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febbraio 14, 2020

Buffy Sainte-Marie, vincitrice del premio Allan Slaight Humanitarian Spirit Award per il 2020

La Settimana della musica canadese è lieta di annunciare Buffy Sainte-Marie come vincitrice del premio Allan Slaight Humanitarian Spirit Award per il 2020. Buffy sarà onorata per il suo lavoro degli ultimi 60 anni come musicista, attivista ed educatrice all’annuale Gala dei Canadian Music and Broadcast Industry Awards al Bluma Appel Theatre di Toronto giovedì 21 maggio 2020.

Buffy Sainte Marie

Buffy Sainte Marie

“ Buffy Sainte-Marie è il punto di riferimento per tutto ciò che rappresenta l’Allan Slaight Humanitarian Spirit Award”, (Gary Slaight, CEO e Presidente della Slaight Communications/Slaight Family Foundation). “Per lei, il successo mondiale e lo status di leggenda della musica non era un obiettivo personale, ma un’opportunità per cercare di riparare ai torti, un’opportunità per restituire al pianeta, e un’opportunità per alterare il corso della vita degli Indigeni attraverso l’educazione”.

Alimentata dalla sua dedizione alla musica, all’arte, alla filantropia, all’attivismo sociale e all’educazione, Buffy Sainte-Marie è attiva nell’industria musicale da quasi sessant’anni. Nata nel Saskatchewan, nella riserva della Piapot Plains Cree First Nation Reserve nella Qu’Appelle Valley, Buffy Sainte-Marie è stata adottata da genitori americani ed è cresciuta nel Massachusetts. Qui ha scoperto il pianoforte in giovane età e ha coltivato il suo talento per la musica componendo canzoni e imparando a suonare la chitarra. Quando è emersa sul palcoscenico musicale nell’era del folk negli anni Sessanta, stava già scrivendo diverse canzoni che sarebbero diventate dei classici internazionali del country, del rock, del jazz e del pop.

“ Siamo orgogliosi di partecipare a rendere omaggio a Buffy Sainte Marie per la sua generosità d’animo che dura da una vita”, ha dichiarato il presidente della Settimana della musica canadese Neill Dixon. “Ci sono poche stelle internazionali così saldamente radicate nelle loro radici e così impegnate a sostenere la loro storia culturale, sul palco e fuori. Una generazione di giovani delle First Nations istruiti e consapevoli deve ringraziarla per aver portato avanti questa storia”.

Buffy Sainte-Marie ha passato tutta la sua vita a creare, e la sua abilità artistica, i suoi sforzi umanitari e la sua leadership indigena l’hanno resa una forza unica nell’industria musicale. Nel 1969 ha realizzato i primi album elettronici quadrofonici vocali al mondo, Illuminations; nel 1982 è stata la prima indigena a vincere l’Oscar; ha trascorso cinque anni a Sesame Street, dove è diventata la prima persona ad allattare in televisione nazionale. È stata inserita nella lista nera e messa a tacere. Ha scritto standard pop cantati e registrati da Janis Joplin, Elvis Presley, Donovan, Celine Dion, Barbra Streisand, Joe Cocker e Jennifer Warnes. Ha scritto l’Universal Soldier, l’inno definitivo contro la guerra del XX secolo. È un’icona che tiene un piede saldamente piantato da una parte e dall’altra del confine nordamericano, nei territori non arresi che comprendono il Canada e gli Stati Uniti.

Nel corso della sua carriera, Buffy Sainte-Marie ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti per il suo lavoro creativo e umanitario. In particolare, Buffy ha ricevuto l’Academy Award, il Golden Globe Award e il BAFTA Film Award per aver composto il film An Officer and a Gentleman per la composizione del successo di “Up Where We Belong” del film “Un ufficiale e un gentiluomo”. È stata inserita nella Canadian Songwriters Hall of Fame, nella JUNO Hall of Fame e nella Canadian Country Music Hall of Fame. È anche Companion in the Order of Canada, e ha ricevuto il Governor General’s Performing Arts Award, il Free Speech in Music Award dell’Americana Music Association, il Charles de Gaulle Award, lo Screen Actors Guild Lifetime Achievement Award, il Gemini Award, i molteplici JUNO Awards, il Polaris Music Prize, due medaglie della Regina Elisabetta II, e innumerevoli dottorati ad honorem. Più recentemente, Buffy è stata premiata per il suo lavoro di attivista sociale ed educatrice con il premio Allan Waters Humanitarian JUNO Award, e l’International Folk Music Awards’ People’s Voice Award.

Buffy ha iniziato a sostenere la protezione della proprietà intellettuale indigena e degli artisti dallo sfruttamento quando ha fondato la Nihewan Foundation for Native American Education nel 1966. L’obiettivo della Fondazione era quello di incoraggiare gli studenti nativi americani a partecipare all’apprendimento e di promuovere la consapevolezza pubblica della cultura indigena. Da allora ha fornito a studenti e insegnanti borse di studio e formazione per insegnanti, nonché l’accesso ai programmi di base scritti all’interno delle prospettive culturali dei nativi americani che corrispondono ai National Content Standards. Più recentemente, Buffy ha focalizzato la sua attività di advocacy su The Creative Native Project, che cerca di responsabilizzare e ispirare i giovani indigeni a esplorare il campo delle arti creative e della produzione dal vivo, creando weekend artistici comunitari sotto la guida di mentori professionisti.

 

Buffy Sainte-Marie entra nel suo settimo decennio di premiata abilità artistica aggiungendo “autore pubblicato” al suo curriculum. Buffy ha recentemente scritto Hey Little Rockabye, un libro illustrato per bambini sull’adozione di animali domestici, ispirato dal suo amore per gli animali. Hey Little Rockabye è disponibile in tutto il mondo il prossimo maggio 2020 su Greystone Books.

La Settimana della musica canadese tornerà a Toronto dal 19 al 23 maggio 2020.

Ogni anno, la Slaight Communications e la Settimana della Musica Canadese premiano un artista canadese d’eccezione, in riconoscimento del suo contributo all’attivismo sociale e al sostegno delle cause umanitarie. Nel suo decimo anno, Buffy Sainte-Marie entrerà a far parte della celebre lista di destinatari che include: Gord Downie, Arcade Fire, RUSH, Sarah McLachlan, Chantal Kreviazuk & Raine Maida, Simple Plan, Bruce Cockburn, Bryan Adams e Nelly Furtado.

SU ALLAN SLAIGHT
Pioniere del rock and roll, Allan ha messo in mostra il suo talento imprenditoriale con la sua conoscenza della radio per creare la più grande società multimediale privata del Canada, la Standard Broadcasting Corporation Limited. Un’indiscussa entrata nella Broadcast Hall of Fame (1997), insignito di una laurea ad honorem in commercio presso la Ryerson Polytechnic University (2000), ha nominato un membro dell’Ordine del Canada (2001), insignito del Walt Grealis Special Achievement Award (2005) per il suo contributo alla crescita e allo sviluppo dell’industria musicale canadese, Allan ha anche mantenuto a lungo l’interesse per le congetture.

SULLA SETTIMANA DELLA MUSICA CANADESE
Giunta alla sua 38° edizione, la Settimana della musica canadese è il principale evento annuale di intrattenimento del Canada dedicato all’espressione e alla crescita dell’industria musicale, dei media e dell’intrattenimento del paese. Combina conferenze multiforme e ad alta intensità di informazioni, un’esposizione commerciale, premi e il più grande festival di nuova musica della nazione che si estende per cinque notti di spettacoli, con centinaia di band in vetrina in più di 40 locali di musica dal vivo nel centro di Toronto. Tutte le funzioni congressuali si svolgono presso lo Sheraton Centre Toronto Hotel, 123 Queen Street West a Toronto.

Premi canadesi per la musica e l’industria radiotelevisiva
21 maggio 2020 alle 19:00
Bluma Appel Theatre, Centro per le arti dello spettacolo di San Lorenzo
27 Front Street Est
http://cmw.net/awards/music-broadcast-industry-awards/

 

 

marzo 5, 2015

Joan Baez a Udine: 8 marzo 2015, serata da tutto esaurito al Giovanni da Udine.

Sembra essere inziata nel migliore dei modi la collaborazione tra Il Teatro Giovanni da Udine e Folkest. Un tutto esaurito che accoglierà Joan Baez con lo splendido colpo d’occhio di un teatro strapieno in ogni ordine di posti. Sarà la seconda di quattro date del tour italiano che, oltre Udine, toccherà Bologna, Roma e Milano.

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ottobre 23, 2012

Canzone popolare, ma quanti l’ascoltano?

Il termine “canzone popolare,” copre una vasta gamma di stili musicali, ma è più comunemente usato per riferirsi ad un brano narrativo che utilizza melodie tradizionali per parlare su un argomento particolare. Spesso, le canzoni popolari affrontano  le questioni politiche attuali e sociali come il lavoro, la guerra, e l’opinione pubblica.

                                 

Canzoni popolari note da molto  tempo sono tramandate all’interno di una comunità, e si evolvono nel tempo per affrontare le questioni del momento.  “We Shall Overcome” è una di queste. Altre canzoni popolari senza tempo hanno origini precise, come  “Questa terra è la tua terra” di Woody Guthrie, o   “If  I Had A Hammer” di Pete Seeger. Queste canzoni sono spesso così struggenti, oneste, e senza tempo, che si radicano nella cultura, e sono conosciute da quasi tutte le ultime generazioni.  I Canti popolari appartengono in genere ad una comunità di persone per i problemi  che loro ritengono importanti. Le Canzoni popolari moderne narrano argomenti di amore

e di relazioni con il razzismo, il terrorismo, la guerra, il voto, l’educazione, e la religione, tra le altre cose. Come i tempi sono cambiati, di riflesso la musica popolare è cambiata per riflettere i tempi. Molte  canzoni di protesta sono ancora cantate oggi, anche se con nuovi versi che sono stati aggiunti in modo da rivivere il contesto in cui sono risorte le canzoni.

Nel 1960, la musica folk mescolata con la musica tradizionale, come i baby boomer sono maturate tutte in una volta. La musica del folk revival è musica pop narrativa con una coscienza sociale. Da allora, le forme musicali guidati dalla comunità ( punk, hip-hop)  si sono evolute. Ora, nel 21 ° secolo, la musica popolare è fortemente influenzata da tutti questi movimenti musicali.

La “musica popolare” è più spesso usata per descrivere uno stile di musica che si è evoluta rapidamente nel corso del secolo scorso. Se sentite descrivere dalla  critica e dai fans,  un artista,   come “folk“,  in generale, non vuol dire che stanno prendendo in prestito una melodia da una fonte tradizionale. Al contrario, tale termine viene dato alle canzoni che si suonano con strumenti non tipicamente visti in una band  rock o pop.

Dal momento che la musica folk è più adeguatamente definita dalle persone che la compongono, è importante non ignorare che le qualificazioni come “folksinger” o “folk” sono venute a significare qualcosa di diverso da quello che hanno fatto 50 anni fa. Artisti popolari oggi sono sperimentali e si dilettano in diversi generi, integrando varie influenze musicali nelle loro canzoni narrative.

Anche le fiabe popolari sono narrazioni tramandate nel tempo e toccano le stesse  tematiche delle ballate, naturalmente in maniera meno violenta, come può essere una canzone che si riferisce alle guerre, all’olocausto, alla schiavitù, al sesso, alla morte.

Le danze popolari hanno un ruolo fantastico, soprattutto per le persone che vivono in province e località molto lontane, nel senso che, la danza servirà come specchio che racconta la natura delle persone che vivono in quel luogo particolare. Attraverso la danza si rappresentano  l’occupazione, la religione, la cultura,le  tradizioni, i costumi,  la fede e lo stile di vita. Per il modo di danzare, i popoli sono riconosciuti ovunque.

Ogni gruppo di persone, non importa quanto piccolo o grande, ha gestito la sua cultura popolare a suo modo. A seconda come avviene la trasmissione da persona a persona e di essere soggetta alla capacità, o la mancanza di abilità di coloro che la danno e le molte influenze, fisiche e sociali, che consciamente o inconsciamente influenzano una tradizione, ciò che può essere osservato è una storia di cambiamento continuo. Un elemento di cultura popolare in alcuni casi mostra una relativa stabilità e subisce a volte drastiche trasformazioni. Ma si deve tenere conto che la gente che ascolta o partecipa alla sua cultura  orale, dispone di norme completamente diverse da quelle dei loro interpreti.

Di tanto in tanto un talentuoso cantante o narratore, o forse un gruppo di loro, possono sviluppare le tecniche che si traducono in un miglioramento nel corso del tempo da ogni punto di vista e per lo sviluppo effettivo di una nuova espressione culturale. D’altra parte, molti articoli di letteratura popolare, a causa di movimenti storici o opprimenti influenze straniere o la mancanza solo dei cultori della tradizione, diventano sempre meno importanti, e, occasionalmente, si estinguono dal repertorio orale.

Ma le canzoni e le narrazioni popolari, oggi, da quante persone vengono ascoltate? Spesso vengono recepite come noiose cantilene, a volte perché dilaga una totale indifferenza e a volte per il rifiuto di conoscere i problemi di chi un lavoro non ce l’ha per esempio, o alla difficoltà  di inserimento in un contesto sociale formato sempre più da etnie diverse, europee, asiatiche, africane e americane.

Di particolare importanza è il rapporto di ogni espressione culturale popolare con la mitologia. Le storie di Maui e suoi confratelli nel Pacifico, degli dei e degli eroi di africani o gruppi americani  indiani hanno alle spalle una storia lunga e complicata, forse.  Tutti appartengono ad un passato indefinitamente lungo, con influenze di culti e pratiche religiose, come la glorificazione degli eroi. Ma quali che siano le motivazioni storiche, psicologiche, o religiose, le mitologie sono una parte di letteratura popolare e, anche se tradizionale, sono state oggetto di continue modifiche per mano del racconto di storie, di cantanti o conduttori sacerdotali dei culti. Alla fine cantanti o cantastorie di tendenze filosofiche hanno sistemato le loro mitologie e hanno creato con l’immaginazione, molto bene,  le figure di Zeus e della sua famiglia olimpica e la  discendenza di eroici semi-divini . Anche se i dettagli di questi cambiamenti vanno oltre lo scopo di questo articolo, le storie degli dei e degli eroi e delle origini soprannaturali e cambiamenti sulla terra hanno svolto un ruolo importante in tutta la letteratura popolare.

La canzone folk è quasi universale, ed è probabile che dove non ci sono memorie o cantanti interpreti, le informazioni sono semplicemente mancanti. Canzone popolare implica l’uso della musica, e la tradizione musicale varia notevolmente da una zona all’altra. In alcuni luoghi le parole delle canzoni sono di poca importanza e sembrano essere utilizzate principalmente come supporto per la musica. Spesso ci sono monosillabi senza senso e  ripetizioni delle parole per accompagnare la voce o lo strumento musicale . In gran parte del mondo, i tamburelli, il battere il tempo con le mani o i piedi, o un’arpa danno  un forte effetto ritmico “folksinging”. In altre parti del mondo, strumenti a fiato o o ad arco di un tipo o di un altro influiscono sulla natura del testi di canzoni popolari. In molti luoghi canzoni folk sono di grande importanza, che serve ad aumentare l’entusiasmo per la guerra o l’amore o parte del rituale religioso. Attraverso di loro il gruppo esprime le sue emozioni comuni o alleggerisce il carico di lavoro comune. In alcuni gruppi, le canzoni popolari sono utilizzate per effetti magici, per sconfiggere i nemici, per attirare gli appassionati, per invocare il favore dei poteri soprannaturali. A volte l’effetto magico di queste canzoni è così molto apprezzato che la proprietà effettiva delle canzoni viene mantenuta e il loro uso accuratamente custodito.  Anche quando le canzoni popolari non sono utilizzate per tali scopi pratici, ma solo per il piacere di cantare od ascoltare, la maggior parte del mondo le utilizza per l’espressione di idee o le emozioni detenute in comune dal gruppo.  Canti popolari, essenzialmente espressioni di idee condivise o sentimenti, sono spesso banali, ma a volte possono essere profondamente commoventi.

D’altra parte, nelle grandi civiltà occidentali e asiatiche, il canto narrativo è importante da molto tempo ed è stato coltivato dai cantanti più abili. Nel corso del tempo queste canzoni di guerra, di avventura, di vita domestica o hanno formato cicli locali, come la Byline della Russia o le canzoni eroiche di molti Stati balcanici e la Finlandia o la tradizionale ballata dell’ Europa occidentale e altrove. Ognuno di questi cicli ha le proprie caratteristiche, con le sue forme distintive, metriche e le sue formule sia di eventi e d’espressione.

I PRINCIPALI INTERPRETI DI CANZONI FOLK

 1. Woody Guthrie 2. The Weavers 3. Bob Dylan 4. Odetta 5. Peter, Paul and Mary 6. Pete Seeger

7. Joni Mitchell 8. Kingston Trio 9. Joan Baez  10. Leadbelly 11. Phil Ochs  12. Judy Collins 

13. Crosby, Stills & Nash 14. The Byrds  15. Fairport Convention 16. Doc Watson  17. Neil Young

18. Leonard Cohen 19. Simon & Garfunkel 20. Frankie Armstrong 21. Donovan 22. Gordon Lightfoot

23. Steve Goodman 24. Ramblin’ Jack Elliott 25. John Fahey 26. Arlo Guthrie 27. Tom Rush 

28. Sweet Honey In The Rock 29. The Limeliters 30. Buffy-Saint Marie 31. Loudon Wainwright III

32. Elizabeth Cotten 33. The New Lost City Ramblers  34. Tom Paxton  35. Steeleye Span

36. Utah Phillips  37. Josh White  38. The Chad Mitchell Trio  39. John “Spider John” Koerner

40. Kate & Ann McGarrigle  41. Hazel Dickens  42. Ralph McTell  43. The Highwaymen 44. A.L. Lloyd

45. Townes Van Zandt 46. James Taylor 47. Harry Chapin 48. Oscar Brand  49. Ian & Sylvie 

50. John Prine 51. The New Christy Minstrels 52. Harry Belafonte 53. Cisco Houston 54. Bob Gibson

55. Mike Seeger 56. Almanac Singers 57. Loreena McKennit 58. June Tabor 59. Jesse Fuller 

60. Joan Armatrading 61. Dock Boggs 62. Dave Van Ronk 63. Suzanne Vega 64. Buell Kazee 65. Fred Neil

66. Eva Cassidy 67. The Clancy Brothers 68. Sandy Denny 69. The Dubliners 70. Iris Dement 

71. The Rooftop Singers 72. Gillian Welch 73. Maddie Prior 74. The Roches 75. Alice Gerrar 76. Folksmen

77. Anita Carter  78. Jerry Jeff Walker 79. Christine Lavin 80. Richard Thompson 81. AnneHills

82. Eric Andersen 83. The Chieftains 84. Ani Difranco 85. Pentangle 86. Tracy Chapman 

87. Shel Silverstei 88. John Renbourg 89. Judy Henske 90. David Bromberg 91. The Mama’s & The Papa’s

92. Tim Buckley 93. The Brothers Four 94. Emmylou Harris 95. Si Kahn 96. Burl Ives 97. Cat Stevens

98. Nanci Griffith  99. Christy Moore  100. John Kirkpatrick

The Serendipity Singers
The Seekers
Melanie
Spanky and Our Gang
Michelle Shocked
Nick Drake
Bill Morrisey
Sandpipers
Village Stompers
Smothers Brothers
The Incredible String Band
Victoria Williams
Roger McGuinn
Shawn Colvin
Janis Ian
Leo Kottke
Rod McKuen
Hamilton Camp
Taj Mahal
Gram Parsons
Peggy Seeger
Trini Lopez
Glenn Yarbourough
Bradley Kinkaid
Phoebe Snow
Buffalo Springfield
Flaco Jiminez
Devendra Banhart
Roy Harper
The Beau Brummels
The Holy Modal Rounders
Atwater-Donnelly
The Chenille Sisters
The Tarriers
The Brandywine Singers
Ricki Lee Jones
Robin & Linda Williams
Katty Moffatt
Terry Callier
Mike Cross
Carolyn Hester
Richard & Mimi Farina
The Everly Brothers
The Band
The Lovin’ Spoonful
Ellis Paul
Artie Traum
Luka Bloom
Bert Jansch
Happy Traum
The Jolly Rogers
Bad Haggis
ottobre 15, 2012

Che cos’è la ghironda? Viaggio in mezzo ai musicanti

Alberto Cesa racconta (articolo sulla Stampa, 1999-Fogli Volanti) che una donna di Ferrere, in Valle Stura, raccontò a Nuto Revelli per Il mondo dei vinti che suo nonno per guadagnare qualche soldo, andava a piedi fino in Francia, e l’attraversava tutta, dalla Provenza alla Bretagna, con la lanterna magica e la ghironda in spalla. Chissà quante cose avranno visto lungo il loro faticoso girovagare quei suonatori ambulanti che portavano in giro per ogni angolo d’Europa, sulle orme degli antichi menestrelli, quella che giustamente fu chiamata la regina di tutti gli strumenti!

Chissà quanto avremmo capito meglio certi passaggi della storia se quegli uomini avessero affidato la memoria delle loro avventure, dei loro incontri, delle loro riflessioni, anche alla scrittura, anziché soltanto a quello che rimane pur sempre il confine invalicabile tra la cultura popolare e la cosiddetta cultura dominante: l’oralità.  Peccato!

Un suonatore di ghironda, nelle piazze del Cinquecento raccoglieva più pubblico di un predicatore, alla faccia della decadenza che quella sua strana scatola sonora aveva dovuto condividere con i signori di mezza Europa dopo i fasti medioevali delle corti trobadoriche.

Ma che cos’è la ghironda?

La ghironda è il primo strumento a corde sfregate della storia della musica. I primi esemplari risalgono all’anno 1000 d.c. E’ uno strumento tipicamente belga-francese e viene adoperato anche in Italia in quasi tutto l’arco alpino. La ghironda nei secoli è sempre stata  costruita in due forme particolari, ma a forma di piccola chitarra, una a forma di liuto. La caratteristica di questo strumento deriva dallo sfregamento delle corde che vengono sfregate da una ruota azionata da una manovella. Il cavigliere è rifinito con un mascherino medievale.

Non c’è l’esatta certezza di una sicura documentazione sulle origini della famiglia delle              
ghironde, ma si può procedere per ipotesi abbastanza attendibili basate sull’iconografia e su
tutto quello che è arrivato fino a noi da quei lontani periodi.
Fin dal primo medioevo esistevano strumenti muniti di una ruota impeciata azionata da una
manovella per sfregare le corde creando in modo meccanico quella continuità di suono così
simile alla voce umana tipica degli strumenti ad arco.
L’ipotesi più plausibile si basa sulla derivazione dal monocordo di Pitagora (fisico e
matematico nato a Samo nel 560 a.C. e morto a Metaponto nel 480 a.C.) di vari strumenti
musicali che utilizzavano delle tastature al posto dei ponticelli mobili.

La ghironda  (o gironda, in francese vielle à roue, in inglese hurdy gurdy),  oggi è possibile ascoltarla  in alcuni festival europei di musica folk, suonata spesso insieme a cornamuse, in particolare in Francia, in Ungheria e in Italia. Il più famoso festival annuale è a Saint-Chartier, nella Francia centrale ma anche il festival Folkest che si svolge a luglio a Spilimbergo (Friuli).
La prima testimonianza conosciuta è l’organistrum, un enorme cordofono utilizzato nel periodo gotico in ambito monastico per insegnare musica ed eseguire brani sacri. L’essere uno strumento polifonico ne ha probabilmente ispirato il nome, che deriverebbe quindi dal termine organum.
Una delle prime raffigurazioni dell’organistrum si trova nel portico della Gloria della cattedrale di Santiago de  Compostela (XII secolo): si può notare come lo strumento, a forma di violino, sia di grandi dimensioni (anche 2 metri di lunghezza) e sia suonato contemporaneamente da due persone, di cui una addetta esclusivamente a ruotare la manovella.
Attorno al XIII secolo lo strumento, le cui dimensioni sono notevolmente ridotte, prende il nome di sinfonia (in francese chifonie): anche questo appellativo è probabilmente derivato dalla caratteristica polifonia dello strumento.
La sinfonia è suonata da un solo strumentista e viene utilizzata dai menestrelli per accompagnare danze e chansons de geste; in breve la sua popolarità ne allarga l’uso a processioni religiose e mystery plays. L’associazione, che si consolida nei secoli, con menestrelli, vagabondi e mendicanti (spesso ciechi, infatti era soprannominata “viola da orbi“) fa di questo strumento simbolo, alternativamente, di rusticità, ignobiltà, immoralità, povertà.

Lo strumento moderno è diffuso in due formati principali pur continuando ad avere svariate forme e fogge. Esaminando questi è comunque possibile risalire alla tecnica costruttiva degli altri esemplari in quanto la struttura e gli elementi che compongono la ghironda sono gli stessi pur con il variare delle forme. In sostanza cambia il contenitore ma non il contenuto.

Questa ghironda è costruita dal liutaio Sergio Verna nella Quinta Rua di Ricetto di Candelo in provincia di Biella. Nel suo laboratorio piccolo ma ricco di storia ho potuto osservare alcune fasi della costruzione di questo affascinante strumento, usato da un’ensemble polistrumentale e multigenerazionale che prende il nome da una delle vie più antiche del Ricetto Medioevale di Candelo dove hanno sede i laboratori artigianali di alcuni membri del gruppo oltre che la sede ufficiale nonché sala prove utilizzata dai suonatori.

Verso la fine degli anni settanta del secolo scorso, alcune persone certamente un po’ fuori di testa o perlomeno fuori dal coro iniziò ad occuparsi di musica tradizionale andando a cercare strumenti dimenticati o fino allora sconosciuti quali ghironde, pive, violini, percussioni di ogni tipo, ed iniziò ad animare feste da ballo ed improvvisate feste in sagre paesane. Tra questi figuri, Frenz Vogel (maestro vetraio), Guido Antoniotti (costruttore strumenti di ogni genere), Sandro Fusetto in combutta con un foresto vercellese (nessuno è perfetto) Luciano Conforti non hanno perso nel nuovo secolo il vizio e anzi lo hanno trasmesso ad altri fuori dal coro che non sapendo dove sarebbero andati a finire sono rimasti coinvolti a tal punto da imbracciare a loro volta ghironde, pive, percussioni e strumenti vari.

E così agli inizi di questo nuovo secolo, che non sembra partito troppo bene, questa banda fuori dal coro ha pensato di riunirsi sotto il nome di QUINTA RUA, composta da ALBERTO CERIA, DONATELLO SIZZANO, FRENZ VOGEL, GABRIELE GUNELLA, GUIDO ANTONIOTTI, LUCIANO CONFORTI, MARCO CERIA, MARCO PETTITI, MASSIMO LOSITO, SANDRO FUSETTO.

QUINTA RUA DI RICETTO DI CANDELO TRA I MUSICANTI DI GHIRONDA E IL LIUTAIO SERGIO

ottobre 4, 2012

MOSES ASCH ovvero FOLKWAYS RECORDS

Ho letto alcuni libri e molti articoli riguardanti Woody Guthrie, nel centenario dalla sua nascita.  Io stessa me ne sono occupata in questo sito e con altri articoli;  in moltissimi paesi nel mondo si sono svolti concerti, seminari, festival, dedicati all’immensa opera del più grande ed illustre folk-singer. Woody ha dedicato tutta la sua vita, scrivendo canzoni, poesie, testimonianze e lo ha fatto continuamente, giorno e notte!

Moses Asch, fondatore della etichetta discografica non profit FOLKWAYS RECORDS della Fondazione Smithsonian, una istituzione che ha salvaguardato ogni forma di cultura  che hanno reso grande la terra:  la musica, la poesia e ogni sonorità del mondo. Quasi tutti i dischi di Woody Guthrie sono stati pubblicati da questa etichetta nella persona di Moses Asch che n’è il fondatore. La Smithsonian ha messo a disposizione tutte le opere raccolte, pertanto chi volesse visionare ed ascoltare questi dischi, un  patrimonio immenso, lo può fare.

Ci sono inoltre molti documenti che raccontano molte storie diverse. Vi ho già raccontato che  Guthrie era un comunista e un antifascista, un poeta e un musicista, uno scrittore e un pittore. Si sa anche che era un ubriacone e un amante appassionato. Oggi abbiamo a disposizione migliaia di scritti, testi dattiloscritti dallo stesso Woody, spartiti, dischi, copertine, fotografie,  alcuni libri e li possiamo toccare con mano.

Per il centenario la Folkways ha pubblicato un box contenente tre CD con il libro. L’opera è immensa, i commenti ai dischi occupano quaranta pagine del libro. Ci sono 57 registrazioni tra le quali la versione integrale di This Land Is Your Land, cantata anche da Pete Seeger e Bruce Springsteen davanti al Presidente degli USA, Obama. Il terzo CD contiene le canzoni All Work Together e My Little Seed, precedentemente le troviamo su dischi a 78 giri.

Fortunatamente il Signor Moses ha registrato i programmi radiofonici  e le incisioni alla Radio Station di Los Angeles dove Guthrie tra il 1937 e il 1939 ha partecipato. Molto interessante e da batticuore è la registrazione di alcune canzoni come Weaver’s Life nello spettacolo di beneficienza con Pete Seeger, Cisco Huston, Lee Hays subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e la canzone Goodnight Cathy, cantata da Woody insieme alla moglie Marjorie nel 1946.

E’ proprio Marjorie a raccontare di quanto grande spessore artistico fosse suo marito, nonostante la grave malattia che lo aveva colpito, relegandolo ad un letto d’ospedale inerme…” Woody era perfettamente cosciente di quello che gli succedeva intorno, poteva pensare e capire, c’era sempre la sua mente rivoluzionaria dentro il suo corpo immobile. Quando Pete Seeger  andò a fargli visita nel 1967 con Sonny Terry e Brownie McGhee, gli cantarano una canzone e Woody pur non potendo muoversi cercava di battere il tempo con le mani“.

Woody at 100: The Woody Guthrie Centennial Collection

Woody Guthrie SFW4020

settembre 16, 2012

ROCK ROSSO E MUSICA FOLK

La storia del musica folk si espande intorno all’anno 1960. Prima ancora e durante la seconda guerra mondiale la maggioranza degli artisti statunitensi è contro il fascismo e trova  consenso nei movimenti pacifisti e diventa simpatizzante del partito comunista. La repressione e la limitazione della libertà in quel periodo furono altissime e molti musicisti non potevano pubblicare i loro dischi e non veniva loro concesso il permesso di esibirsi in concerto.

Alcune canzoni molto popolari furono scritte o riprese cambiandone una parte del testo come Guantanamera, dal grande Pete  Seeger, newyorkese e militante nel partito comunista.

La culla del folk che rinasceva fu proprio il quartiere tra Broadway e la 14° strada, le manifestazioni canore avvenivano nei campus universitari dove tutti i principali folk singers come il già citato Pete Seeger, Bob Dylan, Joan Baez e Peter, Paul & Mary, diedero vita al più importante movimento pacifista della storia degli Stati Uniti con canzoni e ballate contro la guerra del Vietnam come We Shall Overcome che nel 1963 al Newport Festival cantarono insieme tenendosi per mano. Ancora oggi quel ricordo simboleggia anche tra le nuove generazioni un periodo molto significativo di lotta pacifica contro la guerra e le sue atrocità, attraverso altre canzoni come Where Have All the Flower Gone Turn Turn Turn . Altri artisti,  fino ai giorni nostri  hanno interpretato queste canzoni portando il messaggio di pace in tutto il mondo.

Pete Seeger giovane

Pete Seeger, militante convinto tanto che gli uomini dei servizi segreti lo chiamavano  Stalin’s song bird, non si perdeva mai d’animo e suonava in ogni luogo e anche a casa d’amici; su youtube si possono trovare molti video al proposito dove Seeger duetta con Woody GuthrieSwan Phillips, Donovan tanto per citare dei nomi famosi ed importanti. Lo stesso Woody ed  I Weaver, il gruppo con cui suonava Pete Seeger, furono ostacolati in tutti i modi: non ricevevano ingaggi radiofonici e le radio non trasmettavano le loro canzoni, i governatori di alcuni stati non concedevano loro il permesso di entrare. Woody Guthrie fu schedato come il nemico pubblico n.1 per una canzone in particolare “Il bandito dell’Oklaoma” ( una similitudine con Robin Hood), dove difendeva i poveri contro la violenza e gli abusi dei poliziotti mentre criminalizzava i grossi uomini d’affari. Questa canzone è stata simbolo di numerosi concerti in tutto il mondo con i più grandi protagonisti della storia della musica popolare e di protesta : i Byrds, James Taylor, Bob Dylan, Joan Baez, Jack Elliott, C. Joe McDonald. Arlo Guthrie e molti altri di grosso spessore artistico. I Weavers si sciolsero, dopo l’accusa di essere filo comunisti, perché non trovavano ingaggi e la casa discografica li aveva abbandonati. Uno di loro addirittura per aver rifiutato di accusare i suoi compagni  al processo, fu condannato ingiustamente a 5 anni di carcere e dopo aver scontato la pena si trasferì definitivamente in Inghilterra. Pete Seeger al processo cercò di suonare il suo banjo e di spiegare i testi delle sue ballate. Non gli fu permesso di farlo in quell’occasione dentro l’aula ma appena uscito cantò una delle sue canzoni più significative. In seguito fu condannato, uscì sotto cauzione  e nel giudizio d’appello ottenne la cancellazione della condanna. Intanto la sua carriera artistica fu ostacolata pesantemente. Molti artisti e amici che nutrivano simpatia per lui trovarono la stessa sorte.

Pete Seeger

Ma Pete Seeger diventa il simbolo del movimento pacifista, e altri musicisti appoggiano la sua campagna d’informazione con canzoni, ballate e tanta musica importante: Tom Paxton, Phil Ochs, Richard Farina, Joan Baez, Bob Dylan ed Eric von Schmidt.

In quel periodo (1963) nascono canzoni importanti proprio per combattere la folle determinazione di uccidere uomini di colore, comunisti, pacifisti e persone che contestavano di non avere gli stessi  diritti civili dei grossi uomini d’affari che erano tutti di razza bianca.

Pete Seeger diventa un simbolo pacifista perché lotta contro la guerra con il suo strumento musicale: il banjo. Poco più di un anno fa e già novantenne ha cantato con Bruce Springsteen If your love Your Uncle Sam per chiedere il ritiro dei militari stranieri dall’Afghanistan.

Pete Seeger and Bruce Springsteen

Pete Seeger non aveva molta simpatia per gli strumenti elettrici e con Bob Dylan ebbe molti contrasti . Solo dopo l’incisione del secondo album dei Byrds, che intitolarono Turn Turn Turn, brano celebre di Seeger, arrangiato con chitarre elettriche, basso e batteria, il celebre Maestro fece pace con il rock, perché capì che sarebbe diventata l’espressione musicale più importante per la generazione dei giovani. Significativo è l’unione artistica con il boss del rock, Bruce Springsteen. Nel 2006 the Boss porta in giro per il globo The Seeger Session, un concerto di canzoni rivisitate magistralmente con chitarre elettriche, basso, batterie, saxofoni e quant’altro e nel 2009 insieme aprirono il concerto a Washington per il nuovo presidente degli Stati Uniti e di colore, Obama.

 ♥    

settembre 16, 2012

SANDY DENNY (Fotheringay) – Una stella che brilla, un Angelo per chi sa ascoltare

Per troppo tempo la luce solare del viso di Sandy e  la sua voce celestiale, pura come il ruscello che scorre senza preoccuparsi di chi non vuole bagnarsi nelle sue acque limpide e fresche, sono rimaste nascoste nei nastri in un cassetto impolverato di qualche studio di registrazione. Oggi, finalmente dopo quaranta anni, il concerto live di Essen (1970) è possibile ascoltarlo con grande emozione con l’uscita di FOTHERINGAY (2011 Thors Hammer-Made in Germany). Questo concerto segna la grandezza di Sandy Denny e la sua evoluzione, dopo essere uscita dai Fairport Convention alla fine del 1969. Le sue composizioni The Sea e Nothing more, e la sua voce in ogni brano ti trasmettano emozioni e t’incantano. Non esiste alcun dubbio per i miei orecchi, Sandy è la più bella voce che io abbia mai sentito. Tutta la musica, curata ed arrangiata dalla chitarra elettrica  di Jerry Donahue, arricchita da sonorità classiche con Gerry Conwaye e la voce di Trevor Lucas, in qualche tratto forse un po’ esasperata, regalano a questo disco un’importanza sublime nella storia della musica. Un espressionismo, quello dei FOTHERINGAY, colmo di esperienze musicali diverse e piene di vitalità raggiunti con pochi strumenti ma con una cantante che ogni band avrebbe voluto avere. Sandy era piccola e fragile, si faceva amare da chiunque, a Lei non importava il successo e incidere dischi di altri che soffocavano comunque la sua grandissima personalità, unica e rara. La piccola cantante britannica riuscì a farsi sentire, pur restando nell’ombra, rispetto altre sue colleghe, con i Fairport prima e da solista,  dopo lo scioglimento dei Fotheringay.

La sua voce, limpida, pulita, vitale ma velata da una punta di malinconia ha valorizzato motivi di Bob Dylan  e ballate povere e non celebri, variando tonalità che a nessuna cantante al mondo sono mai riuscite.

Sandy Denny è morta a soli 31 anni,  la stampa e le case discografiche si sono comunque e sempre occupate molto poco di questa piccola ma grandissima artista. A Lei però credo non importi perché la musica è vita, a me è rimasto il pensiero di un’immagine solare, un angelo beato tra gli angeli, la sua musica è dentro di me. Tutto il resto non è ancora storia.

♥SANDY DENNY♥

In memoria di Sandy Denny ho registrato con Ricky Mantoan, At the end of the day…

settembre 14, 2012

Max Manfredi in TRITA PROVINCIA un giro di canzoni attorno a un libro

Domenica, 21 ottobre alle 19:00

Max Manfredi in TRITA PROVINCIA

Alvito (Frosinone)

 Teatro Comunale – Piazza Marconi 1

un giro di canzoni attorno a un libro

di MAX MANFREDI e IVANO CAPOCCIAMA

con Max Manfredi e la Staffa, Ivano Capocciama, Ilaria Svezia

Regia di Ivano Capocciama

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TRITA PROVINCIA,

la novella discreta di Max Manfredi, edita da Liberodiscrivere, si può ORDINARE

presso le librerie Feltrinelli. Distribuzione Nda.

Presentazione

Della sterminata legione di angioli e diaboli che compongono lo spirito e la mente di Manfredi, ce ne sono due, Max e Massimo, che più degli altri sono inquieti e tendono a uscire da lui: il primo attraverso i pori e la gola durante i suoi concerti, il secondo, più sottile e proveniente da abissi più profondi, cercando di trasformarsi in inchiostro e facendosi portar lontano da tappeti volanti di pagine manoscritte.

Del secondo vorrei narrarvi, essendo al cospetto del primo romanzo, pardon, novella discreta.

Massimo Manfredi è conosciuto anche per un tascabile edito da Vallardi sui limericks. Nei limericks, componimenti poetici regolati da leggi ben precise, il primo verso deve contenere l’indicazione di un luogo che quasi sempre, per doveri di rima e/o di effetto straniante e comico, in italiano risulta essere un paesino di qualche remota landa persa tra campi, ciminiere, pollai polverosi o taverne dalle grosse risa e piccole ore.

Orbene, Trita provincia è il primo verso di un limerick che, anziché voler continuare verso il basso della pagina, scappa via in orizzontale, come un granchio anarchico, fuggendo dal foglio, dal tavolo, dalla casa, dal paese, perfino dal tempo.

Massimo Manfredi fa parte di quella schiera d’artisti atemporali che camminando a fianco dei corsi e ricorsi vichiani sono stati via via all’ombra delle cattedrali delle grandi città del Medioevo, a consumare occhi e candele consultando antichi testi e scrivendo zibaldoni nell’Ottocento, a immaginare e disegnare nuove metropoli e ferrovie nei primi anni del XX° secolo, infine a scrivere, cantare o dipingere mondi altri nascosti nelle intercapedini del quotidiano che pendono stanchi dopo essere stati dentro di noi come il “trapezista molle” delle prime, bellissime pagine del libro.

Il diabolo Massimo di Manfredi s’è divertito con i suoi alambicchi pieni di parole e ci ha regalato quest’opera piena di calembours, assonanze, ossimori, riferimenti colti, vere e proprie metanarrazioni che fanno entrare e uscire il lettore dalla novella con la porta girevole dei cambi di ritmo e di piani spaziali e temporali.

Cesellatore della lingua e intagliatore di immagini, Manfredi ci conduce dentro un labirinto narrativo pieno di intuizioni felici, come la visione nelle biblioteche del terzo capitolo, o la storia dell’inchiostro odoroso nel dialogo tra Goffredo e Ermengarda oppure la passeggiata notturna di Manrico e quella di Duncano o la parte del Solstizio d’inverno: “Accompagnami al margine del sabba (…), ai fuochi, alle grolle, alle danza col fiatone; abbiamo già bevuto troppo dalle brocche amiche, tutto è triste come un ballo militare, tutto sembra compiersi nell’orlo smagliante tra stasera e l’addìo. Ma abitare l’addìo è come non andarsene mai.”

Certamente questi sono solo miei gusti personali, in quanto la novella discreta del diabolo Massimo presenta tanti e tali spunti per fughe mentali che ognuno può smontarla, rimontarla e mutarla nella sua testa come crede, sia per tentare di trovare l’uscita del labirinto, sia per perdersi ancor di più, sia per tentare di trovare il Minotauro e pagargli un Centerbe in qualche bettola dell’angiporto.

Se posso dare dei vaghi e personalissimi punti di riferimento per la navigazione in questo mare dal procelloso inchiostro, potrei citare Les chants de Maldoror di Lautremont o le Nourritures Terrestres di Gide, ma senza la cattiveria e i conti da regolare del primo e il tono da invettiva del secondo. Quello di Massimo Manfredi è infatti uno scrivere discreto, nel quale i microcambiamenti della natura e i particolari e le piccole vicende dei protagonisti si intrecciano con le Grandi Questioni e con l’Orizzonte, quasi a voler concretizzare gli enunciati della Tabula Smaragdina, citata nelle prime pagine, nella quale Ermete Trismegisto compara ciò che è in alto a ciò che è in basso e, quindi, l’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.

E così, alla fine della lettura del libro o anche solo di una parte (un aspetto importante è che ogni brano della novella può essere autoconclusivo), in fondo all’alambicco della nostra anima, dentro il quale pagina dopo pagina avevamo messo a cuocere porti notturni, ronzìi di vecchie radio, antichi volumi, cinema nebbiosi, ubriachi che dormono, libri sigillati negli abissi marini, chiese e vicoli lerci, rimane una polvere di proiezione con la quale poter almeno pulire i vetri con i quali vediamo fuori e lucidare le scarpe che accompagneranno i nostri nuovi passi e che daranno calci a “sassolini che affondano, affondano tutti”.

***

La pozione del Massimo labirinto – Una prefazione a mo’ di postfazione di Claudio Pozzani

Strologo

E’ colpa tua se non visito più, battendo ciglia e neve, i santuari delle abetaie e le abetaie dei santuari; né intaglio, a roncolo distratto, nella carne del legno, i Santi e le Madonne incinte, Madonne il cui frutto di legno, nel grembo di legno, finirà centellinato dai tarli della sagrestia – ogni croce ha la sua croce.
Ho visto i larici pianger via tutta la loro manna, ubriachi d’estate e d‘api, come certi ritratti di santi trasudano sangue, che ronzan tutt’attorno delle preci di pellegrini canicolari ristorati a un miracolo d’ombra. Ho visto con questi miei occhi terra e muri insanguinati da chissà quale delitto – finché un dotto non mi spiegò, era l’inizio di Giugno, che si trattava della rossa pioviggine lasciata dalle Vanesse al tempo del riscatto dalla loro crisalide… è colpa tua, tua.
Speravo, niente, che m’avresti trovato in casa. Occorre far fare una chiave, incidere il palmo di cera della tua cara mano d’un incavo di chiave, per aprirci furtivi l’inverno, io e te: lo scrigno della Matrigna Collodicigno, la fibbia – sortilegio.
Volli corteggiarti d’un foco folletto incastonato in gemma d’anello, che mutava colore al mio umore e tono al mio tono: miele se sei infedele, zaffiro se ti raggiro, cenere se sei una venere, adularia s’io sono un paria, topazio quando mi strazio, corniola ti senti sola, giavazzo se sono pazzo!
Custodi del mio caminetto, due alari – li vedrai, se vieni – tutti nodi e viticci, due alari filari di ferro battuto: sotto, brace che chioccia. E libri, bella mia, quanti ne vuoi: libri che capiresti e libri che non capiresti, libri d’Ore, di mesi, anni e libri di minuti, santi e grimori, devozioni di monaci cordiglieri e Clavicole di Salomone, apocrife; stampe con su la beffa zoppa di un organo regale, falso, che al posto dei tasti torce code vive di gatti che gnaulano e soffiano scellerati corali. Ho libri sui funghi e libri sui diavoli (ogni fungo malefico è marchiato dalla signatura d’un preciso diavolo); poi possiedo un geloso volume rilegato in zecchino teriomorfo, tessuto di serpi e d’alghe: è l’Herbarium Mentis, la favolosa opera di Frate Paulus di Danzica. Non so se sia stato lui davvero: sai che le sue “ Selectiones” sono andate perdute, come ogni libro che si rispetti. Ma noi potremo applicarci a studiarlo, l’Herbarium, seguendone il dettato passo passo, e sperimentarne insieme i farmachi bui.
Ho volumi sull’Opus Magnum e sull’opus minus, recanti a frontespizio il testo della Tabula Smaragdina di Ermete Trismegisto (dicono somigliasse, nel suo vivo smeraldo, a una sapiente cucchiaiata di gelatina d’hashish, che lenisce i dolori).
Vedi, c’è solo la scelta dell’imbarazzo. E se non ti va di leggere (sarai stanca del viaggio!) stappiamo una bottiglia di vino d’Oporto. Questo sì che ci piace, eh?
E’ pieno di luce. Dà alla testa, coi suoi rossori severi. Stordito, affoga nel suo calore lo spettro d’un rubino. E’ pieno di luce e canta al fuoco d’un rubino. Bevi, bevi, è il fuoco che ci corre negli occhi, il suo fuoco: e ci ritroviamo a guardarci l’un l’altra con gli occhi di fuoco, le nostre maschere sono il familiare enigma del dopocena e son le zucche coi buchi per gli occhi e pel naso, scavate e accese dentro di un’anima candela … e sono loro i nostri guardiani notturni.
Di notte bruceremo l’erica per far restare secche le streghe. Tu preparerai i filtri d’amore con sangue d’uccelli, verbena e l’ippomane: così mi terrai avvinto, esile afrodite di febbre fievole.
(Tu attizza, ch’io sparecchio via le lische del pesce di fiume dorato al serpillo… contemplando la brace ch’è tutta un convento di stupri, monachine che saltano nude… alticci, perduti nel grembo del freddo che arriva. Io che scordo la mandora, ciangottìo di bischeri, perché il budello riposi. Poi tu che ti svesti serena, e come se tutto ci fosse dovuto da sempre).
Stiamocene acquattati qui, qui, di nascosto dal nostro solitario strascico d’eroi, dalle icone slave occhitristi come le renne della tundra dal cuor di lichene, i coboldi di Paracelso e i diavoli imprigionati nella cornice d’un rompicapo; fuggendo da parvenze umane che s’annidano persino fra le cuccume e le chicchere, dai volti degli gnomi intagliati nel ciliegio della Foresta Nera… dal soffio degli spiriti dei bimbi caduti nei pozzi per colpa d’amori gelosi di sterili ondine… e poi, dillo, da tutti gli eroi dell’ultima ora che ancora vagano per le strade, ciccando, ed è tardi, per certi già l’ora dell’arrivederci domani, per altri la speranza di dormire ma senza far sogni.
E noi? Macché, intenti e persi, casa dopo casa, nella geomanzia del nostro amore, l’interminabile riunione di famiglia: il barbuto, lo sfrontato, la prudente, la chiacchierona, vermiglio e biancore.
Persi e intenti nei riti avari e notturni dove io son lo stilo e tu sei la terra.
Ma – crepi l’astragalo – sempre mi butta che non vieni non vieni non vieni! Ah, coscine di pollo! E tu, perché non mi cadi in catalessi (da brava)? Così dovrei rapirti, dormiente, portarti fin qui a forza di braccia. Risvegliarti sì (credi che non ne sia capace?) ma solo a metà; e poi amarti solo nel sonno, solo quando non sogni ma non fai che muoverti dolcemente, quasi distesa in una amàca d’acqua, beata d’un verme di mare che sogna, non tu.
Speravo, nulla, che ti saresti fatta trovare in casa – la mia casa, la tua casa (che non c’è), la casa di betulla in riva a un mar di verde dove il fiume si culla.
Ma, gli abiti smessi d’autunno (ché quelli rosi dalla Tapezella li abbiam lasciati religiosamente chiusi nell’armadio), ecco che fra arbusti tarpati e ritorti come lo strame acceso del tabacco arreso dentro il fornello della pipa di pannocchia, che brucia tutto spocchia: Brutta, sei brutta coi tuoi capellacci a scopadiciocco! Stregaccia balocco! E io, che ti tiro il roccolo? Vicino vicino… mi coccoli? Nessuno, qui, a reggere il moccolo, rimorso dei brutti anatroccoli… e tu, tu non sei più la strega, che è brutta e si nega, sei la fata turchina che scende la china fra boccolo e boccolo.
Ah, questa rovina di finestra è aperta e mi piove nel calice dello spettro, da cui ingollo l’ultimo sputo di vin d’Oporto. Vuota giace la bottiglia in un canto. Parlo solo, ormai, col mio giullare o con quel che ne è restato. Se ho vicini, m’intimano di star zitto, picchiando su quello che per loro è il soffitto e per me il pavimento, tutto scalcinato e butterato per entrambi.
Che faccio di codesti volumi? Li sfoglio, deluso.
Preziosi in -quarto del diciassettesimo secolo, d’una stampa sbavata come se ci fosse stato versato del latte (inutile piangere!) o meglio, meglio, come se un diavolo triste e catatonico si fosse messo lì a lasciar cadere saliva sulle pagine, senza schizzare, lasciandosi andare; o uno scolaro che, invece di seguire la lezione, faccia verso terra, fa del suo sputo, sputo su sputo, una bella pozza sul pavimento della classe , un lago lunare nella topografia della stanza, lubrìca di riluttanza.
…Scolari che siedono ai banchi, irrequieti, indolenti – dolenti di una sbucciatura di cortile che brucia come una vergogna, d’un moccio che pende simile ad un rubinetto che perde, e pende e non vien su, per quanto tu sciurbi col naso. Capelli rapati da ergastolano, riso da sordomuti, gli scolari lottano a ficcarsi i pennini nelle gambe e nelle chiappe, in un brivido sparuto di peli; o bagnano a lagna palline di carta strappata, di bava d’inchiostro, sperse nella bava come le Afrofore; o arrotolano, dito su dito, il muco del naso, cercando di lanciare su un quaderno o su un viso quel proiettile d’artiglieria lagunare. Se, a dispetto delle bicellate, resta incollato all’unghia sozza (salta anzi dall’unghia al polpastrello, il molle trapezista), se ne slumacano strofinandosi la cappa.
Altri scavano, da dentro le nari, reperti fossili, affilati come i pennini usurati e secchi di polvere di china; oppure pellicole pellucide, ciascuna ancor con la sua lacrima; o robaccia verde, buona da mimetizzarci i militari.
Sulla scanalatura del banco tengono in fila quegli antipasti di mare. C’è chi ne pilucca, assorto. Biascica.
Se si cattura un moscone tonto, tutti si fanno attorno a chi sa come premergli il corsaletto fra pollice e indice, per fargli tirar fuori la lingua tutta intera. Gli si prescrive la fine. Vano il processo, giacché l’infanzia è santa come l’Inquisizione: già vola fra le mani un compasso, s’impala l’infedele – macché, meglio lo spillo da balia della tua cappa! Io ci ho lo stecco!
Ridono a crocchio, mentre il moscone infilzato, agonizzante, in piedi su una gomma con lo stecco orizzontale tra le zampe, pare far sollevamento pesi.
Gli ultimi non arrivano ad osservare il moscone in bilico sulla sua cyclette ruggente. Siedono, tesi: cesellatori di scoregge.
Ma all’oratorio, che l’ombra della cattedrale sovrasta , lanciano le palline sui tavoli verdi del calciobalilla e del ping pong, sul feltro antico del biliardo: le palle, massicce o minute, dure o cave, echeggian lungo campi e sponde, nella loro traiettoria, come lungo le navate della chiesa. Ogni po’ passa un prete in tonaca. Sa di dopobarba e ascelle di prete.
A volte gli scolari frignano, nelle risse dell’oratorio. Certi pianti si cancellan di botto, come quando la pallina del calciobalilla rimbalza sulla porta sguarnita e torna in campo senza chioccolar giù, per una lecca troppo forte. Degli altri pianti, però, non solo entrano in porta, ma vanno a nascondersi tra gli interstizi segreti del calciobalilla, non li tiri fuori più, nemmeno a calci, rimangon lì, rimangon lì.
Molti scolari sono imbattibili in qualche disciplina in cui altri fan peggio, o non fanno: vibrare il naso come il coniglio, nitrire, scoccar l’elastico, spegnersi la candela nel cavo umido del palato, biascicar fiammiferi accesi, piegare le falangi delle dita ad angolo retto; o fare rimbalzare i sassi piatti e lisci nell’acqua – una, due, cinque, sette volte, a perdita d’occhio, fin dove si smussa l’orizzonte.
Invece i sassolini della mia inutile geomanzia affondano, affondano tutti; finché non è più possibile il computo.

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Da un’intervista di Gloria Berloso a Max Manfredi                                   →

D. – Max Manfredi, ti consideri più poeta o più cantautore? mi puoi spiegare la differenza        tra canzone e poesia?

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R. – Tecnicamente la differenza consiste nel fatto che i versi della poesia, oggi, non sono musicati. La poesia è fatta dunque per la lettura, la canzone per l’ascolto.

Dal punto di vista del valore che viene attribuito a questi due fenomeni, poi, la poesia ha seguito una strada “alta”, investigazione cosmica o squadernamento sublime dei propri sentimenti. La canzone ha seguito una via “bassa”, che non esclude l’intrattenimento e la danza.
Si tratta però di convenzioni, che, come tali, mi interessano poco. Poesia e canzone sono consanguinee, non soltanto dirimpettaie occasionali.
Io mi considero, genericamente, un artigiano; che però lavora una materia come l’emozione, che è impalpabile. O meglio, che elabora con strumenti concreti un’illusione.
Sono come un giostraio, un prestigiatore, un pubblicitario, un sacerdote di campagna, un venditore di bolle di sapone. Uno sciamano e uno showman, come dice il titolo di una nota rassegna. Un incantautore, come sono stato definito. Non è una definizione così peregrina: nella lingua latina, per esempio, “carmen” significa canto ed incanto. Ma nella lingua inglese “spell” vuol dire formula magica e compitazione della parola. Ecco: laddove la parola, semplicemente compitata, e quindi ritmica, diventa magia: è il paese musicale da cui provengo. E’ la mia letteratura.

Questa attitudine non è solo fiabesca. La descrizione del quotidiano più banale acquista, nella musica, una seduzione necessaria ed aggiunta. Posso dire le cose più colloquiali, ma le dico in musica. L’impatto emotivo cambia, a volte in modo deflagrante.
Io sono poi per una rivalutazione ed una ridefinizione del termine “poeta”. Non tanto inteso come “colui che compone poesie” meno che mai come colui che componendole, invera o sfiora l’universalità: definizioni ( la prima, insieme troppo tecnica e vaga, e povera da un punto di vista assiologico; l’altra troppo empatica, enfatica e per così dire mitologica) per essere funzionali, tanto peggio se si pretendono scientifiche.
La definizione che propongo all’uso è: poeta come facitore (da “poiesis”), colui che trova un equilibrio fra la contemplazione, quella specie di scossa elettrica o invasamento che fu ed è chiamato “ispirazione”, e l’azione (manipolazione della sua materia artigianale).

In questo senso l’attribuzione “poeta” può applicarsi al facitore (ed inventore) in qualsiasi disciplina. Anzi, riporta la velleità astratta e quasi immateriale dell’epitteto ad una qualifica artigianale e concreta, per quanto sia concreto il linguaggio.
Il poeta non è mai chi si applica in una disciplina tradizionale, ma chi inventa il linguaggio al suo interno, cioè chi “trova” ed esercita fantasia all’interno di una disciplina.
Poeta – ora in questa accezione tecnica, e non metaforico – può essere uno scienziato, un cuoco, un attore, un prestidigitatore, un pugile. Poeta può essere anche uno che scrive poesie. Ma non tutti quelli che lo fanno, anzi, direi pochissimi.
Personalmente trovo questa definizione di “poeta”, che esula un po’ dal senso comune attuale – che è ambiguo alla radice – insieme precisa e libertaria, o liberatoria, o almeno libertina.

settembre 10, 2012

SUONARE @ FOLKEST – PREMIO ALBERTO CESA 2013

SELEZIONE NAZIONALE DI GRUPPI MUSICALI O SINGOLI ARTISTI PER LA PARTECIPAZIONE A FOLKEST 2013

“Suonare @ Folkest-Premio Alberto Cesa”

è l’unica selezione nazionale di gruppi musicali o singoli artisti per la partecipazione a Folkest 2013. L’organizzazione del concorso è demandata, sotto l’attenta supervisione della direzione del festival, alla redazione del periodico telematico http://www.folkbulletin.com e all’Ass. Cult. Folkgiornale.

L’iscrizione al concorso è gratuita.

Criteri di selezione e premi

1) I gruppi/artisti prescelti sulla base del materiale inviato saranno invitati a partecipare alle eliminatorie territoriali che si svolgeranno in sedi distinte (che saranno comunicate in un secondo tempo), scelte in base a un criterio geografico onde favorire -nel limite del possibile- la partecipazione di chi avrà superato la prima fase di selezione.

Le esibizioni pubbliche dei gruppi/artisti prescelti avranno indicativamente luogo nel periodo compreso fra il 15 novembre 2012 e il 15 febbraio 2013. Sarà preoccupazione di  Ass. Cult. Folkgiornale ewww.folkbulletin.com destinare a ognuna delle eliminatorie territoriali il medesimo numero di artisti/gruppi e razionalizzare la loro destinazione per area di appartenenza geografica: se tale criterio non risultasse attuabile in tutte le circostanze, nulla sarà imputabile all’organizzazione.

2) I gruppi/artisti prescelti e assegnati a una delle eliminatorie territoriali si esibiranno dal vivo nel corso di essa, in presenza di pubblico e di fronte a una Giuria composta da organizzatori locali e rappresentanti di www.folkbulletin.come Ass. Cult. Folkgiornale. Da ognuna delle eliminatorie verranno scelti due degli artisti/gruppi che parteciperanno a Folkest 2013. Il rimborso delle spese di viaggio (quantificate in tre fasce chilometriche da 100, 250, 500 euro secondo la provenienza), il vitto e l’alloggio per la partecipazione al festival Folkest saranno a carico di Ass. Cult. Folkgiornale (da concordarsi  preventivamente con l’amministrazione Folkest).

3) Come premio a tutti i gruppi partecipanti alle eliminatorie territoriali verrà consegnato un cofanetto di produzioni discografiche Folkest Dischi.

Scadenza e norme generali
Il materiale deve essere inviato tassativamente entro e non oltre il 30 ottobre 2012 (farà fede il timbro postale) all’indirizzo:

“SUONARE @ FOLKEST-PREMIO ALBERTO CESA”
c/o Associazione Culturale Folkgiornale
Viale Barbacane, 17
33097 SPILIMBERGO (PN)

Per informazioni:
mobile: 338.6388859
suonare@folkest.com

Il regolamento lo trovate nel sito http://www.folkest.com

agosto 28, 2012

Ottawa Folk Festival dal 6 al 10 settembre 2012

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Immerso nella bellezza naturale del Hog’s Back Park, il Folk Festival di Ottawa è una cinque giorni di festa, musica, danza, arti visive  caratterizzata da un eclettico mix di spettacoli musicali articolati su due sere e in cinque fasi diurne. Comprende, inoltre, laboratori musicali interattivi, speciali eventi per bambini.

Nei giorni del Festival l’intera   comunità sposa la filosofia  a supporto delle iniziative  eco-friendly sostenibili.