce, approva, sensibilizza e trascina per la sua strada Primiano Di Biase al pianoforte ma anche all’Hammond, alla fisarmonica, chitarra e basso e Simone Talone alle percussioni.

È prodigioso  come questi musicisti siano entrati nella  mentalità di Orlando, ne conoscano non solo le linee geniali, ma le più nascoste sfumature, gli atteggiamenti aperti ed i suoi ancora insoddisfatti desideri. Primo fra tutti il ritorno metodico e faticoso verso la Bossa Nova con la B maiuscola. Orlando è senz’altro uno degli artisti del nostro tempo che è più entrato in questo spirito perché gli stimoli sono gli stessi ed i sentimenti e le intenzioni sempre validi.

Una corsa verso la libertà, senza badare agli ostacoli che vi intercorrono se non con una rapida ed ironica panoramica.

Via al discorso indiretto della sua musica e della sua mente, via i punti e le virgole, i punti fermi e le parafrasi. La sua chiarezza ed il luogo allegro e disincantato di esprimere attraverso “la vita la morte l’amore la sorte”, fanno molto riflettere quando si ascoltano tutti i brani di questo CD. Il risultato è di una musica di ottima fattura.

La cultura musicale alla quale questi suoni appartengono mi ha sfiorato ed evocato ricordi sfumati smozzicati dal tempo con rare visioni chiare e ferme nei colori e nei suoni.

Questo album dunque si ascolta volentieri!  Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, i tre musicisti eccellono. Ottimi professionisti pieni di carica inventiva.

CREDITS

Orlando Andreucci

(musica, testi, voce e chitarra)

Primiano Di Biase

(pianoforte, piano rhodes, organo hammond, fisarmonica, chitarra acustica, basso e programmazione)

Simone Talone

(percussioni)

Arrangiamenti Primiano Di Biase, Orlando Andreucci e Simone Talone.

Registrato, editato e missato da Primiano Di Biase presso TuskoRock Studio.

Foto: GiPi Studio

Artwork: simonetta bumbi

cd andreucci

 

Dal 30 aprile 2015la vita la morte l’amore la sorte

È in vendita su iTunes e su ogni piattaforma digitale

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Si può richiedere il Disco scrivendo a

management@orlandoandreucci.com

CONTATTI

Simonetta Bumbi

ufficiostampa@orlandoandreucci.com

333.8417238

 

Orlando Andreucci nasce a Roma il 07 giugno 1947. Artisticamente a 45 anni, e quasi per gioco.

Con la sua voce bussa timidamente per poi appropriarsi di spazi che l’ascoltatore non credeva di avere. Il suo timbro, profondo ed accogliente, si identifica nel tempo che trascorre, e le parole sono tracce di passi che, come in un rewind, possono appartenere a tutti.

Con disarmante semplicità, e notevole efficacia, riesce ad armonizzare i generi più svariati, senza temere che essi possano tra loro contraddirsi. Ecco, allora, ritmi brasiliani (con un ammiccare per nulla timido a Jobim) viaggiare in compagnia della migliore tradizione melodica ed a tratti anche lirica italiana. Sottilissime e persistenti venature di jazz (di cui Andreucci è profondo conoscitore) ritroviamo ad attestare una D.O.C. sulla sua musica regalandoci CD d’Autore.

FATTI E PAROLE

(1998)

FUORI ORARIO

(2003)

ISTINTO DI CONSERVAZIONE

(2008)

NOTEDIPAROLE

(2009)

INUSITATO

(2012)

LA VITA LA MORTE L’AMORE LA SORTE (2015)

marzo 5, 2015

Il film The Repairman mi ha dato da pensare – Recensione di Alberto Marchetti (ROMA)

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Il film The Repairman, visto pochi giorni fa al Nuovo Cinema L’Aquila, a Roma, mi ha dato da pensare. È un film bizzarro, divertente, surreale, dalla trama sbilenca e un protagonista di illogico fascino. Il protagonista, Scanio, è un rivoluzionario proprio nel suo non esserlo, per il suo andamento cogitativo e lavorativo dai tempi tanto personali da far saltare ovunque schemi e convenzioni, lungo tortuose, goffe e irresistibili situazioni che s’ incatenano una a l’altra in inevitabili e imprevedibili assurdità. Si parteggia subito per Scanio, simpatico e surreale tecnico di macchine da caffè, un Buster Keaton moderno, estraneo alla lotta, perennemente in ritardo perché costantemente rapito da intuite migliorie che nessuno si prende mai la briga di verificare, presi tutti dall’orgasmo di una velocità che gli è completamente estranea. E che lui non cerca nemmeno lontanamente di capire. Ma Scanio, nel suo incedere adagio, non è esente da errori, e perde la donna che pure l’ha scelto nella sua atipicità, perché lo prende un formidabile straniamento che lo allontana, facendogliela quasi dimenticare, convinto com’è che lei possa e debba intuire e comprendere il groviglio vorticoso in cui s’ è recluso nel tentativo di costruire un depuratore ambientale di onde elettromagnetiche. È lei invece, responsabile delle risorse umane, o più miseramente dolcificante formale di licenziamenti, una Clooney inglese in terra italica, a finire per perdersi davvero, col direttore d’una fabbrica che pur riconoscendo genio in Scanio preferisce non rischiare di assumerlo. Gli amici, senza comprensione, lo assediano di convenzioni e banalità, lui, reso muto dalla saturazione verbale, tetragono, paziente, in viaggio dentro altri universi, resiste. Dispiace la fine di quest’ amore irregolare, esco soddisfatto ma con l’amaro in bocca, desideroso forse di un favoloso mondo di Amelie nostrano che premi il rischio, la visione, per uno sguardo a un altro mondo possibile e non perdente. Una fine rosa però sarebbe stato troppo, perché in quello stretto passaggio non politico, non filosofico, ma semplicemente possibile, ci si stanno infilando in molti, con la libera e spontanea offerta di capacità, fino alla nascita di un portale web “Viva la reparacion” dove le istanze umane, semplici, del film, rimbalzano in tutta Europa intorno a temi come riciclo, riuso, slow life, facendo dell’impacciato Scanio una bandiera compresa sorprendentemente da tutti. La colonna sonora non poteva essere prevedibile, le musiche di Alan Brunetta con marimba e chitarra, e quelle di Ricky Mantoan con la pedal steel guitar e con il dobro, seguono le scene del film rispondendo alle esigenze del regista Paolo Mitton. Delicata e d’effetto la pedal steel, tipica nella musica country, nella romantica sequenza al supermercato. Un esordio sbilenco di un regista che depone le facili armi degli effetti speciali per gli affetti speciali di un altro uomo possibile.

Alberto Marchetti

 

 

 

Alberto Marchetti

Roma, 5 marzo 2015

 

 

marzo 5, 2015

Joan Baez a Udine: 8 marzo 2015, serata da tutto esaurito al Giovanni da Udine.

Sembra essere inziata nel migliore dei modi la collaborazione tra Il Teatro Giovanni da Udine e Folkest. Un tutto esaurito che accoglierà Joan Baez con lo splendido colpo d’occhio di un teatro strapieno in ogni ordine di posti. Sarà la seconda di quattro date del tour italiano che, oltre Udine, toccherà Bologna, Roma e Milano.

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gennaio 12, 2015

Eventi artistici e culturali di risonanza internazionale con EDITEVENTI

Editeventi ha sede in Spilimbergo (PN), in Friuli-Venezia Giulia. Il suo scopo aziendale primario è quello di promuovere eventi artistici e culturali di risonanza internazionale, sia in ambito regionale, che nelle vicine Carinzia, Istria e Veneto, con particolare riferimento al settore musicale.
Per informazioni inerenti a date e costi: info@editeventi.com.

Artisti 2015

ALBERTO GROLLO & FIVE STRINGS QUARTET
Italia
Il chitarrista di Conegliano, alla guida di un ensemble cameristico tutto al femminile, ha recentemente dato vita a un progetto discografico…

BRANCO SELVAGGIO
Italia
La Band nasce nel 1978 con Ricky Mantoan che fin dai primi anni sessanta si esibisce in pubblico. Il suo stile, i fraseggi, la ritmica ed il drive particolare che riesce a trasmettere a chi lo ascolta…

INTI ILLIMANI®
Cile
Ambasciatori indiscussi della cosiddetta Nueva Cancion Chilena prima e di una personalissima interpretazione della world music andina poi…

PAOLO TOFANI
Italia
Paolo Tofani nasce a Firenze il 19/01/1944. A 15 anni comincia a suonare la chitarra influenzato da artisti famosi di quel periodo: Eddie Cochran, Gene Vincent…

ALLAN TAYLOR
Inghilterra
Cantautore inglese, lasciata la scuola sedici anni cominciò la carriera dacendo da supporter ai Fairport Convention nei loro tour. Trasferito negli USA nei primi anni settanta gli procurò un netto cambiamento stilistico ….

EDOARDO DE ANGELIS
Italia
Edoardo De Angelis è uno dei cantautori italiani più accreditati dalla critica.
Dal mitico Folkstudio degli anni ’70, teatro del suo debutto, dopo una parentesi con la Schola Cantorum…

OSANNA
Italia (solo per il Nord Italia)
Gli Osanna sono un gruppo rock progressivo italiano, formato a Napoli agli inizi degli annisettanta per iniziativa del gruppo Città Frontale…

AT FIRST LIGHT
Irlanda
Band irlandese esplosa negli ultimi anni, con tour negli Stati Uniti, presenti nei principali festival del Vecchio Continente. Un sound tradizionale e moderno.

LA SEDON SALVADIE
Friuli
Fondato nel1982 questo gruppo è stato il primo a suonare con spirito nuovo le musiche tradizionali del Friuli, espressione delle diverse etnie che qui convivono da secoli.

NERI MARCORE’
Italia
Eccezionale performance di Marcorè in veste di raffinato cantante con una band di sette elementi sul palco alle prese con le sue canzoni preferite…

editeventi è interlocutore privilegiato di enti locali e di organismi regionali, che si muovono con professionalità e competenza nel settore della musica tradizionale e di qualità. È nota in tutta Europa per essere l’ideatrice e l’organizzatrice dal 1979 del più glorioso folk festival italiano, Folkest, conosciuto come il più importante folk festival dell’Europa mediterranea.
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gennaio 7, 2015

An evening with JOAN BAEZ

A Udine l’otto marzo l’atteso ritorno della grande e instancabile cantautrice dei diritti

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Toccherà anche Udine (dove tenne una decina d’anni fa un memorabile concerto in castello per Folkest) con un imperdibile concerto il tour che riporterà in Italia con una serie di selezionati concerti Joan Baez, una delle più grandi voci femminili di tutti i tempi.
Dopo la celebrazione del cinquantesimo anniversario dalla leggendaria esibizione al Club 47 di Cambridge, Massachusetts, del 1958 e del successivo storico debutto del 1959 al Festival folk di Newport, numerosi premi, riconoscimenti e attività si sono succedute a ritmo frenetico per l’interprete statunitense.
Oltre a ripetuti tour in USA e nel mondo, il 2011 ha visto l’ingresso del suo primo album, che uscì su Vanguard del 1960, nella prestigiosa Grammy® Hall Of Fame patrocinato dalla National Recording Academy e nel 2012 l’attribuzione del prestigioso riconoscimento per il suo, a dir poco rilevante, apporto alla causa dei diritti Umani, da parte di Amnesty International, in occasione del cinquantenario della fondazione.
Sempre nel 2012 Joan ha preso parte ad altri storici avvenimenti e ricorrenze: concerto di Berkeley per CRO, ovvero Citizenzs Reach Out, una organizzazione no profit per sensibilizzare e aiutare le vite delle vittime di Guerra di tutto il mondo; e al grandioso avvenimento sulla costa di Big Sur in California per il cinquantesimo anniversario dell’Istitituto di educazione umanistica e alternativa denominata Esalen.
In precedenza, numerose le attività umanitarie e filantropiche che l’hanno vista sempre protagonista : dall’incontro con i reduci dal Vietnam a Idaho Falls nel 2009, al concerto benefico nell’Anfiteatro del Woodland Park Zoo di Seattle, a quello di San Francisco per la Fondazione Seva Foundation, con Steve Earle, David & Tracy Grisman, Tuck & Patti, e Wavy Gravy.
A grande richiesta sono stati recentemente ripubblicati i suoi album di successo contenenti note a margine della stessa Joan, la sua autobiografia And A Voice To Sing With e in video torna di attualità la sua apparizione a Woodstock del 1969 e la vediamo tra i protagonisti anche nel documentario di Martin Scorsese sulla carriera di Dylan, No Direction Home e in The Other Side Of the Mirror: Bob Dylan Live At the Newport Folk Festival, 1963-1965
Nel 2010 ha ricevuto l’Ordine delle Arti e delle lettere di Spagna, prestigioso riconoscimento spettante agli artisti stranieri, stabilito con regio decreto nello stesso anno, ha contribuito a una raccolta fondi al Teatro ZinZanni di San Francisco, per Jenkins Penn Haitian Relief Organization (J/P HRO), fondata da Diana Jenkins e da Sean Penn in favore della popolazione di Haiti.; e il premio della Children’s Health Fund di New York, con tanto di esibizione e duetto con Paul Simon, uno dei fondatori.
Nell’ottobre 2011, le è stata conferita la prestigiosa Legion D’Onore, il più alto riconoscimento francese consistente in una medaglia che rappresenta lo status di cavaliere dell’ordine.
Del tutto particolare il suo rapporto con la Francia, ove infatti vanta una serie di storiche performance a Parigi, ove ha letteralmente gremito lo scorso autunno, per una serie di serate. il famoso teatro Olympia.
Joan non ha potuto far mancare il suo apporto al movimento di Occupy Wall Street insediatosi a Foley Square , New York City, con una indimenticabile intrepretazione di Joe Hill, e di due brani mai proposti in precedenza: Salt Of The Earth dei Rolling Stones e la sua originale Where’s My Apple Pie?
Di rilievo la ua presenza nella raccolta di canzoni di Dylan re-intrepretate dai grandi del rock, Chimes Of Freedom – The Songs Of Bob Dylan con I proventi destinati a Amnesty International, cui contribuisce con una sontuosa versione di Seven Curses, così come con We Can’t Make It Here in cui si unisce a Steve Earle per contrassegnare uno dei momenti più alti della raccolta, Occupy This Album, a favore del movimento degli occupanti di Wall Street.
Nella mostra Changing America: The Emancipation Proclamation, 1863 and the March on Washington, 1963, al centro di storia e cultura afroamericana di Washington DC, che si tiene dal 2012 fino al settembre 2013, è rimasta in esposizione la storica chitarra Martin che Joan ha utilizzato nei suoi concerti del 1963.
In occasione della primavera araba del 2011, Joan ha mandato un toccante messaggio di forte incoraggiamento via Facebook, alla popolazione egiziana in lotta per la democrazia.
Da più di cinquant’anni, Joan ha sempre raccontato tutto ai suoi fans, continuando a rinnovare i suoi concerti con passione, energia e vitalità, sempre alla ricerca di una buona canzone, di una giusta causa da sostenere, confermandosi un tesoro invidiabile per l’umanità.
Ora avremo il piacere e l’onore di vederla al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, grazie a una nuova collaborazione tra il teatro e Folkest, all’interno di un tour che oltre Udine toccherà Roma, Milano e Bologna.
In questo mondo travagliato, parafrasando Wings, Joan Baez continua a cercare un posto ove essere ascoltata mentre canta.

Info
Biglietteria del teatro: tel. 0432 24841 – biglietteria@teatroudine.it
Segreteria Folkest: 0427 51230
Circuito di prevendita Viva Ticket: http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg%5Bevento%5D&id_evento=1497827

ottobre 16, 2014

MAX MANFREDI – DREMONG ….non c’è tempo per chi aspetta tempo

A volte stupiscono, a volte sussurrano, a volte ritornano: sono i miti contemporanei che svoltano agli incroci senza fermarsi. È il caso di Max Manfredi ed i suoi incantautori di respiri nobili dinanzi a pizzichi di note sfumate.

Dremong

Dremong

Manfredi è Dremong, un orso. La sua storia attraversa il Tibet, tra gli alberi, schiude gli occhi nel torpore mentre corre l’autostrada che taglia il fiato alle vallate. Altro abito stesso diadema, di notte sveglio mentre le cose dormono, lui di notte fa a pugni coi suoi pianti. Pensa al suo presente e si sente male, ha la pelle d’oca sopra vecchie cicatrici e viene la pioggia ad ogni mese ma sotto il suo ombrello è pioggia di un’altra canzone. È inutile, bocca senza parole spiegare non può l’amore amaro e come un cretino nella metropolitana si segna le parole che non sono state programmate. Non c’è tempo per chi aspetta tempo, tanto che ti addormenti con l’orso stretto in braccio. Erano in pochi e si fiutava già che quel che raccontavano non era la realtà. Le immagini di Dremong ci illustrano in maniera drammatica la parabola di un’esistenza animale. L’orso avanza tra la vegetazione tibetana, che domina con la sua mole. La tragedia è nell’aria e tutta la natura sembra partecipare al mesto e dignitoso viaggio intrapreso da questo re di antica stirpe. Nella copertina questa immagine raggiunge toni qualitativamente elevati che collimano perfettamente con le intenzioni espresse dall’autore.

Max Manfredi

Max Manfredi

Non posso prendere in esame i vari pezzi, semplicemente perché il disco è un’opera unica, inscindibile, anche dal punto di vista tecnico, in momenti staccanti. L’album si apre con un suono cupo creato dai cori, l’urlo di Dremong e le campane tibetane, che creano un’atmosfera suggestiva e preziosa. Il disco è composto da momenti diversissimi, dunque è inutile descrivere le entrate o gli assoli dato che gli strumenti sono inseriti e amalgamati in sonorità calde e pastose. I suoni bassi creano una ritmica continua con la voce originale di Manfredi ed i cori contenuti ma ben calibrati. L’opera si divide in quattordici parti, ognuna delle quali differentemente articolata; attraverso l’alternanza di momenti corali e di assoli l’opera acquista via via una sua fisionomia ben precisa, fin dalle prime note che dopo i primi attimi dà vita al primo groviglio di impressioni di vita urbana, fatto principalmente di dissonanze e di aggressivi rugli, il tutto ad un ritmo vertiginoso, scandito, dai violini, dai contrabbassi, dal piano, dai flauti, dalla batteria, dalle chitarre Il canto di Max è un vero e proprio canto di una sirena ammaliatrice e ci regala così 14 canzoni di vibrante ed altissima intensità.2013-07-22_Registrazione_Dremong_022-900x602_c Da un’intervista di Gloria Berloso a Max Manfredi → DOMANDA

Gloria Berloso

Gloria Berloso

– Max Manfredi, ti consideri più poeta o più cantautore? Mi puoi spiegare la differenza tra canzone e poesia?

Max Manfredi

Max Manfredi

↓ RISPOSTA  – Tecnicamente la differenza consiste nel fatto che i versi della poesia, oggi, non sono musicati. La poesia è fatta dunque per la lettura, la canzone per l’ascolto. Dal punto di vista del valore che viene attribuito a questi due fenomeni, poi, la poesia ha seguito una strada “alta”, investigazione cosmica o squadernamento sublime dei propri sentimenti. La canzone ha seguito una via “bassa”, che non esclude l’intrattenimento e la danza. Si tratta però di convenzioni, che, come tali, mi interessano poco. Poesia e canzone sono consanguinee, non soltanto dirimpettaie occasionali. Io mi considero, genericamente, un artigiano; che però lavora una materia come l’emozione, che è impalpabile. O meglio, che elabora con strumenti concreti un’illusione. Sono come un giostraio, un prestigiatore, un pubblicitario, un sacerdote di campagna, un venditore di bolle di sapone. Uno sciamano e uno showman, come dice il titolo di una nota rassegna. Un incantautore, come sono stato definito. Non è una definizione così peregrina: nella lingua latina, per esempio, “carmen” significa canto ed incanto. Ma nella lingua inglese “spell” vuol dire formula magica e compitazione della parola. Ecco: laddove la parola, semplicemente compitata, e quindi ritmica, diventa magia: è il paese musicale da cui provengo. E’ la mia letteratura. Questa attitudine non è solo fiabesca. La descrizione del quotidiano più banale acquista, nella musica, una seduzione necessaria ed aggiunta. Posso dire le cose più colloquiali, ma le dico in musica. L’impatto emotivo cambia, a volte in modo deflagrante. Io sono poi per una rivalutazione ed una ridefinizione del termine “poeta”. Non tanto inteso come “colui che compone poesie” meno che mai come colui che componendole, invera o sfiora l’universalità: definizioni ( la prima, insieme troppo tecnica e vaga, e povera da un punto di vista assiologico; l’altra troppo empatica, enfatica e per così dire mitologica) per essere funzionali, tanto peggio se si pretendono scientifiche. La definizione che propongo all’uso è: poeta come facitore (da “poiesis”), colui che trova un equilibrio fra la contemplazione, quella specie di scossa elettrica o invasamento che fu ed è chiamato “ispirazione”, e l’azione (manipolazione della sua materia artigianale). In questo senso l’attribuzione “poeta” può applicarsi al facitore (ed inventore) in qualsiasi disciplina. Anzi, riporta la velleità astratta e quasi immateriale dell’epitteto ad una qualifica artigianale e concreta, per quanto sia concreto il linguaggio. Il poeta non è mai chi si applica in una disciplina tradizionale, ma chi inventa il linguaggio al suo interno, cioè chi “trova” ed esercita fantasia all’interno di una disciplina. Poeta – ora in questa accezione tecnica, e non metaforico – può essere uno scienziato, un cuoco, un attore, un prestidigitatore, un pugile. Poeta può essere anche uno che scrive poesie. Ma non tutti quelli che lo fanno, anzi, direi pochissimi. Personalmente trovo questa definizione di “poeta”, che esula un po’ dal senso comune attuale – che è ambiguo alla radice – insieme precisa e libertaria, o liberatoria, o almeno libertina.