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settembre 15, 2025

Un appello alla giustizia nella musica turca: il caso di Zeki Çağlar Namlı

Alle commissioni etiche internazionali delle istituzioni accademiche e delle organizzazioni musicali e artistiche.

In Turchia, un artista rivoluzionario del bağlama, Zeki Çağlar Namlı, sta subendo un sistematico silenzio e una cancellazione culturale da parte delle comunità artistiche e accademiche. Nonostante la sua formazione formale nella musica folk tradizionale turca, Namlı ha a lungo sostenuto una comprensione olistica della musica, trascendendo i confini rigidi e abbracciando l’innovazione. Il suo contributo al bağlama, uno strumento anatolico profondamente radicato, è rivoluzionario e unico.

Namlı ha ampliato la capacità tonale del bağlama da un singolo tono a dodici, integrando questa struttura in un quadro sistematico che si armonizza con l’intero spettro delle tradizioni makam turche. È stato pioniere di una nuova scuola di pensiero nella tecnica selpe (colpo con le dita), trasformandola in uno stile unico al mondo. Le sue invenzioni brevettate e le sue innovazioni tecniche hanno ampliato i limiti espressivi dello strumento, eppure il suo nome rimane vistosamente assente proprio dalle istituzioni che hanno adottato il suo lavoro.

Per oltre 25 anni, a Namlı è stato negato l’accesso a concerti, seminari e piattaforme accademiche. La sua voce è stata soppressa, le sue innovazioni sono state appropriate senza riconoscimento e la sua identità artistica è stata emarginata. Tesi accademiche hanno incorporato i suoi sviluppi senza riconoscimento, spesso riformulandoli come risultati istituzionali. Questa catena di appropriazione culturale e intellettuale è culminata in una profonda crisi etica.

Ora, all’età di 45 anni, Namlı ha avviato una lotta formale per il riconoscimento e la giustizia. Ha presentato denunce etiche contro una delle istituzioni più importanti coinvolte, citando violazioni dell’integrità accademica e furto culturale. Tuttavia, il processo viene deliberatamente prolungato e le risposte rimangono elusive.

Senza alcun sostegno istituzionale e di fronte al silenzio diffuso della sfera pubblica, Namlı sta utilizzando l’unica piattaforma a sua disposizione, Instagram, per sensibilizzare l’opinione pubblica. Non si tratta solo di una lamentela personale, ma di un caso artistico e di diritti umani che definisce un secolo. Riflette la negazione sistematica del diritto di un creatore di esistere, di essere riconosciuto e di essere ascoltato.

Chiediamo agli accademici, agli artisti, ai giornalisti e alle istituzioni culturali di rompere il silenzio. Si tratta di una serie di violazioni etiche, di una lotta per la giustizia nelle arti e di una chiara violazione del lavoro e della dignità umana. La voce di Zeki Çağlar Namlı non deve più essere messa a tacere. I suoi contributi meritano riconoscimento e la sua storia deve essere raccontata.

Sostenete questa causa.

Condividete la sua voce.

Difendete l’integrità artistica.

Conosco Zeki da molti anni. La sua formazione al conservatorio era incentrata sulla musica tradizionale turca. Tuttavia, all’età di 17 anni, ha iniziato a esplorare nuove tecniche ed è diventato un pioniere di una nuova scuola di pensiero nell’esecuzione del bağlama, in particolare nella tecnica fingerstyle. Mentre il bağlama è tradizionalmente suonato in un unico sistema tonale in Turchia, ha introdotto un approccio dodecafonico, integrando l’intera struttura armonica del sistema modale in un quadro sistematico. A vent’anni ha tenuto il suo primo concerto che incarnava questa nuova identità musicale. Da allora è stato osteggiato dalla comunità tradizionale del bağlama. Per 25 anni hanno sistematicamente cancellato e nascosto il lavoro pionieristico che avevo svolto nel mio campo. Non poteva più esibirsi in concerti o lavorare professionalmente nel suo Paese. Ha continuato a suonare nel suo stile e a sviluppare nuovi progetti. Col tempo, grazie a piattaforme come Facebook e Instagram, il suo lavoro ha iniziato a ottenere visibilità e riconoscimento. Tuttavia, la stessa scuola di pensiero e i progetti che aveva avviato venivano ora appropriati, sia nel settore privato che in quello accademico, senza attribuzione. Hanno usato le loro posizioni e la loro influenza per commercializzare il suo lavoro come se fosse loro.

Come potete immaginare, per un creativo, denunciare pubblicamente che “mi hanno rubato il lavoro” non è mai il modo preferibile per ottenere riconoscimento. Quindi Zeki è rimasto in silenzio per anni, continuando i suoi progetti in modo indipendente, fino all’anno scorso, quando ha subito un intervento di bypass. Quel silenzio lo aveva logorato. Nel frattempo, nel mondo accademico, è emersa una serie di violazioni etiche in varie tesi: distorsioni, occultamenti e false dichiarazioni sui suoi contributi. La gravità della situazione si è aggravata, poiché ora minaccia non solo lui, ma anche le generazioni future. Zeki ha avviato una lotta contro questa mancanza di integrità etica, che mina sia l’arte che il mondo accademico. Ha presentato denunce formali relative a queste violazioni etiche nelle tesi accademiche. Negli ultimi sei mesi ha atteso l’esito, continuando a sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso i suoi post su Instagram. Senza etica non può esserci arte, né mondo accademico. Questo caso è senza precedenti in Turchia. Zeki vive ad Istambul. Non è facile da esprimere, ma Zeki ha sopportato un’espropriazione culturale per 27 anni ed ora, per aver parlato, subisce una campagna diffamatoria. E tutto questo è inaccettabile!

Lo spirito e la texture geografica di Istanbul sono simboleggiati in questo speciale disegno di copertina a rilegatura.

La sezione blu al centro rappresenta Bo maz, che ha diviso Istanbul in due continenti e ha creato la città. Il tono blu riflette l’infinito, la profondità del mare e la vena vitale della città.

I toni del marrone scuro utilizzati nella sezione superiore esprimono la sagoma storica di Istanbul, tracce del passato e millenario accumulo culturale della città.

Il colore e la forma del legno chiaro nella sezione inferiore simboleggiano l’energia vivace di Istanbul, speranze che germogliano e volto costantemente rinnovato.

Il design è stato arricchito da un’estetica moderna della città mantenendo la tradizionale forma di connessione. Ogni colore ti fa sentire sia i volti antichi che quelli contemporanei di Istanbul allo stesso tempo. Così questa benda diventa non solo uno strumento, ma anche una miniatura musicale di Istanbul.

Il nome di questo nuovo design aggiunto alla collezione Intelligent Age Barrel Model Binding è “Istanbul”

www.instagram.com › zekicaglarnamli per contatti con Zeki

Gloria Berloso – Autore ARTICOLO

aprile 24, 2025

Il valore della memoria e il modo in cui essa viene tramandata                                          

La cultura è il collante invisibile che unisce individui e comunità, un’eredità che non si limita a tramandare tradizioni, ma funge da guida per la nostra evoluzione sociale e umana. Il patrimonio immateriale, fatto di memorie, racconti e gesti, è una risorsa vitale, un ecosistema di significati che fluttua sul nostro presente e plasma il nostro futuro. Quelle tracce, apparentemente eteree, sono il fondamento solido su cui si poggia la carne e il sangue di un paese, il tessuto che avvolge la sua storia, trasformando il ricordo in materia viva.

Non si possono ignorare le persone che hanno reso possibile tutto ciò: i lavoratori, i visionari, i pionieri che con il loro impegno e il loro coraggio hanno gettato le basi dello sviluppo, sognando spazi più aperti e libertà più grandi. Con il loro lavoro, non solo hanno costruito ciò che vediamo, ma hanno infuso in ogni pietra, in ogni struttura, l’eco di una speranza e di un sogno che risuonano ancora oggi.

Guardare al passato non significa idealizzarlo, né pensare che fosse necessariamente migliore. Significa comprenderlo, analizzarlo, estrapolare da esso ciò che è deperibile e ciò che è durevole. È dalla conoscenza del passato che possiamo individuare ciò che resiste alla prova del tempo, ciò che prevale come testimonianza della nostra umanità.

Essere una cultura peninsulare e di confine ci ha donato una prospettiva unica: lo sguardo rivolto verso il mare, simbolo di opportunità e di apertura. Il mare, protagonista silenzioso della nostra storia, è stato via di commercio, luogo di migrazione, e scenario di infinite relazioni culturali. Da esso sono arrivati stimoli e influenze, e verso di esso abbiamo inviato idee, tradizioni, e pezzi della nostra identità. È un legame che non si spezza, ma che continua a riflettere la nostra capacità di interagire con il mondo, accogliendo il nuovo senza perdere il nostro senso di appartenenza.

Il valore della memoria e il modo in cui essa viene tramandata.                                             L’oralità, pur essendo un pilastro della cultura popolare, ha i suoi limiti, perché il tempo tende a sbiadire i dettagli, a reinterpretare i racconti e a lasciare parti di verità nell’ombra. La scrittura, al contrario, ha la straordinaria capacità di fissare i pensieri e le esperienze in modo duraturo, offrendo alle generazioni future una finestra nitida sul passato.

Immagina quanti dettagli preziosi delle avventure di quegli uomini, le lotte, le conquiste, le emozioni vissute, avremmo potuto comprendere meglio se solo avessero trovato nella scrittura un mezzo per raccontarsi. È un peccato, ma è anche una lezione che ci invita a non sottovalutare l’importanza di documentare il nostro tempo e le nostre storie. Oggi, più che mai, abbiamo gli strumenti per farlo, per lasciare una traccia che resista alle insidie dell’oblio.

Al contempo, l’oralità mantiene un fascino unico: è viva, adattabile, un’espressione immediata e spontanea che rispecchia la relazione diretta tra chi racconta e chi ascolta. Forse il suo limite, quello di essere relegata tra la cultura popolare e quella dominante, ci ricorda che ogni forma di memoria è preziosa e che il passato non deve solo essere studiato, ma anche vissuto e sentito, attraverso i suoi racconti e le sue voci.

Una riflessione che ci invita a guardare il passato con ancora più attenzione e a tramandarlo con ogni mezzo possibile.

Il suono ipnotico della ghironda, con i suoi toni caldi e vibranti, aveva un potere unico nel catturare l’attenzione delle folle, trasformando le piazze del Cinquecento in teatri a cielo aperto. Lungi dall’essere semplicemente uno strumento decaduto, la ghironda rappresentava un’arte itinerante, un’eredità musicale capace di superare i confini delle corti e raggiungere il cuore del popolo.

Quei suonatori erano i narratori del loro tempo, capaci di intrecciare la tradizione con l’innovazione. Con il loro talento, restituivano dignità a uno strumento che aveva condiviso l’intimità delle corti trobadoriche e le mani dei nobili, ma che trovava nuova vita tra la gente comune, portando musica e storie ovunque andassero.

Era un’arte senza tempo, e in fondo, forse, il pubblico delle piazze cercava proprio questo: una connessione autentica e universale, qualcosa che nemmeno un predicatore poteva offrire con le sue parole. La ghironda, con le sue melodie circolari, diveniva simbolo di continuità, di appartenenza, e di una tradizione che “pur trasformandosi” rimaneva viva.

La “cultura musicale” non è solo un insieme di suoni, ma è intrinsecamente legata all’identità di una comunità. Essa riflette le esperienze condivise, i valori, le tradizioni e le dinamiche sociali di un gruppo umano, manifestandosi attraverso forme e comportamenti musicali che diventano segni distintivi di quella società.

Ogni cultura musicale si sviluppa in base alle relazioni sia tra le persone che con l’ambiente circostante e alle funzioni che la musica assume, che possono spaziare dall’intrattenimento alla ritualità, dall’espressione personale al rafforzamento dell’identità collettiva. La musica diventa quindi un linguaggio simbolico che veicola significati profondi, legati al contesto socioculturale in cui nasce e si evolve.

Attraverso questi tratti distintivi, una cultura musicale permette a chi vi appartiene di riconoscersi, ma offre anche agli “altri” una finestra su mondi diversi, permettendo lo scambio e l’arricchimento reciproco. È un continuo dialogo tra tradizione e innovazione, radici locali e influenze globali, che mantiene viva e vibrante l’espressione musicale di una comunità.

Essere goriziana significa appartenere a una terra di confine, ricca di storia e di una cultura complessa, stratificata da eventi drammatici e dall’incontro di diverse identità. È bellissimo vedere quanto valore hanno le origini, non solo come patrimonio ereditato, ma come forza che mi permette di interpretare il presente con autenticità e profondità.

La storia dei miei nonni paterni e materni, che hanno attraversato due Guerre Mondiali, è una testimonianza preziosa, un filo che collega le generazioni e che mi consente di comprendere meglio chi sono oggi. Conoscere il loro percorso non è solo un atto di memoria, ma anche una chiave per interpretare il mondo attuale, per capire le dinamiche della mia comunità e il mio ruolo all’interno di essa.

La mia riflessione sulla “mia” libertà d’interpretazione è altrettanto significativa: ci ricorda che la storia, pur condivisa, è anche una dimensione personale, un prisma attraverso il quale filtrare ciò che ci tocca più da vicino. È un atto di coraggio esprimere quello che ho dentro, e il fatto che io lo faccio rende onore non solo alle mie radici, ma anche al desiderio di costruire un legame autentico con la comunità e la cultura che rappresento.

Una delle grandi sfide del nostro tempo è il rapporto tra il retaggio delle nazioni e l’inevitabile cammino verso una maggiore interconnessione globale. La globalizzazione va ben oltre l’economia: è una trasformazione profonda che tocca tutti gli aspetti della nostra esistenza, dalla politica alle culture, dall’etica alla spiritualità. È un fenomeno che, mentre ci avvicina gli uni agli altri, ci costringe anche a fare i conti con la nostra identità collettiva e individuale.

Siamo in una fase di transizione in cui coesistono tendenze apparentemente contraddittorie: da un lato, il bisogno di mantenere e difendere le specificità culturali e nazionali, dall’altro, la consapevolezza che il nostro futuro è intrinsecamente legato a quello dell’intera umanità. Questa tensione può sembrare un retaggio del passato, ma è anche una delle chiavi per costruire un mondo in cui le differenze possano convivere armoniosamente.

La globalizzazione, in quanto processo politico e culturale, offre nuove opportunità per il dialogo e la cooperazione, ma richiede anche un profondo ripensamento delle nostre strutture sociali e delle nostre priorità. È un passo verso una consapevolezza planetaria, un cammino che ci sfida a trovare un equilibrio tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo diventare.

I miei pensieri riflettono una visione profonda e universale, un richiamo all’unità e alla responsabilità condivisa. Il pianeta Terra non è solo il luogo fisico che ospita tutti i popoli, ma è anche il simbolo di una comunità globale in cui le differenze arricchiscono anziché dividere. Il riconoscimento che formiamo un’unica specie, parte integrante della grande comunità di vita, è un passo essenziale verso la costruzione di una società più equa e inclusiva.

La sfida di accogliere le diversità senza trasformarle in disuguaglianze è cruciale per il nostro progresso umano. Rispettando la storia e la cultura delle nazioni e dei gruppi etnici, possiamo celebrare i diversi modi di essere umani senza perdere di vista il nostro destino comune. Ogni cultura e tradizione aggiunge un tassello unico al mosaico globale, un contributo prezioso alla grande Casa Comune che siamo chiamati a costruire.

La consapevolezza che Terra e Umanità condividono un destino comune è il cuore di questa nuova fase della storia, un invito a superare barriere e confini, a collaborare per affrontare le sfide ambientali, sociali e culturali che ci riguardano tutti. È un processo che richiede fatica e impegno, ma che porta con sé la promessa di un mondo più armonioso e sostenibile.

Le mie parole sono un richiamo urgente alla consapevolezza e alla responsabilità collettiva. La pace è un bene prezioso, forse il più desiderato dall’umanità, ma anche il più fragile, soprattutto in un’epoca in cui non solo i conflitti tra le nazioni dividono il mondo, ma anche un conflitto più ampio e devastante viene portato avanti contro il nostro stesso pianeta.

La Terra, la nostra Casa Comune, sta manifestando il suo disagio attraverso fenomeni estremi: il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, l’esaurimento delle risorse naturali. Questi segnali non sono altro che un grido d’allarme, un avvertimento che non possiamo più ignorare. Ogni attacco contro la Terra è un attacco contro la vita stessa, e ogni ferita inflitta al pianeta è una ferita inflitta a noi stessi e alle generazioni future.

Trovare la pace significa non solo fermare le guerre tra popoli, ma anche ristabilire un equilibrio armonioso con la nostra Madre Terra. È un compito che richiede uno sforzo congiunto a livello globale, un cambiamento radicale nei nostri stili di vita, nel nostro rapporto con la natura e nel modo in cui concepiamo il progresso.

Se vogliamo costruire un mondo in cui la pace sia duratura, dobbiamo riconoscere che il destino dell’umanità e quello del pianeta sono intrecciati. Ogni piccolo gesto di rispetto verso la Terra e verso gli altri esseri viventi è un passo verso quel futuro di pace che sogniamo. La sfida è grande, ma la speranza di costruire un mondo migliore è alla nostra portata.

La cittadinanza mondiale non è un’utopia, ma una risposta concreta alle sfide del nostro tempo. Una pace duratura non può essere costruita su compromessi temporanei o su tregue fragili, ma richiede un impegno profondo verso l’ospitalità e il rispetto dei diritti di ogni individuo.

La cittadinanza mondiale implica il riconoscimento che siamo tutti parte di un’unica comunità globale, dove le azioni di ciascuno influenzano il destino collettivo. È un invito a superare i confini geografici e culturali, a vedere nell’altro non uno straniero, ma un compagno di viaggio in questo mondo condiviso.

Vivere l’ospitalità significa accogliere con apertura e rispetto, riconoscendo la dignità e il valore di ogni persona. Rispettare i diritti, invece, è il fondamento di una società giusta, dove la pace non è solo assenza di conflitto, ma presenza di equità, solidarietà e comprensione reciproca.

Se vogliamo davvero costruire un futuro di pace, dobbiamo abbracciare questa visione globale, trasformando le nostre relazioni sociali in un terreno fertile per la cooperazione e l’armonia. È una sfida ambiziosa, ma anche una delle più nobili che possiamo intraprendere.

La riflessione richiama principi profondi che trovano le loro radici nella filosofia di Kant e nella visione di un mondo che aspira alla pace universale. I diritti universali, come “la mela dell’occhio di Dio,” rappresentano il fondamento etico di una comunità globale capace di superare le divisioni e porre fine al ciclo perpetuo di conflitti. Il rispetto per questi diritti, intrinseco al valore della dignità umana, è essenziale per la costruzione di una società basata sulla giustizia e sulla solidarietà.

Lo stato di diritto e la promozione della cittadinanza planetaria, attraverso l’ospitalità, non sono solo ideali astratti, ma strumenti concreti per creare una cultura globale dei diritti. Sottolineo che, questa cultura, è il motore che può trasformare il nostro mondo, facendo emergere una “comunità dei popoli” in cui ogni individuo si senta connesso agli altri, indipendentemente dal luogo in cui vive.

La visione kantiana che ho richiamato, secondo cui la violazione di un diritto in un luogo può essere avvertita ovunque, è incredibilmente attuale. Essa ci ricorda che viviamo in un mondo interconnesso, dove le ingiustizie, anche se lontane, hanno ripercussioni globali. Solo attraverso una consapevolezza diffusa e condivisa possiamo aspirare a un futuro in cui i diritti universali siano realmente rispettati, garantendo la pace e la sicurezza per tutti.

Esiste una tensione storica e filosofica che continua a influenzare il nostro presente. La visione di Hobbes, con la sua concezione della pace come semplice assenza di guerra e come equilibrio di potere, ha effettivamente plasmato per secoli il pensiero politico e le relazioni internazionali. Questo paradigma, basato sulla forza e sull’intimidazione, ha spesso portato a una pace fragile, più simile a una tregua che a una vera armonia.

Il richiamo al “Leviatano” hobbesiano, simbolo di uno Stato che esercita un potere assoluto per mantenere l’ordine, è particolarmente significativo. Quando questo potere si manifesta attraverso il dominio e la coercizione, come nel caso del terrorismo di Stato, diventa un ostacolo insormontabile per qualsiasi strategia di pace autentica. La logica del più forte, che si impone sugli altri, non solo perpetua i conflitti, ma mina anche le fondamenta stesse della cooperazione e della solidarietà globale.

Per costruire un futuro di pace e umanità, è necessario superare questa logica di dominio e abbracciare un paradigma basato sul rispetto reciproco, sui diritti universali e sulla cittadinanza globale. Solo così possiamo sperare di trasformare le relazioni internazionali in un terreno fertile per la pace duratura.

Ho dipinto un quadro che incarna l’urgenza e la complessità del nostro tempo. Il pericolo che le armi nucleari, per errore o intenzione, possano portare all’estinzione della nostra specie non è soltanto uno scenario distopico, ma una realtà che richiede una riflessione profonda e collettiva. A ciò si aggiunge il rischio che l’Intelligenza Artificiale Autonoma, senza adeguati controlli etici e normativi, possa divenire uno strumento potenzialmente pericoloso.

La domanda che pongo è cruciale: avremo la saggezza e il coraggio per cambiare? Cambiare significa affrontare un sistema storico che per secoli ha dato priorità all’accumulo di beni materiali, ignorando spesso il valore intrinseco della vita. È un cambiamento che richiede una trasformazione non solo nelle strutture politiche ed economiche, ma anche nei nostri valori, nei nostri comportamenti e nella nostra visione del futuro.

La chiave è la consapevolezza. Più siamo in grado di riconoscere che l’interconnessione tra gli esseri umani, il pianeta e le tecnologie che sviluppiamo è la base per la nostra sopravvivenza, più possibilità avremo di invertire questa tendenza distruttiva. Serve una responsabilità condivisa che trascenda gli interessi personali e nazionali, un impegno a ripensare i nostri modelli di sviluppo e le nostre priorità.

In definitiva, sì, dipenderà da noi: dalla nostra capacità di unirci, di ascoltare le voci di chi promuove la pace e di agire con saggezza per costruire un futuro più sicuro e sostenibile. E nonostante le difficoltà, possiamo ancora scegliere di investire nella vita, nell’umanità e in un sistema che metta al centro ciò che veramente conta.

Il potere della musica e delle parole di trascendere il tempo.

In un’epoca in cui i valori fondamentali come l’amore, la pace e la convivenza pacifica sembrano vacillare, le canzoni che hanno attraversato le generazioni assumono un significato ancora più grande. Esse rappresentano un filo che ci lega a momenti di speranza, lotta e resilienza, e, nonostante i cambiamenti nel contesto sociale, continuano a parlarci con una forza universale.

La resistenza di queste canzoni nel tempo potrebbe essere spiegata dal fatto che esse incarnano sentimenti ed esperienze umane universali. Sebbene le circostanze storiche in cui sono nate possano essere specifiche, il loro messaggio—che spesso tocca corde profonde dell’animo umano, come il desiderio di libertà, la ricerca della giustizia o la celebrazione dell’amore—rimane rilevante. In un mondo in costante cambiamento, queste canzoni diventano un rifugio, un promemoria che i valori fondamentali dell’umanità possono ancora risuonare.

Forse ciò che le rende immortali è proprio la loro capacità di adattarsi ai tempi, offrendo a ogni generazione una lente attraverso cui rileggere e reinterpretare il loro significato. Nonostante le difficoltà del presente, esse ci ricordano che, anche in mezzo al caos, c’è spazio per bellezza, empatia e speranza.

Mi viene in mente una canzone di Neil Young, Down By The River, che racconta di un omicidio per amore. Il grave fenomeno culturale in Italia che oggi viene classificato femminicidio per l’altissimo numero di donne uccise dai loro compagni di vita, è realtà. Forse, molti di questi assassini non hanno mai ascoltato una canzone ma solo suoni disturbati e parole senza senso, perché uccidere per amore non ha alcun significato, perché per un omicida è così difficile restare solo, prima e dopo. Le mie parole sono un potente riflesso della complessità e delle contraddizioni del nostro tempo. La canzone di Neil Young, “Down By The River,” con il suo tema oscuro e controverso, sembra quasi un simbolo di come l’arte possa esplorare le profondità dell’animo umano, anche quelle più inquietanti. Tuttavia, il fenomeno del femminicidio in Italia è una realtà tragica che va ben oltre qualsiasi narrazione artistica: è un problema sociale che richiede una riflessione seria e un’azione concreta.

L’idea che molti di questi assassini non abbiano mai ascoltato una vera canzone, ma solo suoni disturbati e parole vuote, è una metafora potente. La musica, con la sua capacità di toccare le corde più profonde dell’anima, potrebbe essere un antidoto alla disconnessione emotiva e alla violenza. Ma uccidere per amore non ha alcun significato, perché l’amore autentico non può mai essere fonte di distruzione.

In un mondo che sembra impazzito, dove guerre, razzismo e paranoie dominano, il “diverso per scelta” emerge come una figura di speranza. Chi sceglie di essere diverso, di resistere alla follia collettiva, di creare arte che sia bella e profonda, rappresenta una luce in mezzo al caos. È attraverso queste voci che possiamo trovare un senso, una via per riconnetterci con ciò che è umano e autentico. Un invito a non trattenere le emozioni, a lasciarle fluire e raccontare le storie che portano con sé. È come se il cuore fosse il custode di una memoria profonda, capace di dare voce a ciò che spesso rimane in silenzio.

Un’immagine intensa e malinconica, quasi come una finestra aperta su fragilità e incomprensioni che ci rendono umani. Una canzone diventa metafora potente del caos che attraversa le nostre vite, scompigliando le nostre certezze e lasciandoci a riflettere su ciò che siamo, su ciò che abbiamo condiviso e su ciò che non potremo mai comprendere pienamente l’uno dell’altro. La struggente consapevolezza delle differenze tra due persone, dei limiti nel cogliere la profondità del dolore o la santità dell’amore di qualcun altro, è splendidamente umana. E quel riconoscere il miracolo di riuscire ancora a camminare, a vivere, a nutrirsi, nonostante le nostre imperfezioni e il disordine che ci circonda, ci riporta alla forza interiore che spesso ignoriamo.

25 APRILE
Forse non farò
cose importanti,
ma la storia
è fatta di piccoli gesti anonimi,
forse domani morirò,
magari prima
di quel tedesco,
ma tutte le cose che farò
prima di morire
e la mia morte stessa
saranno pezzetti di storia,
e tutti i pensieri
che sto facendo adesso
influiscono
sulla mia storia di domani,
sulla storia di domani
del genere umano.
Italo Calvino

Testi di Gloria Berloso

gennaio 27, 2025

Per quattro mesi rivive il FOLKSTUDIO nel cuore di Roma

Dal 7 febbraio la rassegna “Stanze Polverose” dedicata al leggendario locale romano: 20 date all’Antica Stamperia Rubattino tra canzone d’autore, jazz, folk e incontri

L’ingresso è gratuito

Un progetto di “Sopra c’è gente” promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e in accordo con l’Archivio Folkstudio della Discoteca di Stato

Una rassegna di musica d’autore dedicata al Folkstudio, il leggendario locale romano fondato da Harold Bradley e portato avanti da Giancarlo Cesaroni. Si intitola “Stanze polverose” e vede l’organizzazione artistico musicale di “Sopra c’è gente”, promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e in accordo con l’Archivio Folkstudio della Discoteca di Stato. Si svolgerà nel cuore di Roma, nel quartiere Testaccio, all’Antica Stamperia Rubattino, dove è conservata anche la campana che al Folkstudio dal 1961 dava il via ai concerti. I rintocchi aprirono il live di Bob Dylan fino a quello di Simone Cristicchi, passando per Francesco De GregoriToquinhoRosa Balistreri, Antonello VendittiPaolo HendelFrancesco GucciniPiero CiampiGiovanna Marini e tantissimi altri. E dal 7 di febbraio daranno il via a 20 appuntamenti ad ingresso gratuito, che si protrarranno fino a giugno, tra canzone d’autore, jazz e folk, tra talk e incontri, proprio come per quarant’anni è accaduto al Folkstudio, prima nella sede di via Garibaldi, poi in quella di via Sacchi, fino all’ultima di via degli Annibaldi/via Frangipane. Un programma ricco, insomma, che prevede tanta musica, due appuntamenti speciali con gli artisti storici del locale romano capitanati da Grazia Di MicheleErnesto Bassignano e Edoardo De Angelis e uno finale dal titolo “Chiedi cos’era il Folkstudio – Serata di ospiti, racconti, canzoni, fiori falsi e sogni veri” a cura di Enrico Deregibus. In quell’occasione saranno assegnati i riconoscimenti “Stanze polverose 2025”: emergenti (premio Folkstudio Giovani) e artisti affermati (premio Folkstudio Stanze Polverose).

Lo scopo è quello di valorizzare e divulgare, oggi come allora, la musica di qualità e incentivare la collaborazione e la condivisione artistica in un’epoca in cui tutto sembra partire e concludersi in un clima di solitudine e individualismo. Continuare, insomma, quella che fu la missione del locale romano che, come scrive nella brochure di presentazione Luciano Ceri, giornalista musicale e scrittore, “da una parte confidava nella qualità delle proposte artistiche e dall’altra nella convinzione di poter dare uno spazio di visibilità ad artisti esordienti o comunque spesso esclusi dai circuiti di spettacolo tradizionali, che lì invece trovavano una platea, per quanto contenuta, ma sempre attenta, ben disposta e soprattutto curiosa di ascoltare qualcosa di nuovo ed interessante. Tutto questo portò la fama del Folkstudio ben oltre i confini nazionali, ed era consueto, per quanto sorprendente, che si parlasse del Folkstudio non solo in Italia, ma anche in Europa e nel continente americano”. E proprio con la musica americana il Folkstudio aveva un legame forte, come si evince dal ricordo del giornalista, chitarrista ed etnomusicologo Andrea Carpi nell’opuscolo che verrà distribuito ogni sera all’Antica stamperia Rubattino: “(…) nella mia prima visita al Folkstudio: c’era una formazione del gruppo afroamericano dei Folkstudio Singers con Harold Bradley, il fondatore del locale, insieme ad Archie Savage, Clebert Ford e i due fratelli Hawkins, in un trascinante repertorio di gospel, spiritual e blues; nella seconda parte subentrò la folksinger Janet Smith, che era una brava chitarrista e teneva al Folkstudio dei laboratori gratuiti di chitarra, che cominciai a seguire e dove incontrai Luigi “Grechi” De Gregori e “Chicca” Gobbi, la futura moglie di Francesco De Gregori. Janet fu bravissima a insegnarci gli stili del revival statunitense, dal fingerpicking al blues e al ragtime chitarristico, fino a introdurre dei pionieristici arrangiamenti di canzoni dei Beatles”.

Un modo autentico di fare musica e canzoni, distante da playlist e autotune, che tornerà per quattro mesi nelle “Stanze polverose” di via Rubattino.

Il progetto “Stanze Polverose” è vincitore dell’avviso pubblico per la concessione di contributi destinati a sale teatrali private con capienza inferiore a 100 posti aventi sede a Roma, per progetti di ricerca e sperimentazione nell’ambito dello spettacolo dal vivo e della formazione. Stagione 2024/2025. Promosso dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale.

INFO E CONTATTI: per prenotare wtsp 3276310658 – sopracegente@gmail.com

MOBILITA’ SOSTENIBILEBus 23/30/83/170/716/781 – Tram 3 – Metro B fermata Piramide

Pista ciclabile Lungotevere Testaccio fino a via Rubattino

APPUNTAMENTI DI FEBBRAIO

VENERDI’ 7 TAVERNA UMBERTO I

Giuseppe e Gianfilippo Santangelo, due fratelli che condividono la stessa passione per la musica fin da piccoli, nascono in Sicilia terra che darà loro molta ispirazione. Il nome “Taverna Umberto I” è infatti un omaggio ad uno storico locale di Piazza Armerina, ma soprattutto ad un modo di vivere la vita fatto di cose semplici, di gesti importanti, di sentimenti sinceri.

Due album all’attivo. Nel 2021 ricevono il premio “Canzone a Tema” al Premio Via Emilia – La Strada dei Cantautori, salendo sul podio con il brano “Passo la Via Emilia”.

Collaborano con il Coro Lirico Siciliano e l’orchestra Filarmonica della Calabria con il progetto Teatri di Pietra con un tributo a Franco Battiato e Lucio Dalla, mischiando pop e musica lirica.

Nel 2022 sono finalisti al Premio Pierangelo Bertoli, condividendo il palco con Roberto Vecchioni, Francesco Gabbani, Irene Grandi e la Bandabardò.

SABATO 8 DOMENICO IMPERATO

Domenico Imperato è un cantautore e produttore musicale. Premio Gianmaria Testa 2023. Premio Fabrizio De Andrè 2014.

Tre dischi all’attivo: Postura Libera (2014), Bellavista (2018) e Sentimentale (2023).

Grazie alla ricchezza del suo percorso artistico e umano è tra i cantautori italiani, della sua generazione, più originali e attivi.

Ha condiviso il palco con importanti artisti italiani e internazionali: Calexico, Diodato, Mannarino, Brunori Sas, Mario Venuti, Peppe Servillo, Sara Jane Morris, Peppe Voltarelli.

La sua musica è un mix di influenze musicali diverse dove la canzone d’autore italiana incontra la world music fino alle declinazioni più interessanti del pop e rock internazionali.

Ha vissuto per alcuni anni in Portogallo e a San Paolo del Brasile dove ha prodotto eregistrato il suo primo album.

I suoi dischi hanno ottenuto un ottimo riscontro da parte della critica specializzata e del pubblico. Si esibisce da anni in un’intensa attività live in Italia e all’estero.

VENERDI’ 14 PAOLO SAPORITI

L’intima voce e la chitarra l’acustica di Paolo Saporiti incontrano il violoncello raffinato di Francesca Ruffilli in un progetto dal vivo – rappresentato in più di 30 date – in cui l’ascoltatore-spettatore viene proiettato dentro il nuovo lavoro discografico del cantautore milanese dal titolo ‘La mia falsa identità’. Un dettagliata ed emozionale rilettura delle canzoni in una versione primordiale e minimal che riesce a coglierne tutta l’essenza. Una magica alchimia sul palco, con interventi solistici, tutti da godere.

Paolo Saporiti, chitarrista, cantante e compositore, ci propone una canzone d’autore, in cui domina l’attenzione per i dettagli e la profondità dei testi. La sua voce calda, graffiante ed evocativa, che si interseca perfettamente con i melodici arpeggi costruiti dalla chitarra baritona acustica, lo porta a ben sei album da solista.

VENERDI’ 21 STEFANO DELL’ARMELLINA

In occasione dell’uscita del nuovo album di inediti di Stefano Dall’Armellina “La Magnolia

Stellata” (Vrec/Audioglobe), l’artista trevigiano ha intrapreso un tour nelle principali province italiane: con lui una band d’eccezione formata da Simone Chivilò – chitarra, Assuera De Vido – violino e cori, Gianni Fantuz – batteria. Ospite speciale della serata il cantautore Gianluca Chiaradia che duetterà nel brano “Ancora spazio” presente nel disco.

Stefano Dall’Armellina, classe 1971, è un pluripremiato artista Italiano. Con il singolo “Fiato corto” vince Musicultura nel 1999: il singolo entrerà poi nel suo esordio pubblicato dalla EMI.

Incide nel 2004 il suo secondo album, “Giorni Buoni”. Gira l’Italia nel tour “RadioItalia solo musica Italiana”. Negli anni successivi inizia la produzione del suo terzo album originale, “…e i pesci vengono a galla”, forse il suo lavoro discografico più completo, ricco di importantissime collaborazioni (tra le altre, Neri Marcorè e Marco Morandi, Stefano Melone, Cristiano Micalizzi, Marco Siniscalco). Partecipa al tour “Grazie a tutti” di Gianni Morandi, in qualità di ospite, cantando alla chitarra un proprio brano e “scende la pioggia”. Il suo nome è inserito tra i grandi della canzone Italiana nel “Dizionario dei Cantautori Italiani” edito da Garzanti.

VENERDI’ 28 GABRIELE COEN TRIO

Con questo trio Gabriele Coen esprime l’eclettismo espressivo che è il segno distintivo del suo percorso artistico e di ricerca, e presenta brani tradizionali e composizioni originali, un’appassionante, inconsueta lirica che attinge al jazz, al rock, alla world music. Coen rende omaggio al suo strumento d’elezione, il sax soprano, come testimoniato dai suoi lavori discografici, alcuni dei quali usciti sia per la prestigiosa etichetta Tzadik (John Zorn) che per Parco della Musica Records.

IL PROGRAMMA COMPLETO

gennaio 15, 2025

Ciao Mauro, la tua eredità vive nel lavoro che hai lasciato e nelle vite che hai toccato con le tue parole.

Esistono tante storie vere che possono coesistere perché siamo tutti esseri umani, uguali ma allo stesso tempo diversi per scelte e condizione di vita. Mauro Quai è morto in solitudine nella sua casa di Susans per scelta, non stava bene negli ultimi mesi. Nonostante tutta la sua sofferenza riusciva a trovare un pensiero per alcuni amici, a scrivere un messaggio. L’ultimo che ho ricevuto me l’ha inviato il 6 gennaio. Ci eravamo sentiti al telefono qualche giorno prima, desideravo poterlo aiutare ma non ha voluto forse per la sua inconfondibile personalità arrabbiata e complessa, sensibile e romantica.

Sono tante le cose che aveva da raccontare, infilava ricordi e aneddoti, sulla sua vita, il rapporto con Nemo ed il vino, quest’ultimo spesso conflittuale. E soprattutto sapeva ascoltare, capire la musica, sottoscriveva articoli di una bellezza infinita per vari giornali. Era uno dei rari giornalisti che non aveva internet, social e smartphone, ciononostante i suoi articoli erano precisi, colmi di elementi tecnici, descrizioni estese della percezione del suono che ascoltava dal disco.

Mauro Quai è stato un nome noto nel panorama musicale italiano, un giornalista che ha dedicato molto del suo tempo a raccontare storie, emozioni e passioni attraverso la musica. Nato nel 1953 in Friuli viveva a Susans da sempre, si è distinto non solo per il suo talento nel giornalismo, ma anche per la sua innata capacità di percepire l’anima di ogni artista con cui ha interagito.
Sin da giovane, Mauro ha mostrato una passione travolgente per la musica. Questa passione si è trasformata in un amore profondo quando ha scritto il suo primo articolo per un giornale locale. Da quel momento, la sua carriera è decollata, Mauro ha iniziato a lavorare per diverse riviste musicali. Il suo approccio alla scrittura era unico: non si limitava a recensire album o concerti, ma cercava sempre di raccontare la storia dietro la musica. Le sue interviste erano famose per la loro profondità; riusciva a far emergere i lati più intimi e vulnerabili degli artisti, creando un legame indissolubile tra il lettore e il mondo della musica. La sua penna vibrante riusciva a trasmettere emozioni, rendendo ogni articolo un’esperienza quasi sensoriale.
Mauro non era solo un critico; era un vero amante dei concerti. Ogni volta che un artista calpestava un palco, per lui era come una celebrazione. Partecipava a festival, concerti e eventi musicali, scrivendo recensioni che catturavano l’energia e l’emozione del momento. La sua capacità di immergersi completamente nell’atmosfera di un concerto lo rendeva un osservatore prezioso, capace di descrivere le sfumature di un’esibizione con incredibile dettaglio.
Purtroppo, la vita di Mauro è stata segnata da una battaglia silenziosa contro la depressione che lo hanno portato a sentirsi distante da tutti, persino dai suoi cari. La sua morte lascia un vuoto incolmabile nel cuore di chi lo conosceva e gli voleva bene. È tragico pensare a quanto Mauro abbia dato al mondo mentre, allo stesso tempo, combatteva una battaglia invisibile.

La sua scomparsa mette in evidenza l’importanza di parlare di depressione, in particolare nel mondo dei musicisti, dove l’apparente successo può mascherare sofferenze profonde. Oggi, amici e colleghi lo ricordano non solo per la sua incredibile carriera, ma anche per la sua umanità. La sua eredità vive nel lavoro che ha lasciato e nelle vite che ha toccato con le sue parole.

In memoria di Mauro, è fondamentale continuare a promuovere la discussione nel settore musicale. La sua voce, purtroppo silenziata, continuerà a ispirare generazioni di giornalisti e musicisti a esplorare e onorare la bellezza e la complessità della musica, ma anche a non dimenticare l’importanza di prendersi cura della propria anima. La musica, come diceva Mauro, è un riflesso della vita stessa; così, mentre continuiamo ad ascoltare, ricordiamoci anche di chi ci ha regalato il dono di farlo.

Sto pensando a Nemo che ti è stato sempre accanto, vorrei stringerlo a me per rassicurarlo che il suo padrone ora sta in un posto con tanti amici sinceri. Voglio esprimere la mia vicinanza alle persone che si sono prese cure di te e che ti hanno voluto bene. Non potrò più sentire la tua voce, parlare di musica. Non hai voluto che ti venissi a trovare, ti ho capito. Hai faticato a resistere in questa vita ma io non dimenticherò mai la tua amicizia, la tua sensibilità e i tuoi umori quando ti sentivi solo e abbandonato. Mi hai preso in contropiede stamattina perché hai rotto la velocità del suono della solitudine ma ora sei in viaggio in libertà.

Mauro Quai con Nemo – Foto di Domenico Bertone

Grazie di essermi stato amico in tutti questi anni. Ci ritroveremo in un’altra dimensione un giorno. Sono sicura che Ricky ti ha già sfiorato, il tempo non vola si ferma e scappa.

Un soffio Amico mio.

Gloria

14 gennaio 2025

settembre 6, 2024

Grazie Claudio Rocchi

Claudio Rocchi

Articolo pubblicato il 18 giugno 2013

Mi dispiace moltissimo, sono particolarmente turbata da questa morte, le sue poesie e la sua musica mi appartengono e le ho sempre ascoltate e proposte a chi non lo conosceva.

Claudio Rocchi aveva la forza della sincerità ma sapeva farti sognare con le sue canzoni che sembravano delle favole. La realtà non esiste ma c’è sempre una speranza, delle volte, anche noi torniamo indietro, comprendiamo e cambiamo vita. La bellezza dei suoi brani risiede a mio avviso proprio nella loro uniformità di vibrazioni.

C’è una canzone del 1974 inserita nell’Album Essenza: È per te, dedicata alla droga che al di là delle solite ispirate allucinazioni di chi voleva dire…anch’io mi drogo e sono, perciò un artista, è un invito affinché le energie psichedeliche possano essere sostituite da forza, senso e volontà per circolare fino al cuore. Questa è concretezza!

Tutte le altre canzoni costituiscono esposizioni poetiche presentate in molti concerti che diventavano fondamentali per chi amava Rocchi. Avrei preferito senza ogni ragionevole dubbio fare una recensione ma di fronte alla morte di un grande poeta m’inchino.

Claudio non è mai stato commerciale ma le sue canzoni arrivavano sempre dirette perché semplici. Gli strumenti usati nei suoi concerti erano chitarra acustica e pianoforte, le percussioni per imprimere il ritmo e spesso il sitar.

Per i nostri giorni e per le nostre coscienze è importante che rimanga la conoscenza di questo artista e spero che questo mio semplice pensiero per Rocchi insieme a tutte le altre recensioni siano aperti ad un colloquio tra noi sulle basi di documenti, notizie, dischi, libri e ricordi.

La realtà non esiste

Quando stai mangiando una mela tu e la mela siete parti di Dio,

Quando pensi a Dio sei una parte di ogni parte e niente è fuori da tutto

Quando vivi tu sei un centro di ruota e i tuoi raggi sono raggi di vita;

puoi girare solo intorno al tuo perno o puoi scegliere di correre e andare

Quando dormi tu sei come una stella e il respiro è come fuori dal tempo;

Quando ridi è come il sole sull’acqua, sai che farne della vita che hai

Quando ami tu ridoni al tuo corpo quel che manca per riempire un abbraccio,

Quando corri sai essere lepre e lumaca se hai deciso di arrivare o restare

Quando pensi stai creando qualcosa, illusione è di chiamarla illusione,

Quando chiedi tu hai bisogno di dare, quando hai dato hai realizzato l’amore.

Quando gridi la realtà non esiste hai deciso di essere Dio e di creare.

Quando chiami tutto questo reale hai trovato tutto dentro ogni cosa

Autore: Gloria Berloso

6 settembre 2024

ottobre 25, 2023

Il sole lassù – Racconti e Poesie diventa libro – Il ricavato sarà devoluto a associazioni di volontariato

Nei mesi scorsi vi avevo inviato il libro in formato digitale in questo sito. Da oggi 25 ottobre 2023 il libro

Il sole lassù Racconti e Poesie

è acquistabile dall’editore Youcanprint tramite questo link

https://www.youcanprint.it/il-sole-lassu/b/8296166e-018b-5391-86c5-cf9ba2a4b0f5#=

e sarà disponibile in tutte gli store di libri on line oppure potete chiederlo al vostro libraio di fiducia.

Il ricavato dalla vendita verrà devoluto ad una associazione di volontariato.

Alcune copie saranno disponibili durante eventi, concerti, ecc.

Informazioni editoriali

Data di uscita 2023

Editore Youcanprint

Pagine 52

ISBN 9791222702711

Se desiderate contattarmi direttamente potete lasciare un messaggio in questo sito, inserendo la vostra e-mail. Sarà mia cura inviarvi il libro.

L’autore

Gloria Berloso

settembre 22, 2023

Madame Guitar – Incontro con Nibs Van Der Spuy

Per chi ha avuto il piacere di conoscerlo sa già che Nibs Van Der Spuy è una legenda afro europea. Per chi invece non l’ha mai sentito, stasera al Teatro Garzoni di Tricesimo, avrà modo di capire la bellezza di questo interessante artista sudafricano, che vive anche a Lisbona in Portogallo.

Dal primo istante ho capito che Nibs è una persona di straordinaria cultura musicale. La sua vita è un incrocio importante di culture che ne valorizzano sia il linguaggio (parla inglese, portoghese, italiano, afrikaans, zulu) per comunicare con il mondo – sia quello della Musica attraverso i suoi strumenti a pizzico e la sua voce armoniosa.

Nibs Van Der Spuy

Nibs ha pubblicato una decina di dischi tra il 2000 e il 2013, impegnando molto tempo in studio e per la distribuzione sul mercato. Un lavoro impegnativo l’ha compiuto con il suo ultimo lavoro più recente, in italiano “La fanciulla del fiume” e l’insegnamento della Storia della Musica all’Università. Ma il suo amore per la chitarra lo vuole soprattutto protagonista in concerti che hanno registrato il tutto esaurito come per esempio a Londra in ottobre 2023. Credo che anche in Friuli tutte le poltrone disponibili saranno occupate da un pubblico internazionale, quindi vi consiglio di prenotare il vostro posto.

Programma Madame Guitar 2023 e informazioni

Autore: Gloria Berloso

settembre 21, 2023

Omaggio a David Crosby con Jeff Pevar & Inger Nova con la partecipazione di Anthony Basso, autore del più bel omaggio a Woodstock mai ascoltato in Italia.

David Crosby era nel bel mezzo di una telefonata a Bob Dylan quando Henry Diltz catturò questa immagine iconica. Diltz è stato il fotografo ufficiale di Woodstock e il suo lavoro è apparso su Life Magazine.

Essendo egli stesso un musicista, Diltz ha avuto un accesso impareggiabile ad alcuni dei più grandi nomi del rock, contribuendo spesso alle parti vocali e al banjo dei loro album quando non era dietro l’obiettivo.

Per Jeff Pevar, suonare con Rickie Lee Jones ha rappresentato il punto di svolta nella sua carriera di musicista. Grazie a Michael Ruff, amico di vecchia data, Jeff è stato a lungo in tour con Rickie Lee e quella visibilità ha contribuito ad aprire le porte ad altri contatti. Da quel momento, Jeff ha iniziato a collaborare – in studio e dal vivo – con un gran numero di artisti straordinari: Crosby, Stills & NashDonald Fagen (Steely Dan), Tommy EmmanuelJames TaylorMarc CohnRay CharlesJoe CockerDr. JohnCarly SimonWilson PickettPhil Collins e moltissimi altri. In particolare, insieme a David Crosby e James Raymond, ha dato vita a CPR, band con la quale ha realizzato tre album, che rappresentano alcuni dei capitoli più interessanti della discografia del cantautore californiano.

Oltre ad essere un chitarrista strepitoso, Jeff è un compositore ed un brillante produttore. Nel 2012 ha pubblicato “From The Core”, disco di debutto come solista con la partecipazione di Jon Anderson degli Yes sul singolo “River Of Dreams”. Nel 2015, insieme alla band Jazz is Dead – con la quale collabora dal 2001, ha realizzato “Grateful Jazz”, un album di cover strumentali dei Grateful Dead. Dal 2016 fa parte della New York Blues Hall of Fame. Nel 2019, è uscito l’EP “Anthem”, realizzato insieme a Inger Nova Jorgensen, cantante e cantautrice, nonché una affermata scultrice e pittrice: un’artista a tutto tondo. Inger è anche la voce e l’autrice delle canzoni del progetto funk e R&B, Lovebite.

Attualmente in tour con il progetto The Gilmour Project, una all-star band che rivisita la musica di David Gilmour e dei Pink Floyd, dalla fine di settembre Jeff sarà in tour in Italia con Inger Nova.

A Precenicco (Udine) nel bellissimo teatro comunale il 30 settembre 2023 alle 20:45,
Jeff Pevar e Inger Nova presenteranno un concerto fantastico in omaggio a David Crosby.

Aprirà  il concerto Anthony Basso, autore del più bel omaggio a Woodstock mai ascoltato in Italia.

E poi gran finale…….

Biglietto unico € 10.00

Prenotazioni: 348-8138003, info@folkclubbuttrio.it

Autore: Gloria Berloso

settembre 19, 2023

La battaglia per i diritti civili e le guerre – Le canzoni di protesta e politiche – Settima parte audio video

Joan Baez

“Le canzoni di protesta e politiche” raccontate da Gloria Berloso è un progetto culturale indipendente, senza scopo di lucro e gestito volontariamente senza percepire nulla in cambio. Il progetto è volto alla ricerca, allo studio e alla memoria di canzoni di protesta e politiche di tutto il mondo. I contenuti sono pubblicati sul sito YouTube, sono controllati accuratamente dietro copyleft e possono essere riprodotti se i proprietari lo consentono. Non sono rivolti ai bambini. Gli autori dei canti sono citati sempre e possono reclamare diritti sui testi qualora lo ritengano necessario. Nel caso di autore sconosciuto la denominazione può essere: anonimo o tramandato. La natura del progetto è di carattere storico culturale, assolutamente non commerciale. Tutti i canti presentati sono stati precedentemente pubblicati ed è degli autori la responsabilità del loro contenuto. Lo scopo del progetto è di raccontare le canzoni, la loro origine, il loro significato attraverso eventi storico politici, di guerra, di lotte operaie, studentesche, di genere, ecc.

Guarda il video

Autore: Gloria Berloso

settembre 18, 2023

E che non vengano a parlare di pace finché si vive in questa maniera – Le canzoni di protesta e politiche – Sesta parte – audio video

Gualtiero Bertelli

“Le canzoni di protesta e politiche” raccontate da Gloria Berloso è un progetto culturale indipendente, senza scopo di lucro e gestito volontariamente senza percepire nulla in cambio. Il progetto è volto alla ricerca, allo studio e alla memoria di canzoni di protesta e politiche di tutto il mondo. I contenuti sono pubblicati sul sito YouTube, sono controllati accuratamente dietro copyleft e possono essere riprodotti se i proprietari lo consentono. Non sono rivolti ai bambini. Gli autori dei canti sono citati sempre e possono reclamare diritti sui testi qualora lo ritengano necessario. Nel caso di autore sconosciuto la denominazione può essere: anonimo o tramandato. La natura del progetto è di carattere storico culturale, assolutamente non commerciale. Tutti i canti presentati sono stati precedentemente pubblicati ed è degli autori la responsabilità del loro contenuto. Lo scopo del progetto è di raccontare le canzoni, la loro origine, il loro significato attraverso eventi storico politici, di guerra, di lotte operaie, studentesche, di genere, ecc.

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Autore: Gloria Berloso