Posts tagged ‘umbria folk festival’

marzo 5, 2015

Joan Baez a Udine: 8 marzo 2015, serata da tutto esaurito al Giovanni da Udine.

Sembra essere inziata nel migliore dei modi la collaborazione tra Il Teatro Giovanni da Udine e Folkest. Un tutto esaurito che accoglierà Joan Baez con lo splendido colpo d’occhio di un teatro strapieno in ogni ordine di posti. Sarà la seconda di quattro date del tour italiano che, oltre Udine, toccherà Bologna, Roma e Milano.

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giugno 11, 2013

La Fieste da Sedon al Castello di Ragogna il 15 e il 16 giugno con CARANTAN e LA SEDON SALVADIE e tutti gli amici

Organizzato dall’Associazione Culturale Folkgiornale, con il patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, della Provincia di Udine, dell’Unesco, della Fondazione CRUP e del Comune di Ragogna che fin dalla prima edizione ha creduto in questa manifestazione, in uno dei più incantevoli angoli dell’intero Friuli, nel week-end centrale di giugno si celebra la quinta edizione de “La Fieste da Sedon”. Si tratta di un festival dedicato alla musica tradizionale in terra friulana, un ottimo spunto per la valorizzazione di uno dei luoghi storici di maggior significato ricostruiti dopo il terremoto, il Castello dei Conti di Ragogna. Un appuntamento ormai abituale, che solo lo scorso anno non si era svolto per l’indisponibilità della sede, oggetto di importanti restauri. Festeggiata d’onore, la Sedon Salvadie, la storica formazione friulana di musica popolare che celebra nel 2013 i 31 anni di attività, anni che l’hanno vista collaborare con artisti del calibro di Angelo Branduardi, Massimo Bubola, The Chieftains, Carlos Nuñez e Inti Illimani tra gli altri; annoverare nelle proprie fila il meglio del panorama musicale friulano (Giulio Venier, Andrea Del Favero, Lino Straulino, Emma Montanari, Marisa Scuntaro, Dario Marusic, Glauco Toniutti, Flaviano Miani, Gianluca Zanier, tutti hanno militato o militano in questa formazione); dar vita a molti altri gruppi e realtà di ricerca e riproposta (Carantan, Braul, Tischlbong, Montanari Grop, Furclap, Braul, Nosisà, Lino Straulino…).
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Il gruppo Carantan continua oggi il percorso musicale iniziato negli anni ‘80 da alcuni musicisti friulani che è quello della ricerca e della rielaborazione innovativa della musica tradizionale senza riproporre un discorso strettamente filologico ma senza nemmeno perderne i suoi aspetti più caratterizzanti. Alle spalle del gruppo ci sono quasi 20 anni di ricerche sul territorio fatte soprattutto nell’area pedemontana, dove sono state raccolte numerose documentazioni di strumenti tipici come la cornamusa e il violino e registrazioni di musiche e canti.

Il nome Carantan proviene da una moneta in rame usata in origine in Carinzia. In Italia, alla fine dell’Ottocento, prende questo nome la moneta divisionale di 5 centesimi di Lira e in seguito in lingua friulana il termine equivarrà a “modesto”, “di poco valore”. Anche la cultura popolare, nonostante il paziente lavoro svolto da molti illustri studiosi del costume, spesso è stata considerata modesta e di poco valore. I Carantan lavorano per il recupero della tradizione musicale friulana, per salvare un patrimonio che sta scomparendo assieme ai suoi ultimi testimoni e soprattutto per cercare di adattare questa affascinante cultura alle esigenze moderne rendendola attuale.

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Carantan

La Sedon Salvadie

La Sedon Salvadie

La Sedon Salvadie

Fondato nel1982 questo gruppo è stato il primo a suonare con spirito nuovo le musiche tradizionali del Friuli, espressione delle diverse etnie che qui convivono da secoli.
Una delle più rappresentative e longeve band del folk italiano.
Nel corso della loro lunga carriera questi musicisti hanno fatto tenuto concerti e show radio e televisivi sia in Europa che in America, collaborando con alcuni tra i più significativi artisti a livello mondiale, come The ChieftainsFabrizio De AndréAngelo Branduardi, Massimo Bubola, Carlos Nunez, Ed Schnabl, Vincenzo Zitello, Janos Hasur, Paul Bradley e molti altri …
In un concerto ascolterete alcuni antichi strumenti come cornamuse e violini danzare insieme a percussioni, fisarmoniche diatoniche, chitarre e bassi elettrici: un suono d’insieme di grande impatto, aperto alle contaminazioni contemporanee.

manifestazione, inserendo con lo stesso criterio anche eventuali stand. Elemento fondamentale e caratterizzante del castello Superiore di Ragogna è il mastio,conosciuto anche come torre, utilizzato dai Conti di Porcia fino alla seconda metà del XVIII e poi lasciato lentamente cadere in rovina. Alla fine nel 1976 il terremoto lo distrusse quasi completamente.

Oggi il mastio si presenta completamente ricostruito, anche se profondamente modificato per quanto riguarda la disposizione interna dei locali. Un secondo lotto dei lavori di restauro è da poco terminato,con l’affascinante ricostruzione della parti in legno nella zone del mastio, che danno all’antico maniero un’aura di straordinaria unicità.

Le forze in campo

Alla realizzazione dell’evento contribuiranno varie realtà:  l’Associazione Culturale Folkgiornale, il Comune di Ragogna, l’Associazione Borgate di San Pietro, la Pro Loco di Ragogna, la Edit Eventi di Spilimbergo checurerà Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni, inserendo le serate tra gli appuntamenti di maggior spicco di una manifestazione significativa come Folkest.

“La Fieste da Sedon”, radicata sul territorio e ormai connotatasi come il festival della musica friulana di tradizione popolare, è diventata una vetrina delle realtà regionali di spicco e un’anteprima ideale e densa di significati per una manifestazione di largo respiro come Folkest, che debutterà il 4 luglio a Fiumicello per concludersi il 28 a Spilimbergo.
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gennaio 14, 2013

18 e 19 gennaio: al Teatro Miotto di Spilimbergo le selezioni per “Suonare@Folkest – Premio Alberto Cesa 2013”

“Suonare@Folkest – Premio Alberto Cesa 2013”

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Venerdì 18 e sabato 19 gennaio, presso il Teatro Miotto di Spilimbergo (PN) alle ore 21.15,

 avranno luogo le selezioni territoriali riservate agli artisti partecipanti al concorso “Suonare@Folkest – Premio Alberto Cesa 2013”. Alla prima delle due sessioni, denominata “Spilimbergo 1” (venerdì 18), parteciperanno Luna e Un Quarto, Figli di un Puff e Progetto Corde. Nella seconda, “Spilimbergo 2” (sabato 19), saliranno sul palco I Salici, Il Giardino dei Gatti Bianchi e Tryo Yerba. I migliori due gruppi di ogni serata, secondo il giudizio espresso da una autorevole giuria appositamente convocata (sulla cui composizione seguirà un ulteriore comunicato), acquisiranno il diritto a esibirsi durante Folkest 2013 in luogo e data da definire.  insieme con i gruppi vincitori delle altre selezioni territoriali a carattere nazionale: si è già svolta quella di Arezzo (6 dicembre 2012) che ha visto l’affermazione di Serio E Faceto e Macchia Libbr; si terranno invece nei mesi di febbraio e marzo quelle di Verona 1 (con la partecipazione di Abacà, Daniele Arzuffi, Gabriele Bombardini), Verona 2 (Dualis, Maria Devigili, Quenia), Loano (Folhas, Raffaele Antoniotti, The Mandolin Brothers), Coreno Ausonio (Ninfe della Tammorra, Orchestra Minima Mysticanza, Onda Nueve String Quartet).

ottobre 23, 2012

Canzone popolare, ma quanti l’ascoltano?

Il termine “canzone popolare,” copre una vasta gamma di stili musicali, ma è più comunemente usato per riferirsi ad un brano narrativo che utilizza melodie tradizionali per parlare su un argomento particolare. Spesso, le canzoni popolari affrontano  le questioni politiche attuali e sociali come il lavoro, la guerra, e l’opinione pubblica.

                                 

Canzoni popolari note da molto  tempo sono tramandate all’interno di una comunità, e si evolvono nel tempo per affrontare le questioni del momento.  “We Shall Overcome” è una di queste. Altre canzoni popolari senza tempo hanno origini precise, come  “Questa terra è la tua terra” di Woody Guthrie, o   “If  I Had A Hammer” di Pete Seeger. Queste canzoni sono spesso così struggenti, oneste, e senza tempo, che si radicano nella cultura, e sono conosciute da quasi tutte le ultime generazioni.  I Canti popolari appartengono in genere ad una comunità di persone per i problemi  che loro ritengono importanti. Le Canzoni popolari moderne narrano argomenti di amore

e di relazioni con il razzismo, il terrorismo, la guerra, il voto, l’educazione, e la religione, tra le altre cose. Come i tempi sono cambiati, di riflesso la musica popolare è cambiata per riflettere i tempi. Molte  canzoni di protesta sono ancora cantate oggi, anche se con nuovi versi che sono stati aggiunti in modo da rivivere il contesto in cui sono risorte le canzoni.

Nel 1960, la musica folk mescolata con la musica tradizionale, come i baby boomer sono maturate tutte in una volta. La musica del folk revival è musica pop narrativa con una coscienza sociale. Da allora, le forme musicali guidati dalla comunità ( punk, hip-hop)  si sono evolute. Ora, nel 21 ° secolo, la musica popolare è fortemente influenzata da tutti questi movimenti musicali.

La “musica popolare” è più spesso usata per descrivere uno stile di musica che si è evoluta rapidamente nel corso del secolo scorso. Se sentite descrivere dalla  critica e dai fans,  un artista,   come “folk“,  in generale, non vuol dire che stanno prendendo in prestito una melodia da una fonte tradizionale. Al contrario, tale termine viene dato alle canzoni che si suonano con strumenti non tipicamente visti in una band  rock o pop.

Dal momento che la musica folk è più adeguatamente definita dalle persone che la compongono, è importante non ignorare che le qualificazioni come “folksinger” o “folk” sono venute a significare qualcosa di diverso da quello che hanno fatto 50 anni fa. Artisti popolari oggi sono sperimentali e si dilettano in diversi generi, integrando varie influenze musicali nelle loro canzoni narrative.

Anche le fiabe popolari sono narrazioni tramandate nel tempo e toccano le stesse  tematiche delle ballate, naturalmente in maniera meno violenta, come può essere una canzone che si riferisce alle guerre, all’olocausto, alla schiavitù, al sesso, alla morte.

Le danze popolari hanno un ruolo fantastico, soprattutto per le persone che vivono in province e località molto lontane, nel senso che, la danza servirà come specchio che racconta la natura delle persone che vivono in quel luogo particolare. Attraverso la danza si rappresentano  l’occupazione, la religione, la cultura,le  tradizioni, i costumi,  la fede e lo stile di vita. Per il modo di danzare, i popoli sono riconosciuti ovunque.

Ogni gruppo di persone, non importa quanto piccolo o grande, ha gestito la sua cultura popolare a suo modo. A seconda come avviene la trasmissione da persona a persona e di essere soggetta alla capacità, o la mancanza di abilità di coloro che la danno e le molte influenze, fisiche e sociali, che consciamente o inconsciamente influenzano una tradizione, ciò che può essere osservato è una storia di cambiamento continuo. Un elemento di cultura popolare in alcuni casi mostra una relativa stabilità e subisce a volte drastiche trasformazioni. Ma si deve tenere conto che la gente che ascolta o partecipa alla sua cultura  orale, dispone di norme completamente diverse da quelle dei loro interpreti.

Di tanto in tanto un talentuoso cantante o narratore, o forse un gruppo di loro, possono sviluppare le tecniche che si traducono in un miglioramento nel corso del tempo da ogni punto di vista e per lo sviluppo effettivo di una nuova espressione culturale. D’altra parte, molti articoli di letteratura popolare, a causa di movimenti storici o opprimenti influenze straniere o la mancanza solo dei cultori della tradizione, diventano sempre meno importanti, e, occasionalmente, si estinguono dal repertorio orale.

Ma le canzoni e le narrazioni popolari, oggi, da quante persone vengono ascoltate? Spesso vengono recepite come noiose cantilene, a volte perché dilaga una totale indifferenza e a volte per il rifiuto di conoscere i problemi di chi un lavoro non ce l’ha per esempio, o alla difficoltà  di inserimento in un contesto sociale formato sempre più da etnie diverse, europee, asiatiche, africane e americane.

Di particolare importanza è il rapporto di ogni espressione culturale popolare con la mitologia. Le storie di Maui e suoi confratelli nel Pacifico, degli dei e degli eroi di africani o gruppi americani  indiani hanno alle spalle una storia lunga e complicata, forse.  Tutti appartengono ad un passato indefinitamente lungo, con influenze di culti e pratiche religiose, come la glorificazione degli eroi. Ma quali che siano le motivazioni storiche, psicologiche, o religiose, le mitologie sono una parte di letteratura popolare e, anche se tradizionale, sono state oggetto di continue modifiche per mano del racconto di storie, di cantanti o conduttori sacerdotali dei culti. Alla fine cantanti o cantastorie di tendenze filosofiche hanno sistemato le loro mitologie e hanno creato con l’immaginazione, molto bene,  le figure di Zeus e della sua famiglia olimpica e la  discendenza di eroici semi-divini . Anche se i dettagli di questi cambiamenti vanno oltre lo scopo di questo articolo, le storie degli dei e degli eroi e delle origini soprannaturali e cambiamenti sulla terra hanno svolto un ruolo importante in tutta la letteratura popolare.

La canzone folk è quasi universale, ed è probabile che dove non ci sono memorie o cantanti interpreti, le informazioni sono semplicemente mancanti. Canzone popolare implica l’uso della musica, e la tradizione musicale varia notevolmente da una zona all’altra. In alcuni luoghi le parole delle canzoni sono di poca importanza e sembrano essere utilizzate principalmente come supporto per la musica. Spesso ci sono monosillabi senza senso e  ripetizioni delle parole per accompagnare la voce o lo strumento musicale . In gran parte del mondo, i tamburelli, il battere il tempo con le mani o i piedi, o un’arpa danno  un forte effetto ritmico “folksinging”. In altre parti del mondo, strumenti a fiato o o ad arco di un tipo o di un altro influiscono sulla natura del testi di canzoni popolari. In molti luoghi canzoni folk sono di grande importanza, che serve ad aumentare l’entusiasmo per la guerra o l’amore o parte del rituale religioso. Attraverso di loro il gruppo esprime le sue emozioni comuni o alleggerisce il carico di lavoro comune. In alcuni gruppi, le canzoni popolari sono utilizzate per effetti magici, per sconfiggere i nemici, per attirare gli appassionati, per invocare il favore dei poteri soprannaturali. A volte l’effetto magico di queste canzoni è così molto apprezzato che la proprietà effettiva delle canzoni viene mantenuta e il loro uso accuratamente custodito.  Anche quando le canzoni popolari non sono utilizzate per tali scopi pratici, ma solo per il piacere di cantare od ascoltare, la maggior parte del mondo le utilizza per l’espressione di idee o le emozioni detenute in comune dal gruppo.  Canti popolari, essenzialmente espressioni di idee condivise o sentimenti, sono spesso banali, ma a volte possono essere profondamente commoventi.

D’altra parte, nelle grandi civiltà occidentali e asiatiche, il canto narrativo è importante da molto tempo ed è stato coltivato dai cantanti più abili. Nel corso del tempo queste canzoni di guerra, di avventura, di vita domestica o hanno formato cicli locali, come la Byline della Russia o le canzoni eroiche di molti Stati balcanici e la Finlandia o la tradizionale ballata dell’ Europa occidentale e altrove. Ognuno di questi cicli ha le proprie caratteristiche, con le sue forme distintive, metriche e le sue formule sia di eventi e d’espressione.

I PRINCIPALI INTERPRETI DI CANZONI FOLK

 1. Woody Guthrie 2. The Weavers 3. Bob Dylan 4. Odetta 5. Peter, Paul and Mary 6. Pete Seeger

7. Joni Mitchell 8. Kingston Trio 9. Joan Baez  10. Leadbelly 11. Phil Ochs  12. Judy Collins 

13. Crosby, Stills & Nash 14. The Byrds  15. Fairport Convention 16. Doc Watson  17. Neil Young

18. Leonard Cohen 19. Simon & Garfunkel 20. Frankie Armstrong 21. Donovan 22. Gordon Lightfoot

23. Steve Goodman 24. Ramblin’ Jack Elliott 25. John Fahey 26. Arlo Guthrie 27. Tom Rush 

28. Sweet Honey In The Rock 29. The Limeliters 30. Buffy-Saint Marie 31. Loudon Wainwright III

32. Elizabeth Cotten 33. The New Lost City Ramblers  34. Tom Paxton  35. Steeleye Span

36. Utah Phillips  37. Josh White  38. The Chad Mitchell Trio  39. John “Spider John” Koerner

40. Kate & Ann McGarrigle  41. Hazel Dickens  42. Ralph McTell  43. The Highwaymen 44. A.L. Lloyd

45. Townes Van Zandt 46. James Taylor 47. Harry Chapin 48. Oscar Brand  49. Ian & Sylvie 

50. John Prine 51. The New Christy Minstrels 52. Harry Belafonte 53. Cisco Houston 54. Bob Gibson

55. Mike Seeger 56. Almanac Singers 57. Loreena McKennit 58. June Tabor 59. Jesse Fuller 

60. Joan Armatrading 61. Dock Boggs 62. Dave Van Ronk 63. Suzanne Vega 64. Buell Kazee 65. Fred Neil

66. Eva Cassidy 67. The Clancy Brothers 68. Sandy Denny 69. The Dubliners 70. Iris Dement 

71. The Rooftop Singers 72. Gillian Welch 73. Maddie Prior 74. The Roches 75. Alice Gerrar 76. Folksmen

77. Anita Carter  78. Jerry Jeff Walker 79. Christine Lavin 80. Richard Thompson 81. AnneHills

82. Eric Andersen 83. The Chieftains 84. Ani Difranco 85. Pentangle 86. Tracy Chapman 

87. Shel Silverstei 88. John Renbourg 89. Judy Henske 90. David Bromberg 91. The Mama’s & The Papa’s

92. Tim Buckley 93. The Brothers Four 94. Emmylou Harris 95. Si Kahn 96. Burl Ives 97. Cat Stevens

98. Nanci Griffith  99. Christy Moore  100. John Kirkpatrick

The Serendipity Singers
The Seekers
Melanie
Spanky and Our Gang
Michelle Shocked
Nick Drake
Bill Morrisey
Sandpipers
Village Stompers
Smothers Brothers
The Incredible String Band
Victoria Williams
Roger McGuinn
Shawn Colvin
Janis Ian
Leo Kottke
Rod McKuen
Hamilton Camp
Taj Mahal
Gram Parsons
Peggy Seeger
Trini Lopez
Glenn Yarbourough
Bradley Kinkaid
Phoebe Snow
Buffalo Springfield
Flaco Jiminez
Devendra Banhart
Roy Harper
The Beau Brummels
The Holy Modal Rounders
Atwater-Donnelly
The Chenille Sisters
The Tarriers
The Brandywine Singers
Ricki Lee Jones
Robin & Linda Williams
Katty Moffatt
Terry Callier
Mike Cross
Carolyn Hester
Richard & Mimi Farina
The Everly Brothers
The Band
The Lovin’ Spoonful
Ellis Paul
Artie Traum
Luka Bloom
Bert Jansch
Happy Traum
The Jolly Rogers
Bad Haggis
settembre 18, 2012

GIOIA&RIVOLUZIONE ARMATO DI GHIRONDA

ASSOCIAZIONE CULTURALE CANTOVIVO E EGIN PRESENTANO ALBERTO CESA TRIBUTO, VENERDI’ 28 SETTEMBRE

YO YO MUNDI

Storia

Il gruppo musicale riunito sotto la giocosa sigla Yo Yo Mundi nasce alla fine degli anni ’80 ad Acqui Terme, città di confine tra le colline del Monferrato, nel sud del Piemonte.

Il Monferrato è zona molto rinomata per la viticoltura e decisamente centrale per la musica e la cultura: questi sono i luoghi di Luigi Tenco – Ricaldone dista 5 km da Acqui -, della “Genova per noi”, dei racconti di Pavese, Lajolo,
Monti e Fenoglio.

Paolo Enrico Archetti Maestri – voce, chitarra, Andrea Cavalieri – basso elettrico e contrabbasso, Eugenio Merico – batteria, Fabio Martino – fisarmonica e tastiere, sono i membri originari di YYM; a loro si unirà nel 1996 Fabrizio Barale – chitarre.
Questo fa di loro uno dei pochi gruppi italiani che ha ancora in organico tutti i fondatori dopo ventidue anni di attività (festeggiano il compleanno il 5 marzo, data del primo concerto “in quattro”).

EGIN

Storia

Nati nel gennaio 1999, gli EGIN (in euskara, la lingua basca, significa “fare, agire”), propongono una musica che, ispirata dalle tradizioni popolari e folk mondiali e di Euskadi in particolare, sfocia in una sorta di patchanka che spazia i generi musicali più disparati.
Fandango, polka, arin arin, reel, walzer, tango, biribilketa per trasportare il pubblico allo sprigionare emozioni fisiche e sensoriali attraverso il suono di fisarmoniche, flauti, violini, fagotti, contrabbassi.

RICKY MANTOAN

Storia

Il suo stile, i fraseggi, la ritmica ed il drive particolare che imprime, lo mettono in luce per il gusto e l’ecletticità che riesce a trasmettere a chi lo ascolta e suona con lui. Suo ispiratore è il chitarrista americano Duane Eddy, allievo di Chet Atkins e celebre per aver introdotto l’utilizzo della chitarra elettrica come protagonista del Rock and Roll. Dopo svariarte esperienze, nel 1978 fonda il BRANCO SELVAGGIO, ed inizia anche a comporre brani originali che fanno parte del suo primo album “RICKY” , pubblicato nel 1980.Negli anni ’80 e ’90, pur esibendosi regolarmente con il Branco Selvaggio, Ricky partecipa, con Beppe D’Angelo alla batteria, a numerose tournèes al fianco di famosi musicisti americani: Chris Darrow, Greg Harris, Skip Battin, “Sneaky” Pete Kleinow, John York, Gene Parsons e Roger Mc Guinn, rivelandosi un eccellente chitarrista e confermandosi un vero caposcuola alla PEDAL STEEL GUITAR.

GLORIA BERLOSO

Storia

Nata in Friuli, si trasferisce in Piemonte divenendo la compagna artistica e di vita di Ricky Mantoan.
Lavora in un progetto di diffusione culturale dal 1984 per passione.
Alcuni amici dicono che è nata per stare in mezzo agli artisti ed in parte è vero! La naturalezza della comunicatività che riesce ad avere con tutti la porta ad essere un punto di riferimento per molti.  Su Alberto Cesa ha scritto alcune recensioni.

Si occupa di promozioni artistiche, scrive su Bravonline, Lineatrad, http://www.ilblogfolk.com

BABEMALA’

Storia

Il gruppo è composto dalla vocalist Laura Sartore, da Giovanna Garzena (voce e flauto), Paolo Ferro (ghironda e percussioni), Giuseppe Tabbia (fisarmonica e mandolino) e da Mauro Sarcinella (chitarra). Si tratta di musicisti che negli anni passati hanno avuto esperienze in vari gruppi folk dell’area torinese, con alle spalle diversi stage di musica antica e barocca, oltre che corsi di musica e danza popolare. Negli ultimi tempi il gruppo dei Babemalà ha attivato diverse collaborazioni con varie scuole di danza popolare e musicisti dell’area folk di Torino. Degna di nota in tal senso è la recentissima collaborazione con Alberto Cesa del Cantovivo, tendente alla realizzazione di uno spettacolo sulla musica tradizionale piemontese. Da segnalare infine l’interessante attività di musicoterapista di Mauro Sarcinella (chitarrista del gruppo) in diversi Enti e scuole della provincia di Torino.

settembre 16, 2012

SANDY DENNY (Fotheringay) – Una stella che brilla, un Angelo per chi sa ascoltare

Per troppo tempo la luce solare del viso di Sandy e  la sua voce celestiale, pura come il ruscello che scorre senza preoccuparsi di chi non vuole bagnarsi nelle sue acque limpide e fresche, sono rimaste nascoste nei nastri in un cassetto impolverato di qualche studio di registrazione. Oggi, finalmente dopo quaranta anni, il concerto live di Essen (1970) è possibile ascoltarlo con grande emozione con l’uscita di FOTHERINGAY (2011 Thors Hammer-Made in Germany). Questo concerto segna la grandezza di Sandy Denny e la sua evoluzione, dopo essere uscita dai Fairport Convention alla fine del 1969. Le sue composizioni The Sea e Nothing more, e la sua voce in ogni brano ti trasmettano emozioni e t’incantano. Non esiste alcun dubbio per i miei orecchi, Sandy è la più bella voce che io abbia mai sentito. Tutta la musica, curata ed arrangiata dalla chitarra elettrica  di Jerry Donahue, arricchita da sonorità classiche con Gerry Conwaye e la voce di Trevor Lucas, in qualche tratto forse un po’ esasperata, regalano a questo disco un’importanza sublime nella storia della musica. Un espressionismo, quello dei FOTHERINGAY, colmo di esperienze musicali diverse e piene di vitalità raggiunti con pochi strumenti ma con una cantante che ogni band avrebbe voluto avere. Sandy era piccola e fragile, si faceva amare da chiunque, a Lei non importava il successo e incidere dischi di altri che soffocavano comunque la sua grandissima personalità, unica e rara. La piccola cantante britannica riuscì a farsi sentire, pur restando nell’ombra, rispetto altre sue colleghe, con i Fairport prima e da solista,  dopo lo scioglimento dei Fotheringay.

La sua voce, limpida, pulita, vitale ma velata da una punta di malinconia ha valorizzato motivi di Bob Dylan  e ballate povere e non celebri, variando tonalità che a nessuna cantante al mondo sono mai riuscite.

Sandy Denny è morta a soli 31 anni,  la stampa e le case discografiche si sono comunque e sempre occupate molto poco di questa piccola ma grandissima artista. A Lei però credo non importi perché la musica è vita, a me è rimasto il pensiero di un’immagine solare, un angelo beato tra gli angeli, la sua musica è dentro di me. Tutto il resto non è ancora storia.

♥SANDY DENNY♥

In memoria di Sandy Denny ho registrato con Ricky Mantoan, At the end of the day…

settembre 14, 2012

Max Manfredi in TRITA PROVINCIA un giro di canzoni attorno a un libro

Domenica, 21 ottobre alle 19:00

Max Manfredi in TRITA PROVINCIA

Alvito (Frosinone)

 Teatro Comunale – Piazza Marconi 1

un giro di canzoni attorno a un libro

di MAX MANFREDI e IVANO CAPOCCIAMA

con Max Manfredi e la Staffa, Ivano Capocciama, Ilaria Svezia

Regia di Ivano Capocciama

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TRITA PROVINCIA,

la novella discreta di Max Manfredi, edita da Liberodiscrivere, si può ORDINARE

presso le librerie Feltrinelli. Distribuzione Nda.

Presentazione

Della sterminata legione di angioli e diaboli che compongono lo spirito e la mente di Manfredi, ce ne sono due, Max e Massimo, che più degli altri sono inquieti e tendono a uscire da lui: il primo attraverso i pori e la gola durante i suoi concerti, il secondo, più sottile e proveniente da abissi più profondi, cercando di trasformarsi in inchiostro e facendosi portar lontano da tappeti volanti di pagine manoscritte.

Del secondo vorrei narrarvi, essendo al cospetto del primo romanzo, pardon, novella discreta.

Massimo Manfredi è conosciuto anche per un tascabile edito da Vallardi sui limericks. Nei limericks, componimenti poetici regolati da leggi ben precise, il primo verso deve contenere l’indicazione di un luogo che quasi sempre, per doveri di rima e/o di effetto straniante e comico, in italiano risulta essere un paesino di qualche remota landa persa tra campi, ciminiere, pollai polverosi o taverne dalle grosse risa e piccole ore.

Orbene, Trita provincia è il primo verso di un limerick che, anziché voler continuare verso il basso della pagina, scappa via in orizzontale, come un granchio anarchico, fuggendo dal foglio, dal tavolo, dalla casa, dal paese, perfino dal tempo.

Massimo Manfredi fa parte di quella schiera d’artisti atemporali che camminando a fianco dei corsi e ricorsi vichiani sono stati via via all’ombra delle cattedrali delle grandi città del Medioevo, a consumare occhi e candele consultando antichi testi e scrivendo zibaldoni nell’Ottocento, a immaginare e disegnare nuove metropoli e ferrovie nei primi anni del XX° secolo, infine a scrivere, cantare o dipingere mondi altri nascosti nelle intercapedini del quotidiano che pendono stanchi dopo essere stati dentro di noi come il “trapezista molle” delle prime, bellissime pagine del libro.

Il diabolo Massimo di Manfredi s’è divertito con i suoi alambicchi pieni di parole e ci ha regalato quest’opera piena di calembours, assonanze, ossimori, riferimenti colti, vere e proprie metanarrazioni che fanno entrare e uscire il lettore dalla novella con la porta girevole dei cambi di ritmo e di piani spaziali e temporali.

Cesellatore della lingua e intagliatore di immagini, Manfredi ci conduce dentro un labirinto narrativo pieno di intuizioni felici, come la visione nelle biblioteche del terzo capitolo, o la storia dell’inchiostro odoroso nel dialogo tra Goffredo e Ermengarda oppure la passeggiata notturna di Manrico e quella di Duncano o la parte del Solstizio d’inverno: “Accompagnami al margine del sabba (…), ai fuochi, alle grolle, alle danza col fiatone; abbiamo già bevuto troppo dalle brocche amiche, tutto è triste come un ballo militare, tutto sembra compiersi nell’orlo smagliante tra stasera e l’addìo. Ma abitare l’addìo è come non andarsene mai.”

Certamente questi sono solo miei gusti personali, in quanto la novella discreta del diabolo Massimo presenta tanti e tali spunti per fughe mentali che ognuno può smontarla, rimontarla e mutarla nella sua testa come crede, sia per tentare di trovare l’uscita del labirinto, sia per perdersi ancor di più, sia per tentare di trovare il Minotauro e pagargli un Centerbe in qualche bettola dell’angiporto.

Se posso dare dei vaghi e personalissimi punti di riferimento per la navigazione in questo mare dal procelloso inchiostro, potrei citare Les chants de Maldoror di Lautremont o le Nourritures Terrestres di Gide, ma senza la cattiveria e i conti da regolare del primo e il tono da invettiva del secondo. Quello di Massimo Manfredi è infatti uno scrivere discreto, nel quale i microcambiamenti della natura e i particolari e le piccole vicende dei protagonisti si intrecciano con le Grandi Questioni e con l’Orizzonte, quasi a voler concretizzare gli enunciati della Tabula Smaragdina, citata nelle prime pagine, nella quale Ermete Trismegisto compara ciò che è in alto a ciò che è in basso e, quindi, l’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.

E così, alla fine della lettura del libro o anche solo di una parte (un aspetto importante è che ogni brano della novella può essere autoconclusivo), in fondo all’alambicco della nostra anima, dentro il quale pagina dopo pagina avevamo messo a cuocere porti notturni, ronzìi di vecchie radio, antichi volumi, cinema nebbiosi, ubriachi che dormono, libri sigillati negli abissi marini, chiese e vicoli lerci, rimane una polvere di proiezione con la quale poter almeno pulire i vetri con i quali vediamo fuori e lucidare le scarpe che accompagneranno i nostri nuovi passi e che daranno calci a “sassolini che affondano, affondano tutti”.

***

La pozione del Massimo labirinto – Una prefazione a mo’ di postfazione di Claudio Pozzani

Strologo

E’ colpa tua se non visito più, battendo ciglia e neve, i santuari delle abetaie e le abetaie dei santuari; né intaglio, a roncolo distratto, nella carne del legno, i Santi e le Madonne incinte, Madonne il cui frutto di legno, nel grembo di legno, finirà centellinato dai tarli della sagrestia – ogni croce ha la sua croce.
Ho visto i larici pianger via tutta la loro manna, ubriachi d’estate e d‘api, come certi ritratti di santi trasudano sangue, che ronzan tutt’attorno delle preci di pellegrini canicolari ristorati a un miracolo d’ombra. Ho visto con questi miei occhi terra e muri insanguinati da chissà quale delitto – finché un dotto non mi spiegò, era l’inizio di Giugno, che si trattava della rossa pioviggine lasciata dalle Vanesse al tempo del riscatto dalla loro crisalide… è colpa tua, tua.
Speravo, niente, che m’avresti trovato in casa. Occorre far fare una chiave, incidere il palmo di cera della tua cara mano d’un incavo di chiave, per aprirci furtivi l’inverno, io e te: lo scrigno della Matrigna Collodicigno, la fibbia – sortilegio.
Volli corteggiarti d’un foco folletto incastonato in gemma d’anello, che mutava colore al mio umore e tono al mio tono: miele se sei infedele, zaffiro se ti raggiro, cenere se sei una venere, adularia s’io sono un paria, topazio quando mi strazio, corniola ti senti sola, giavazzo se sono pazzo!
Custodi del mio caminetto, due alari – li vedrai, se vieni – tutti nodi e viticci, due alari filari di ferro battuto: sotto, brace che chioccia. E libri, bella mia, quanti ne vuoi: libri che capiresti e libri che non capiresti, libri d’Ore, di mesi, anni e libri di minuti, santi e grimori, devozioni di monaci cordiglieri e Clavicole di Salomone, apocrife; stampe con su la beffa zoppa di un organo regale, falso, che al posto dei tasti torce code vive di gatti che gnaulano e soffiano scellerati corali. Ho libri sui funghi e libri sui diavoli (ogni fungo malefico è marchiato dalla signatura d’un preciso diavolo); poi possiedo un geloso volume rilegato in zecchino teriomorfo, tessuto di serpi e d’alghe: è l’Herbarium Mentis, la favolosa opera di Frate Paulus di Danzica. Non so se sia stato lui davvero: sai che le sue “ Selectiones” sono andate perdute, come ogni libro che si rispetti. Ma noi potremo applicarci a studiarlo, l’Herbarium, seguendone il dettato passo passo, e sperimentarne insieme i farmachi bui.
Ho volumi sull’Opus Magnum e sull’opus minus, recanti a frontespizio il testo della Tabula Smaragdina di Ermete Trismegisto (dicono somigliasse, nel suo vivo smeraldo, a una sapiente cucchiaiata di gelatina d’hashish, che lenisce i dolori).
Vedi, c’è solo la scelta dell’imbarazzo. E se non ti va di leggere (sarai stanca del viaggio!) stappiamo una bottiglia di vino d’Oporto. Questo sì che ci piace, eh?
E’ pieno di luce. Dà alla testa, coi suoi rossori severi. Stordito, affoga nel suo calore lo spettro d’un rubino. E’ pieno di luce e canta al fuoco d’un rubino. Bevi, bevi, è il fuoco che ci corre negli occhi, il suo fuoco: e ci ritroviamo a guardarci l’un l’altra con gli occhi di fuoco, le nostre maschere sono il familiare enigma del dopocena e son le zucche coi buchi per gli occhi e pel naso, scavate e accese dentro di un’anima candela … e sono loro i nostri guardiani notturni.
Di notte bruceremo l’erica per far restare secche le streghe. Tu preparerai i filtri d’amore con sangue d’uccelli, verbena e l’ippomane: così mi terrai avvinto, esile afrodite di febbre fievole.
(Tu attizza, ch’io sparecchio via le lische del pesce di fiume dorato al serpillo… contemplando la brace ch’è tutta un convento di stupri, monachine che saltano nude… alticci, perduti nel grembo del freddo che arriva. Io che scordo la mandora, ciangottìo di bischeri, perché il budello riposi. Poi tu che ti svesti serena, e come se tutto ci fosse dovuto da sempre).
Stiamocene acquattati qui, qui, di nascosto dal nostro solitario strascico d’eroi, dalle icone slave occhitristi come le renne della tundra dal cuor di lichene, i coboldi di Paracelso e i diavoli imprigionati nella cornice d’un rompicapo; fuggendo da parvenze umane che s’annidano persino fra le cuccume e le chicchere, dai volti degli gnomi intagliati nel ciliegio della Foresta Nera… dal soffio degli spiriti dei bimbi caduti nei pozzi per colpa d’amori gelosi di sterili ondine… e poi, dillo, da tutti gli eroi dell’ultima ora che ancora vagano per le strade, ciccando, ed è tardi, per certi già l’ora dell’arrivederci domani, per altri la speranza di dormire ma senza far sogni.
E noi? Macché, intenti e persi, casa dopo casa, nella geomanzia del nostro amore, l’interminabile riunione di famiglia: il barbuto, lo sfrontato, la prudente, la chiacchierona, vermiglio e biancore.
Persi e intenti nei riti avari e notturni dove io son lo stilo e tu sei la terra.
Ma – crepi l’astragalo – sempre mi butta che non vieni non vieni non vieni! Ah, coscine di pollo! E tu, perché non mi cadi in catalessi (da brava)? Così dovrei rapirti, dormiente, portarti fin qui a forza di braccia. Risvegliarti sì (credi che non ne sia capace?) ma solo a metà; e poi amarti solo nel sonno, solo quando non sogni ma non fai che muoverti dolcemente, quasi distesa in una amàca d’acqua, beata d’un verme di mare che sogna, non tu.
Speravo, nulla, che ti saresti fatta trovare in casa – la mia casa, la tua casa (che non c’è), la casa di betulla in riva a un mar di verde dove il fiume si culla.
Ma, gli abiti smessi d’autunno (ché quelli rosi dalla Tapezella li abbiam lasciati religiosamente chiusi nell’armadio), ecco che fra arbusti tarpati e ritorti come lo strame acceso del tabacco arreso dentro il fornello della pipa di pannocchia, che brucia tutto spocchia: Brutta, sei brutta coi tuoi capellacci a scopadiciocco! Stregaccia balocco! E io, che ti tiro il roccolo? Vicino vicino… mi coccoli? Nessuno, qui, a reggere il moccolo, rimorso dei brutti anatroccoli… e tu, tu non sei più la strega, che è brutta e si nega, sei la fata turchina che scende la china fra boccolo e boccolo.
Ah, questa rovina di finestra è aperta e mi piove nel calice dello spettro, da cui ingollo l’ultimo sputo di vin d’Oporto. Vuota giace la bottiglia in un canto. Parlo solo, ormai, col mio giullare o con quel che ne è restato. Se ho vicini, m’intimano di star zitto, picchiando su quello che per loro è il soffitto e per me il pavimento, tutto scalcinato e butterato per entrambi.
Che faccio di codesti volumi? Li sfoglio, deluso.
Preziosi in -quarto del diciassettesimo secolo, d’una stampa sbavata come se ci fosse stato versato del latte (inutile piangere!) o meglio, meglio, come se un diavolo triste e catatonico si fosse messo lì a lasciar cadere saliva sulle pagine, senza schizzare, lasciandosi andare; o uno scolaro che, invece di seguire la lezione, faccia verso terra, fa del suo sputo, sputo su sputo, una bella pozza sul pavimento della classe , un lago lunare nella topografia della stanza, lubrìca di riluttanza.
…Scolari che siedono ai banchi, irrequieti, indolenti – dolenti di una sbucciatura di cortile che brucia come una vergogna, d’un moccio che pende simile ad un rubinetto che perde, e pende e non vien su, per quanto tu sciurbi col naso. Capelli rapati da ergastolano, riso da sordomuti, gli scolari lottano a ficcarsi i pennini nelle gambe e nelle chiappe, in un brivido sparuto di peli; o bagnano a lagna palline di carta strappata, di bava d’inchiostro, sperse nella bava come le Afrofore; o arrotolano, dito su dito, il muco del naso, cercando di lanciare su un quaderno o su un viso quel proiettile d’artiglieria lagunare. Se, a dispetto delle bicellate, resta incollato all’unghia sozza (salta anzi dall’unghia al polpastrello, il molle trapezista), se ne slumacano strofinandosi la cappa.
Altri scavano, da dentro le nari, reperti fossili, affilati come i pennini usurati e secchi di polvere di china; oppure pellicole pellucide, ciascuna ancor con la sua lacrima; o robaccia verde, buona da mimetizzarci i militari.
Sulla scanalatura del banco tengono in fila quegli antipasti di mare. C’è chi ne pilucca, assorto. Biascica.
Se si cattura un moscone tonto, tutti si fanno attorno a chi sa come premergli il corsaletto fra pollice e indice, per fargli tirar fuori la lingua tutta intera. Gli si prescrive la fine. Vano il processo, giacché l’infanzia è santa come l’Inquisizione: già vola fra le mani un compasso, s’impala l’infedele – macché, meglio lo spillo da balia della tua cappa! Io ci ho lo stecco!
Ridono a crocchio, mentre il moscone infilzato, agonizzante, in piedi su una gomma con lo stecco orizzontale tra le zampe, pare far sollevamento pesi.
Gli ultimi non arrivano ad osservare il moscone in bilico sulla sua cyclette ruggente. Siedono, tesi: cesellatori di scoregge.
Ma all’oratorio, che l’ombra della cattedrale sovrasta , lanciano le palline sui tavoli verdi del calciobalilla e del ping pong, sul feltro antico del biliardo: le palle, massicce o minute, dure o cave, echeggian lungo campi e sponde, nella loro traiettoria, come lungo le navate della chiesa. Ogni po’ passa un prete in tonaca. Sa di dopobarba e ascelle di prete.
A volte gli scolari frignano, nelle risse dell’oratorio. Certi pianti si cancellan di botto, come quando la pallina del calciobalilla rimbalza sulla porta sguarnita e torna in campo senza chioccolar giù, per una lecca troppo forte. Degli altri pianti, però, non solo entrano in porta, ma vanno a nascondersi tra gli interstizi segreti del calciobalilla, non li tiri fuori più, nemmeno a calci, rimangon lì, rimangon lì.
Molti scolari sono imbattibili in qualche disciplina in cui altri fan peggio, o non fanno: vibrare il naso come il coniglio, nitrire, scoccar l’elastico, spegnersi la candela nel cavo umido del palato, biascicar fiammiferi accesi, piegare le falangi delle dita ad angolo retto; o fare rimbalzare i sassi piatti e lisci nell’acqua – una, due, cinque, sette volte, a perdita d’occhio, fin dove si smussa l’orizzonte.
Invece i sassolini della mia inutile geomanzia affondano, affondano tutti; finché non è più possibile il computo.

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Da un’intervista di Gloria Berloso a Max Manfredi                                   →

D. – Max Manfredi, ti consideri più poeta o più cantautore? mi puoi spiegare la differenza        tra canzone e poesia?

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R. – Tecnicamente la differenza consiste nel fatto che i versi della poesia, oggi, non sono musicati. La poesia è fatta dunque per la lettura, la canzone per l’ascolto.

Dal punto di vista del valore che viene attribuito a questi due fenomeni, poi, la poesia ha seguito una strada “alta”, investigazione cosmica o squadernamento sublime dei propri sentimenti. La canzone ha seguito una via “bassa”, che non esclude l’intrattenimento e la danza.
Si tratta però di convenzioni, che, come tali, mi interessano poco. Poesia e canzone sono consanguinee, non soltanto dirimpettaie occasionali.
Io mi considero, genericamente, un artigiano; che però lavora una materia come l’emozione, che è impalpabile. O meglio, che elabora con strumenti concreti un’illusione.
Sono come un giostraio, un prestigiatore, un pubblicitario, un sacerdote di campagna, un venditore di bolle di sapone. Uno sciamano e uno showman, come dice il titolo di una nota rassegna. Un incantautore, come sono stato definito. Non è una definizione così peregrina: nella lingua latina, per esempio, “carmen” significa canto ed incanto. Ma nella lingua inglese “spell” vuol dire formula magica e compitazione della parola. Ecco: laddove la parola, semplicemente compitata, e quindi ritmica, diventa magia: è il paese musicale da cui provengo. E’ la mia letteratura.

Questa attitudine non è solo fiabesca. La descrizione del quotidiano più banale acquista, nella musica, una seduzione necessaria ed aggiunta. Posso dire le cose più colloquiali, ma le dico in musica. L’impatto emotivo cambia, a volte in modo deflagrante.
Io sono poi per una rivalutazione ed una ridefinizione del termine “poeta”. Non tanto inteso come “colui che compone poesie” meno che mai come colui che componendole, invera o sfiora l’universalità: definizioni ( la prima, insieme troppo tecnica e vaga, e povera da un punto di vista assiologico; l’altra troppo empatica, enfatica e per così dire mitologica) per essere funzionali, tanto peggio se si pretendono scientifiche.
La definizione che propongo all’uso è: poeta come facitore (da “poiesis”), colui che trova un equilibrio fra la contemplazione, quella specie di scossa elettrica o invasamento che fu ed è chiamato “ispirazione”, e l’azione (manipolazione della sua materia artigianale).

In questo senso l’attribuzione “poeta” può applicarsi al facitore (ed inventore) in qualsiasi disciplina. Anzi, riporta la velleità astratta e quasi immateriale dell’epitteto ad una qualifica artigianale e concreta, per quanto sia concreto il linguaggio.
Il poeta non è mai chi si applica in una disciplina tradizionale, ma chi inventa il linguaggio al suo interno, cioè chi “trova” ed esercita fantasia all’interno di una disciplina.
Poeta – ora in questa accezione tecnica, e non metaforico – può essere uno scienziato, un cuoco, un attore, un prestidigitatore, un pugile. Poeta può essere anche uno che scrive poesie. Ma non tutti quelli che lo fanno, anzi, direi pochissimi.
Personalmente trovo questa definizione di “poeta”, che esula un po’ dal senso comune attuale – che è ambiguo alla radice – insieme precisa e libertaria, o liberatoria, o almeno libertina.

settembre 8, 2012

Gli A3 APULIA PROJECT suoneranno all’Umbra Forest Folk Festival 2012 nella Foresta Umbra

Gli A3 Apulia Project, band etno-folk originaria di Terlizzi (BA) ma “cittadina del mondo”, sta continuando attivamente a portare in giro il disco Odysseia, pubblicato dalla nota etichetta discografica Compagnia Nuove Indye di Paolo Dossena.
Dopo le numerose date estive in giro per i palchi italiani, la prossima performance live della band sarà un ritorno “a casa”, il 9 Settembre 2012, in occasione della due giorni (8 e 9 Settembre) per la 5^ edizione dell’Umbra Forest Folk Festival, ambientato nella suggestiva Foresta Umbra, nel cuore del Parco Nazionale del Gargano, a Monte S.Angelo, in provincia di Foggia.

Un festival importante, in cui si esibiranno, oltre agli A3 Apulia Project, artisti di tutto il mondo, provenienti dai cinque continenti, dando vita ad una grande festa per sensibilizzare al rispetto dell’ambiente e contemporaneamente far rivivere le atmosfere hippy. Artisti e pubblico, infatti, sono invitati a presentarsi vestiti in stile “figli dei fiori”.
Semplicemente imperdibile!
Per contatti e informazioni: http://www.umbraforestfolk.eu

LA BAND DEGLI A3 APULIA PROJECT:
Il progetto degli A3 Apulia Project nasce da un’idea di Fabio Bagnato, autore, compositore e chitarrista specializzato nello studio e diffusione della chitarra battente, classico strumento della tradizione popolare dell’Italia meridionale.
Il nome del progetto è preso in prestito da quello della più famosa autostrada del Sud (la Salerno – Reggio Calabria), perché, come l’autostrada A3 è un’arteria importante che collega diversi punti del Sud, allo stesso modo la musica degli A3 Apulia Project si pone come collegamento per un ideale viaggio nel mar Mediterraneo, da sempre portatore di nuove culture che si mescolano alle antiche tradizioni del Sud Italia.
La passione per il viaggio e contemporaneamente per la propria terra è da sempre la fonte di ispirazione primaria degli A3 Apulia Project, che riescono ad unire all’interno della propria musica tutto il folklore e il calore di una grande regione, idealmente riconosciuta nelle terre che circondano il Mediterraneo (fatta di diverse suggestioni, culture, usi e costumi), insieme ad una concezione poeticamente lucida e sagacemente critica dell’attualità.
La prima – la terra – impregna le musiche, dando vita ad un etno-folk-rock contaminato da diverse matrici legate alla musica popolare ma anche ai grandi cantautori italiani; la seconda – la visione critica dell’attualità – è evidente nei testi, anch’essi caratterizzati da un forte piglio cantautorale.

Le radici degli A3 Apulia Project, quindi, non sono racchiuse solo entro il confine geografico della Puglia, regione d’origine della band, ma in ogni terra “gemella”, fino a disegnare quest’unica regione, il Mediterraneo, intesa come patria musicale e madre generosa, dagli stimoli infiniti.
Le sonorità della chitarra battente, della fisarmonica e del tamburello, vanno così ad affiancarsi con altre più moderne, come quella del basso elettrico, del cajon (strumento classico della tradizione Sudamericana) e della batteria.
Un giorno Mimmo Martino, poeta calabrese, ha detto: “…un popolo senza storia è come un albero senza radici… è destinato a morire…”. Gli A3 Apulia Project vogliono far questo: musicare una vecchia storia, stridendo sulle corde della memoria, pizzicando la vena dei ricordi, per percorrere una strada antica verso nuovi orizzonti.
Durate la loro attiva carriera live, gli A3 Apulia Project hanno avuto l’onore di condividere il palco con artisti del calibro di Officina Zoè, Ray Tarantino, Moni Ovadia, Mimmo Cavallaro e i Taran Project.
Hanno inoltre partecipato alla 3^ Ed. de La voce del Gargano – Festival di suoni e danze del Mediterraneo, diretta dal M° Michele Mangano, dove hanno ritirato il PREMIO ANDREA SACCO a testimonianza di un lavoro di continuità, attraverso la ricerca in campo etno-folk.
Hanno effettuato una tournèe in Francia per la 22^ Ed. del Festival Internazionale FIMU in Belfort (gruppo scelto a rappresentare l’Italia) ed in Germania per conto dell’Istituto Italiano di Cultura e città di Wolfsburg, per la rassegna internazionale SOMMERBUHNE 2009.
Apprezzamenti per il lavoro effettuato dagli A3 sono arrivati da musicisti di grande livello come Daniele Sepe, Ambrogio Sparagna, Marcello Vitale, etnomusicologi come Alfonso Toscano e giornalisti come Guido Festinese de Il Manifesto, Paola De Simone di Radio inBlu, Leo Kalimba di Radio Radio e Carlo Chicco di Controradio.
Inoltre uno dei brani del gruppo, Tammurriata Alli Uno (Testo: Trad. – Musica: F.Bagnato), è stato scelto e inserito da una nota casa discografica di Milano, l’Arci Sana Records, in una compilation uscita nel settembre 2007 dal nome: Arci Libertà e Musica.
Sono stati selezionati anche da I Think Magazine e (R)Esisto Distribuzione per la compilation Frequenza d’Impatto Vol.1, pubblicata a Luglio 2012 e scaricabile in free download da questo link: http://www.mediafire.com/?791ioffgkadz7cr
Attualmente la band collabora attivamente con Paolo Dossena (Luigi Tenco, Patti Pravo, Francesco De Gregori, Almamegretta, Sud Sound System…) produttore della RCA e CNI.

Il gruppo è composto da sei virtuosi musicisti ed una danzatrice:
Fabio Bagnato (chitarra battente – chitarra acustica – lira calabrese – voce) Walter Bagnato (fisarmonica – pianoforte – synth – cori) Pasquale Lamparelli (tamburello – cori) Domenico Mininni (cajon – darabouka – congas) Francesco Rossini (basso elettrico) Giacomo de Nicolo (batteria – effettistica) Rossella di Terlizzi (danza).

agosto 28, 2012

Un successo da 40 mila presenze. Si è da poco conclusa “Umbria Folk Festival 2012”

Con la giornata dedicata all’Occitania e alle sue tradizioni musicali ed enogastronomiche, ha chiuso il 26 agosto, ad Orvieto, i battenti la sesta edizione di Umbria Folk Festival, rassegna di musica, cultura e gastronomia che si è svolta dal 21 al 26 agosto. Oltre 40.000 presenze hanno consentito alla manifestazione di confermare il suo trend di crescita sia per qualità che per gradimento.     La grande musica di Goran Bregovic, Ambrogio Sparagna, Francesco De Gregori, Alessandro Mannarino, Peppe Barra, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Lucilla Galeazzi, Raffaello Simeoni, Gai Saber, L’Orchestraccia, Juredurè, affiancata dai workshop di danze popolari e dalle Lezioni Folk a cura di Valentino Paparelli, hanno trasformato per una settimana Orvieto nella capitale della cultura folk.

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