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giugno 11, 2016

Ritorna FOLKEST – LA FIESTE DA SEDON musica popolare friulana

LA FIESTE DA SEDON

Anteprima Folkest 2016 – Festa della musica popolare friulana

Castello di Ragogna

12 giugno 2016

del favero e c.

Folkest offre un primo assaggio del suo fitto Festival con un’anteprima che è ormai diventato un appuntamento con la tradizione e la cultura popolare friulana: attorno al gruppo musicale La Sedon Salvadie e al suo concerto, domenica 12 giugno al Castello di Ragogna in programma una grande Festa della musica popolare che coinvolge tutti i musicisti che hanno fatto parte di questa formazione, i loro personali progetti artistici, gli amici e gli amici degli amici. Dopo il successo, infatti, delle prime dieci edizioni dell’annuale festa de La Sedon, questo appuntamento raccoglie da quest’anno intorno a sé alcune realtà molto significative della cultura friulana come l’Associazione Glesie Furlane di Villanova di San Daniele del Friuli e la Clape Culturâl Patrie dal Friûl di Udine, editrice dello storico periodico La Patrie dal Friûl, che si affiancheranno all’Associazione Culturale Folkgiornale nell’organizzazione di questo festival dedicato alla musica tradizionale friulana, nell’intento di farlo diventare un autentico punto d’incontro tra diverse realtà musicali e culturali del Friuli, unite anche nell’omaggio a Bertrando di Saint Genes, il più grande Patriarca di Aquileia, del quale ricorre l’anniversario della scomparsa nei prati della Richinvelda in queste stesse giornate.

Carantan

Il gruppo musicale La Sedon Salvadie, considerato oggi il maggior rappresentante della scena musicale tradizionale e dell’evoluzione della musica folk friulana, è da sempre legato al territorio del Comune di Ragogna, sia perché uno dei suoi fondatori era residente proprio a Ragogna, sia perché qui furono effettuate molte ricerche negli anni Ottanta, a metà anni Novanta e anche recentemente.

La Sedon Salvadie ha da poco girato la boa dei trent’anni di attività, anni che hanno visto il gruppo esibirsi in tutto il mondo e collaborare anche con musicisti molto importanti (Angelo Branduardi, Massimo Bubola, The Chieftains, Carlos Nuñez e Inti Illimani tra gli altri). Dalle file de La Sedon Salvadie hanno preso le mosse le formazioni più significative dell’attuale panorama musicale friulano:  Andrea Del Favero, Giulio VenierLino Straulino, Emma Montanari, Marisa Scuntaro, Dario Marusic, Glauco Toniutti. Tutti hanno militato o militano in questa formazione e hanno dato o danno vita a molti altri gruppi e realtà di ricerca e di riproposta, quali Carantan, Braul, Tischlbong, Montanari Grop, Furclap, Nosisà, Lino Straulino… Trent’anni di storia, visti con gli occhi di tre generazioni di musicisti, diventano così l’occasione per ripercorrere le tappe della riscoperta e dell’evoluzione della musica popolare friulana, dal rischio di oblio degli anni Settanta, fino al grande impatto con i media, alle tournée in tutto il mondo, alle apparizioni televisive e agli special dedicati, oltre le prestigiose collaborazioni alcune delle quali saranno presenti alle giornata de La Fieste da Sedon.

Il tutto sarà inserito negli spazi giusti all’interno del castello e nelle aree disponibili, con un impatto che tenga conto del valore del monumento all’interno del quale ci si andrebbe a muovere, secondo una valutazione da fare all’atto della stesura del progetto definitivo della manifestazione, inserendo con lo stesso criterio anche eventuali stand. Elemento fondamentale e caratterizzante del castello Superiore di Ragogna è il mastio, conosciuto anche come torre, utilizzato dai Conti di Porcia fino alla seconda metà del XVIII e poi lasciato lentamente cadere in rovina. Alla fine nel 1976 il terremoto lo distrusse quasi completamente.

Oggi il mastio si presenta completamente ricostruito, anche se profondamente modificato per quanto riguarda la disposizione interna dei locali. La progettazione infatti ha tenuto conto del recupero di alcune parti originarie di muratura al piano terra in funzione di quello che dovrebbe essere il futuro Museo del Castello.

Alla realizzazione dell’evento contribuiranno varie realtà: oltre all’associazione Culturale Folkgiornale, Associazione Glesie Furlane di Villanova di San Daniele del Friuli e la Clape Culturâl Patrie dal Friûl, con il patrocinio della Provincia di Udine e della Comunità Collinare del Friuli, che da anche il contributo, il Comune di Ragogna (con il patrocinio all’iniziativa e la concessione d’uso del castello), la Edit Eventi di Spilimbergo che curerà Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni, inserendo le manifestazione tra gli appuntamenti di maggior spicco di un festival internazionale come Folkest.

castello di ragogna

Lino Straulino

Lino Straulino

 

 

 

 

 

 

 

Domenie ai 12 di Jugn dal 2016.

Domenica 12 giugno 2016.

Program da zornade

Programma della Giornata

10.00 messe pal Beât Bertrand cu lis

Lino Straulino

Bintars

musicheis da vecje tradizion dal Patriarcjat (santa messa per il Beato Betrando di Aquieia con le musiche della vecchia tradizione del Patriarcato di Aquileia).

11.15 visite al cjistiel, par cure dal Grup Archeologjic Reunia (visita al castello a cura del Gruppo Archeologico Reunia).

11.45 aperitîf salvadi (aperitivo selvatico)

12.15 a gustà cu la Sedon (a pranzo con la Sedon Salvadie)

Tal salon dal cjistiel (Nel salone del castello)

14.30 Andrea Del Favero e Glauco Toniutti – savôrs e sunôrs dal Friûl, ienfri musiche e ricetis dai cogos     da storie dal Friûl (Andrea Del Favero e Glauco Toniutti – sapori e suoni dal Friuli, tra musiche e ricette dei cuochi della storia del Friuli)

15.45 Memoreant Beltram: storiis sul Patriarcje  (In ricordo di Bertrando: storie sul Patriarca)

Tal curtîl dal cjistiel

Nel cortile del castello

concierts dai grups musicâi

concerti con i gruppi musicali

16.00 Carantan

16.45 I Bintars

17.30 Lino Straulino

18.15 La Sedon Salvadie

19.00 Si sune e si fâs fieste ducj insieme

Si suona e si fa festa tutti insieme

Si mangje e si bêf par furlan.

Si mangia e si beve in friulano

Si podaran comprà discs e libris su la culture Furlane.

Potrano essere acquistati dischi e libri sulla cultura Friulana.

aprile 5, 2016

Del Sangre – Il Ritorno dell’Indiano

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Del Sangre

 

Il volto indiano di Geronimo rimanda ad una vecchia foto virata color seppia, colore della sabbia rossa del deserto americano, quello immaginato e sognato, quello dei canyon e delle rapide, quello del Mississippi e quello della polvere incollata alla faccia dei cercatori d’oro e dei poveri disperati diseredati di tutte le terre del mondo, finiti là, nel vecchio, maledetto, amatissimo Ovest americano.

Luca Mirti: voce chitarra, Marco “Schuster” Lastrucci: basso, Fabrizio Morganti: batteria, Giuseppe Scarpato: chitarra, Claudio Giovagnoli: sax, Paolo “Pee Wee” Durante: organo Hammond e Gianfilippo Boni: pianoforte e Wurlitzer hanno realizzato questo nuovo lavoro firmato Del Sangre con dieci canzoni nuove e un brano di Ivan Della Mea (Sebastiano) hanno presentato Il ritorno dell’Indiano.

Track List del nuovo CD:

1 – L’INDIANO

2 – UNA CHITARRA PER LA RIVOLUZIONE

3 – GAETANO BRESCI

4 – SUCCESSE DOMANI

5 – FUORI DAL GHETTO

6 – ALZA LE MANI

7 – SACRA CORONA UNITA

8 – SCARPE STRETTE

9 – GLI OCCHI DI GERONIMO

10 – ARGO SECONDARI

11 – SEBASTIANO

Il titolo del disco rivela in sostanza il ritorno del gruppo rock fiorentino che ha prodotto fra il 1999 e il 2010 altri sei dischi di notevole importanza sia per l’impegno sociale che per l’influenza musicale di artisti come Springsteen e i Clash. Si comprende quindi che le sonorità sono molto rock, in alcuni tratti originali, in altri con assoli più cattivi con la chitarra solista che travalica l’altra chitarra soprattutto nel brano d’apertura e dà un senso di confusione forse voluta. I trascinanti fraseggi dell’Hammond e del sax, ben inseriti in un background ritmico molto carico e ben costruito, hanno un carattere molto dinamico, sono carichi di sentimento e rivelano una certa abilità tecnica. Molto buono pure il lavoro del pianoforte. Il lutto che attraversa tutto il disco è un sentimento alto, forte, perché individua senza mistificazioni di sorta l’aporia sanguinosa della quale si nutre l’intera Storia e la cultura degli Stati Uniti. Solo in quest’ottica il genocidio dei nativi americani vive in tutto il suo orrore. Non esiste il capitalismo gentile. O dentro o fuori.

Il 5 settembre 1886 la notizia si sparse come un baleno in tutti gli Stati Uniti: il capo della tribù degli Apache, Geronimo, si era arreso per l’ultima volta nei pressi di Fort Bowie, in Arizona. Con Geronimo c’erano quindici uomini, undici donne e sei bambini. Ci erano voluti 5000 soldati, un quarto dell’intera forza dell’esercito, per arrestarlo. L’epica storia di Geronimo, la sua ascesa a leader indiano, ammirato per intelligenza e coraggio, temuto sia dagli occhi bianchi che dalla sua stessa gente, la sua decisione di resistere alla ghettizzazione dei nativi americani nelle riserve.

Avevo sangue sul vestito quando mi misero in ginocchio e fui portato in aula con le catene con le catene ai polsi e le ferite ancora aperte Giura di dire il vero, giura su Dio Ma Vostro Onore la verità non la saprà dalla mia bocca più che da ogni carogna che ho fatto fuori Ogni banchiere in doppio petto, ogni custode del rispetto Credo che mentirei chiedendo scusa Avevo una famiglia ed un lavoro almeno onesto e i miei capelli bianchi troppo presto Tagli al personale fu tutto quello che mi fu detto senza nemmeno un grazie, senza un saluto E la mia casa presto aveva un cielo come tetto quando la banca se la portò via e non rimase niente, salvo il riflesso di uno specchio dove ho paura anche a guardarci dentro Avevo i denti consumati e il sangue freddo nelle mani quando premetti il dito sul grilletto e non provai rimorso quando li stesi tutti dentro in quella fossa prima di me stesso Un uomo a 40 anni ed una vita devastata non mi hanno piegato, neanche un momento Si sono presi tutto ma non lo sguardo di quel tempo Con gli occhi di Geronimo li ho guardati

Geronimo fu chiamato anche il Sognatore, perché Geronimo riferiva di avere il potere di vedere il futuro; in effetti all’epoca di Cochise (“Kociss”, Coltello) era lo sciamano della tribù. Geronimo combatté contro un sempre maggior numero di truppe messicane e statunitensi e divenne famoso per il suo coraggio e per essere sfuggito numerose volte alla cattura. Le forze di Geronimo divennero l’ultimo grande gruppo di combattimento di pellerossa che si rifiutarono di riconoscere il governo degli Stati Uniti nel West. Questa lotta giunse a termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al generale Nelson Miles dell’esercito statunitense, a Skeleton Canyon, Arizona. Geronimo venne mandato in prigione in Florida. Nel 1894 venne trasferito a Fort Sill (Oklahoma). In età avanzata Geronimo divenne una specie di celebrità, ma non gli fu permesso di fare ritorno alla sua terra natia. Cavalcò durante la parata inaugurale del Presidente Theodore Roosevelt, nel 1905. Geronimo morì di polmonite a Fort Sill il 17 febbraio 1909.

GAETANO BRESCI – Nella sua fotografia più nota Gaetano Bresci ci appare come un distinto signore dall’aspetto curato, con i baffi impomatati, le punte rivolte appena all’insù, giacca nera, camicia bianca e farfallino. Non a caso, fin da ragazzo, a Prato, era stato soprannominato il «paino», ovvero il damerino: un nomignolo che gli era sempre andato un po’ stretto. Trascorre l’infanzia a Prato, dove la sua vita lavorativa inizia a soli undici anni, per quattordici ore al giorno, dal lunedì al sabato, con la domenica trascorsa alle scuole comunali per imparare a decorare la seta. La prima volta in galera è a 23 anni, con l’accusa di aver insultato una guardia. Il confino, invece, a 26, sull’isola di Lampedusa, per aver partecipato a scioperi e manifestazioni anarchiche. Tornato a casa, trova lavoro in Garfagnana e mette incinta una donna. Riconosce il figlio, si assicura che abbia di che vivere, e poi parte per gli Stati Uniti, in cerca di fortuna, e all’inizio del 1898 si trasferisce a Paterson, The Silk City, la città della seta che stava a una trentina di chilometri a nord di New York, nel New Jersey. Fabbriche su fabbriche e il fiume Passaic ai piedi delle colline: Paterson, all’arrivo di Bresci, accoglieva una comunità di circa cinquemila italiani. Gli anarchici erano almeno un migliaio, si radunavano in circoli, nei bar, leggevano e parlavano, perché in America, a parte la paga migliore, si poteva anche discutere senza il rischio di venire arrestati. Per questo aveva scelto Paterson. Sembrava che gli anarchici fossero tutti lì. Nel frattempo, a poche settimane dall’arrivo, Bresci conosce una giovane ricamatrice di origine irlandese di nome Sophie Knieland, che diventerà sua moglie. La loro luna di miele, però, è funestata dall’eco dei moti di Milano, la grande protesta popolare contro il caro vita, duramente repressa nel sangue. Vendicare i morti di Milano: sembra essere questo il movente principale del gesto di Bresci. Incominciò a organizzare il ritorno in Italia con largo anticipo, sfruttando i biglietti a prezzi scontati messi a disposizione per visitare l’Esposizione parigina. Ad amici e parenti raccontò che tornava a Prato per rivedere la famiglia e risolvere alcune questioni patrimoniali.

Mentre in America gli anarchici dibattevano, Gaetano pensò che era tempo di agire e quando si imbarcò per Le Havre, il 17 maggio 1900, aveva uno stipendio buono, un cottage a West Hoboken, una figlia di un anno e una moglie che ancora non sapeva di essere nuovamente incinta. Passando per Parigi e Genova, dopo un soggiorno a Prato dai parenti, Bresci approda nella Milano stretta dall’afa, e da lì si sposta a Monza. Il 29 luglio, elegante come sempre, va in giro per la città con la macchina fotografica al collo. Mangia ben cinque gelati al Caffè del Vapore, poi si mescola alla folla che assiste al passaggio del sovrano gli spara nel petto tre colpi con la sua Harrington & Richardson calibro 38 a cinque colpi, acquistata a New York prima d’imbarcarsi. Il primo colpo è per i morti di Milano, le «vittime pallide e sanguinanti del generale Bava Beccaris, per il potere che elargisce medaglie agli assassini e piombo agli sfruttati». Il secondo colpo è per i compagni di Paterson costretti all’esilio, «per gli operai e le operaie che la fame e le persecuzioni hanno allontanato dalle proprie case. Per tutti gli anarchici reclusi, confinati, accerchiati dal mare su un’isola prigione». Il terzo colpo è per la sua infanzia negata, la breve infanzia trascorsa a Prato, «avvilita dal lavoro ottimizzato che non dà tregua». Non si sa se ci fu un quarto colpo, la cronaca su questo punto non è chiara. In ogni caso tre furono sufficienti. Nel libro di Pasi, autore e giornalista del tg3, non mancano i riferimenti alla stampa del tempo; alle pubblicazioni libertarie – L’Aurora, La Questione Sociale e Il Risveglio –, che descrivono Bresci come un eroe, e ai giornali filogovernativi, che lo rappresentano come un pazzo o come il mero esecutore di un grande complotto. Il processo si svolse con una rapidità insolita. Giudicato colpevole del delitto di regicidio, con sentenza del 29 agosto 1900, Gaetano Bresci fu condannato alla pena dell’ergastolo, di cui i primi sette anni da scontarsi in segregazione cellulare continua. Ufficialmente si impiccò nella sua cella nel carcere di Santo Stefano il 22 maggio del 1901, ma non aveva con sé altro oggetto se non un fazzoletto, e secondo i medici che effettuarono l’autopsia, il corpo era in stato di decomposizione troppo avanzato per essere morto da sole 48 ore. La versione ufficiale è che sia morto in carcere, più probabile che sia stato riempito di botte dalle guardie, non c’era neanche la sua tomba, prima che l’anarchico e poeta del vino Luigi Veronelli la individuasse e mettesse una croce di legno nel giardino del carcere.(Fonte Pasi)

ARGO SECONDARI – nasce a Roma il 12 settembre 1895. Di estrazione sociale borghese è il quinto di sette figli. Dopo la prematura morte della madre, sebbene giovanissimo, viene fatto imbarcare come mozzo in una nave in partenza per il Sud America, dove, fatte perdere le proprie tracce, vive di espedienti. Tra le varie professioni esercita anche quella di pugile ed entra in contatto con i circoli sovversivi dell’emigrazione italiana. È sicuramente questa scuola di vita che forgia il suo carattere barricadero, generoso e ribelle e che, allo scoppio del conflitto mondiale, lo conduce, al pari di molti sindacalisti rivoluzionari a fare ritorno in Italia per arruolarsi -assieme ai fratelli- nella guerra contro gli imperi centrali. Partito come soldato semplice, durante il conflitto mondiale, raggiunge il grado di tenente del battaglione Studenti degli Arditi. Decorato con tre medaglie al valor militare, nel dopoguerra è uno dei fondatori dell’Associazione tra gli Arditi. Nel luglio 1919 pianifica, di concerto con elementi anarchici e repubblicani, un tentativo insurrezionale che dal Forte di Pietralata si sarebbe dovuto estendere ai quartieri popolari della capitale. Ma il piano fallisce e i congiurati arrestati. Secondari riesce a sfuggire alla cattura e dopo un breve periodo di latitanza sui monti vicino Bevagna viene arrestato mentre cerca di espatriare in Svizzera. Grazie ad un’amnistia, torna libero nel marzo del ‘20. Due mesi dopo, in maggio, è il principale promotore, in seno alla sezione romana dell’Ass. Arditi, dell’espulsione dal direttivo degli Arditi legati alle correnti politiche d’ordine e reazionarie (fascisti e nazionalisti). A più riprese S. cerca di far scendere in piazza gli Arditi romani al fianco dei lavoratori in occasione delle agitazioni del “Biennio rosso” ma nel complesso i suoi tentativi falliscono. Secondari si dimette da ogni carica direttiva. La sua figura riemerge prepotente dalle ceneri dell’arditismo l’anno successivo, nel pieno dilagare dello squadrismo fascista. È infatti Secondari che, di concerto con gli Arditi Piccioni e Baldazzi, legati ad un’altra associazione la “Fratellanza tra gli Arditi d’Italia” e l’anarchico interventista Attilio Paolinelli fonda, negli ultimi giorni del Giugno 1921, gli Arditi del Popolo: la prima milizia paramilitare della classe operaia Estromesso, nell’ottobre dello stesso anno, dall’associazione da lui stesso fondata, a causa dei dissidi con l’ala dell’organizzazione legata ai partiti e alla politica, Secondari cerca, senza riuscirvi, di raccogliere nuove forze attorno ad un nuovo progetto di milizia antifascista. Nell’ottobre del ‘22, nei giorni della marcia su Roma, Secondari viene aggredito sotto casa da una squadraccia di fascisti, tutti armati di bastone. Nella lotta furibonda egli, coraggioso ma solo, viene più volte colpito alla testa da violente bastonate. Dall’aggressione non si riprenderà più. Trasferitosi col fratello a Camerino, nel 1924 viene internato dalle autorità fasciste nel locale manicomio criminale. Traferito, in seguito, in quello di Montefiascone e, definitivamente, in quello di Rieti. Sepolto dalla vendetta dello stato fascista tra le mura del sanatorio della cittadina laziale, Secondari trova la morte, dopo 17 anni di internamento coatto, il 17 marzo 1942.(Fonte P.S.)

Le lacrime dell’indiano sono vere, le canzoni le piangono per tutti i Geronimo e gli eroi della storia. Loro non avrebbero pianto. Così noi piangiamo per loro.

Come tributo a Ivan Della Mea i Del Sangre hanno scelto non a caso un eroe operaio: SEBASTIANO. Le canzoni di Della Mea facevano da colonna sonora alle proteste degli studenti e degli operai e parlavano una lingua diretta, al punto da introdurre naturalmente e felicemente i comizi più partecipati e le manifestazioni più intense. Ivan ha cantato, scritto, parlato la politica e le lotte, ma soprattutto i sentimenti, i rapporti che a quelle lotte davano, e se non vogliamo farlo morto, daranno ancora un senso.

Sebastiano l’operaio

il terrone da catena

licenziato stamattina

e stasera alla fontana

Accusato di violenza

contro i capi, terrorista,

perché oggi chi picchetta

quanto meno è brigatista

   VIVA LA FIAT

Licenziato con sessanta

che con lui fa sessantuno

tutti quanti terroristi

mentre il terrorista è uno

Terrorista è chi ci nega il diritto alla ragione

alla lotta per la vita

contro la disperazione

     VIVA LA FIAT

Controllare le assunzioni

poi schedare il personale

concordare pseudo-lotte

e alla fine licenziare

Incastrare il sindacato

ingolfare la sinistra

è il progetto dichiarato

del padrone terrorista

   VIVA LA FIAT

Col sorriso doppiopetto

il fumeè – democrazia

la mattia ci licenzia

e poi svelto corre via

Lo ritrovi in Quirinale

“Anche questa è una scelta”

per mostrare al presidente

la sua nuova Lancia Delta

Una lancia per lo stato

nato dalla Resistenza

o per la Costituzione

certo contro la violenza

Di sessanta Sebastiano

il terrone terrorista

perché oggi chi picchetta

quanto meno è brigatista

Liquidato con sessanta

che con lui fa sessantuno

tutti quanti terroristi

mentre il terrorista è uno

L’estrema umanità di queste canzoni non fa che confermare la validità di questo lavoro e dei suoi autori, in storie toccanti e spietate, dove l’animo umano, vagliato in profondità, viene messo a nudo, anche questo, in un contrasto tra gioventù e vecchiaia, tra l’amaro sapore del ricordo e la consapevolezza del tempo perduto, tra l’insensibilità, che purtroppo ci circonda, ed il sottile velo che separa la realtà dal fantasioso e sognante mondo interiore dell’uomo. Credo che sia giusto ascoltare questo album. La netta suddivisione tra il bene ed il male, tra il buono ed il cattivo, tanto difficile da riconoscere nel nostro tempo piuttosto ipocrita, ci tranquillizza, è la nostra fortezza della solitudine, uno dei nostri ultimi conforti.

SCARPE STRETTE   *****

C’è chi piange troppo per sperare

che forse un giorno sorriderà

e chi spera troppo per pensare

che quel giorno non piangerà

È una scelta vivere o morire

testa o croce prendere o lasciare

chiedi al sangue che ti ha dato un nome

quanta vita ancora puoi versare

Mio padre sicuro, mi tiene per mano

l’inferno non brucia, il passo è deciso

la prima scopata, bicchieri di vino

polmoni bruciati, non sei più un bambino

Ti guardi allo specchio, i solchi sul viso

e quanto hai pagato ti ha tolto il sorriso

Ti accorgi di colpo che la strada è sterrata

Le scarpe più strette di quelle che avevi,

quando sei partito…

C’è chi un tempo ha scelto di fuggire

e chi ha scelto di morire qua

Chi ha lasciato lacrime di sale

su autostrade senza un’anima.

È una sfida a chi corre più forte

auto truccate lanciate in corsa

Il traguardo ai cancelli del cielo

Un traguardo tagliato a forza…

 

 Autrice articolo

Gloria Berloso

Gloria Berloso

febbraio 29, 2016

Una canzone può cambiare la sorte di una persona?

Nella storia della musica ci sono molte canzoni che hanno segnato l’esistenza dei loro autori. Cercherò di ricordarne alcune che hanno avuto riscontro in una parte di pubblico soprattutto giovanile, sensibile e pacifista.
Senza andare in ordine nel tempo ma riferendomi agli anni sessanta e settanta, mi vengono in mente le canzoni che maggiormente sono entrate nel cuore e nella mente di milioni di persone in tutto il mondo e non sono più uscite. Naturalmente mi riferisco a quei brani che in maniera decisa si scontravano con il pensiero politico, la guerra, il razzismo, la libertà di pensiero.
Tutti sappiamo che i maestri, allora censurati, combattuti, perseguitati sono stati ancor prima degli anni sessanta, Woody Guthrie e Pete Seeger. E proprio da una ballata di Arlo Guthrie, figlio di Woody che vorrei partire. La canzone, lunga 18 minuti, racconta la storia vera di Arlo, arrestato nel novembre del 1965 in un centro di reclutamento a Manhattan, dopo una visita psichiatrica per verificare i requisiti militari e la capacità conseguente di uccidere bambini, violentare donne e sterminare interi villaggi.

Arlo Guthrie

Arlo Guthrie

La canzone è naturalmente Alice’s Restaurant scritta nel 1967 e alla quale si ispira l’omonimo film del 1969 di Arthur Penn, che diventa molto popolare tra i figli dei fiori ma anche un punto di riferimento, per il dialogo, la libertà e la fraternizzazione. Per chi non lo sapesse il ristorante si trovava in una chiesa sconsacrata di Great Barrington nello stato del Massachusetts.
Un’altra canzone che dovrebbe essere riascoltata spesso e nel tempo è sicuramente Ohio, scritta da Neil Young e pubblicata come singolo nel 1970 da Crosby, Stills, Nash & Young. Il brano racconta quanto avvenuto nel campus della Kent University nello stato dell’Ohio il 4 maggio 1970, quando la Guardia Nazionale sparò ad altezza uomo contro i manifestanti, uccidendo quattro studenti. Il governatore d’allora ne chiese l’immediata censura ritenendola un incitamento alla violenza. Forse molti non sanno che la Guardia Nazionale era una forza militare di riserva e fu utilizzata proprio negli anni sessanta e settanta contro le manifestazioni studentesche. Alla Guardia Nazionale facevano soprattutto parte i figli privilegiati di una ben determinata classe sociale e in questa maniera non venivano arruolati nell’esercito in partenza per il Vietnam.


Young affermò nelle note interne dell’antologia Decade del 1976 come i disordini alla Kent State University fossero stati “probabilmente la più grande lezione mai ricevuta circa la violazione dei diritti civili su suolo americano”, e ricordò che David Crosby pianse quando finirono di registrare il brano.
Dopo questa canzone, il movimento statunitense di controcultura considerò C.S.N.Y. dalla propria parte, dando ai quattro musicisti lo status di leader e portavoce delle istanze libertarie del movimento contestatario per tutto il decennio successivo.
Un’altra canzone scritta per diretta esperienza della sua autrice Joan Baez, è Where Are You Now, My Son? Una chiara e netta denuncia alle bombe sganciate dai suoi connazionali nel dicembre 1972 ad Hanoi. Le urla di una madre che sembra canti mentre dice I miei figli, i miei figli, dove siete ora figli miei? I suoi figli erano da qualche parte, in una tomba di fango e lei come un vecchio gatto li cercava dove li aveva visti prima delle bombe.
Questa canzone e la registrazione diretta sul luogo del massacro provocarono una reazione tale nella destra statunitense tanto che Joan Baez già perseguitata per anni, e incarcerata nel 1967 dove partorì suo figlio nel 1969, continuò ancora di più il suo impegno contro la guerra.

JOAN BAEZ

JOAN BAEZ

Nel 1969 uscì un album con una ballata che occupava tutto il lato B del disco. S’intitolava Monster e fu considerato un capolavoro assoluto degli Steppenwolf, gruppo formato da John Kay (voce) e da Jerry Edmonton (batterista). Anche questo brano era lungo venti minuti circa e ripercorreva la storia degli Stati Uniti con l’arrivo dei profughi religiosi che rubavano la terra ai nativi per costruire la grande nazione e raccontava degli abusi, della corruzione, della guerra civile.
La musica di John Kay ha sempre avuto un sottofondo di coscienza sociale. Da ragazzo fuggì dalla Prussia Orientale con la madre e successivamente seguì la strada del Rock’n’roll mentre ascoltava la radio delle forze armate degli Stati Uniti nella Germania Ovest. Queste prime esperienze lasciarono un segno indelebile su Kay e aprirono la strada ad un impegno per la musica potente e testi significativi. Questo impegno fu cementato nel 1965, quando Kay partecipò ad un seminario di canzoni d’attualità al Newport Folk Festival con Bob Dylan e Phil Ochs. La musica degli Steppenwolf diventò la colonna sonora della guerra del Vietnam e Monster l’inno dei manifestanti.

Steppenwoolf

Steppenwoolf

Un’altra canzone che segnò la vita di John Lennon, componente dei Beatles e baronetto inglese, fu sicuramente Give Peace a Chance nel 1969. Il brano che divenne un messaggio universale di milioni di persone in ogni parte del mondo, cantato nelle manifestazioni pacifiste assieme alla già celebre We Shall Overcome. La vita di Lennon dopo lo scioglimento con i Beatles e il trasferimento negli Stati Uniti cambiò radicalmente. Costretto nel nuovo paese per i suoi ideali politici, iniziò proprio con questa canzone ed in seguito con Imagine e molte altre, una crociata pacifista contro la guerra in Vietnam. Iniziò inoltre a difendere i musicisti dai predoni delle case discografiche aderendo al Rock Liberation Front, a solidarizzare con Le Pantere Nere, a partecipare ai raduni, a deprecare la repressione violenta nelle carceri con la canzone Attica State, a condannare il colonialismo britannico nell’Irlanda del Nord. Con Yoko Ono condusse una battaglia assolutamente storica ma ebbe vita molto dura dato che fu spiato fino alla sua morte avvenuta nel dicembre del 1980 ad opera di un pazzo che gli ha sparato. Naturalmente questo omicidio resta ancora oggi una incognita per il semplice fatto che Lennon fu sorvegliato a vista, ottenne la cittadinanza americana nel 1975 dopo una prova di forza con le autorità che nel 1973 gli intimarono di allontanarsi dal paese.

John Lennon

John Lennon

Una canzone che cambiò la vita al suo autore fu nel 1969 Le Métèque, tradotta in italiano da Bruno Lauzi con l’assistenza del suo autore Moustaki stesso che l’italiano lo parlava in casa da piccolo, essendo la sua una famiglia di ebrei sefarditi originari di Corfù, isola greca ionica dove però l’italiano era lingua corrente e storica. Métèque in italiano si traduce con meticcio. Nell’antica Atene i meteci erano gli stranieri greci residenti nelle città dell’Attica per un periodo determinato. Questi stranieri erano obbligati a iscriversi ad una lista, avere un protettore e pagare una tassa. Nella tripartizione delle classi, i meteci stavano in mezzo tra i cittadini e i non liberi.
George Moustaki con questa canzone volle rispondere ad una amica che lo aveva chiamato appunto métèque, non riconoscendolo francese puro ovvero immigrato. La canzone quindi nascondeva un significato profondo, diventò un inno all’essere straniero con la semplicità delle parole al fine di farsi capire meglio alla donna che lui desiderava.
Nacque un capolavoro.
Moustaki aveva la gran dote dell’intelligenza e dell’equilibrio e continuò rigorosamente la sua strada senza scendere a compromessi ideologici e commerciali, non preoccupandosi di scontentare coloro che lo avevano esaltato, per seguire solamente il suo istinto, la sua vena.
Ancora oggi la maggior parte della gente ricorda Lo Straniero:

Geoge Moustaki

George Moustaki

CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
SONO SOLTANTO UN UOMO VERO
ANCHE SE A VOI NON SEMBRERA’
CON GLI OCCHI CHIARI COME IL MARE
CAPACI SOLO DI SOGNARE
MENTRE ORAMAI NON SOGNO PIU’
META’ PIRATA META’ ARTISTA
UN VAGABONDO UN MUSICISTA CHE RUBA
QUASI QUANTO DA’
CON QUESTA BOCCA CHE BERRA’
DA OGNI FONTANA CHE VEDRA’
E FORSE MAI SI FERMERA’
CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
HO ATTRAVERSATO LA MIA VITA
SENZA SAPERE DOVE ANDARE
È STATO IL SOLE DELL’ESTATE
E MILLE DONNE INNAMORATE A MATURARE LA MIA ETA’
HO FATTO MALE A VISO APERTO
E QUALCHE VOLTA HO ANCHE SOFFERTO
SENZA PERO’ PIANGERE MAI
E LA MIA ANIMA SI SA
IN PURGATORIO FINIRA’
SALVO UN MIRACOLO ORAMAI
CON QUESTA FACCIA DA STRANIERO
SOPRA UNA NAVE ABBANDONATA
SONO ARRIVATO FINO A TE
E ADESSO TU SEI PRIGIONIERA
DI QUESTA SPLENDIDA CHIMERA E
DI QUESTO AMORE SENZA ETA’
SARAI REGINA E REGNERAI
LE COSE CHE TU SOGNERAI
DIVENTERANNO REALTA’
IL NOSTRO AMORE DURERA’
PER UNA BREVE ETERNITA’
FINCHE’ LA MORTE NON VERRA’
IL NOSTRO AMORE DURERA’
PER UNA BREVE ETERNITA’
FINCHE’ LA MORTE NON VERRA’

In questo articolo ho descritto le mie conoscenze personali nell’intento di risaltare un contenuto sociale ancora indistinto, da trovare e ricercare in certi momenti per uscire dal groviglio psicologico della mia educazione mai sinceramente definita per posarsi su constatazioni di sofferenze umane e di dolore.

Gloria Berloso

Gloria Berloso

febbraio 6, 2016

Chiude Ghiaccio Bollente. Carlo Massarini racconta la sua straordinaria esperienza.

La musica non nasce per caso e non è fine a sé stessa. Le sue radici sono nella vita dell’uomo e nella società in cui questi vive. Esistono periodi di tempo nella storia della musica che non hanno solo nomi, ma anche una immensa biblioteca ed esigono un particolare senso nel tempo. Le difficoltà che inevitabilmente si trova davanti chi è sprovvisto di cultura in questo campo non così familiare a tutti, frenano generalmente il naturale desiderio di conoscere e di capire, benché le prospettive che così si aprono meritino la più intensa partecipazione dell’intelletto, e l’esperienza piuttosto insolita di scoprire che una storia anche in settori della vita apparentemente statici e, in confronto al nostro divenire umano, del tutto esenti da ogni forma di mutamento, ingenera e giustifica una certa perplessità. Ma le possibilità che si offrono sono considerevoli. Le successive trasformazioni della musica, che tutti noi oggi conosciamo con una certa precisione, costituiscono un discorso storico che può essere ricollegato con l’epoca storica, nel significato comune del termine. In questo campo le grandezze assolute restano sempre le costanti fondamentali. Oggi le nostre conoscenze sono molto più estese di quelle delle passate generazioni, anche nel campo della musica, ma queste conoscenze si imperniano sulle nostre capacità di riflessione e di associazione, senza le quali non sarebbero comunicabili né d’altra parte accessibili al nostro intelletto in modo diverso da prima. La comunicazione a onde cerebrali e vibrazioni sonore sono un veicolo di possibilità d’incontro fra chi scrive musica e chi l’ascolta. La musica e le canzoni però devono avere un ruolo sempre essenziale nella società e non si possono liquidare semplicemente ascoltando in cuffia suoni distorti; le emozioni che una canzone comunica si possono percepire molto di più a un concerto e comunque da registrazioni effettuate con veri strumenti musicali. Il suono e la voce sono elementi essenziali per esprimere al meglio quello che vogliamo e desideriamo comunicare.
La musica è sempre riuscita a far comunicare tutti coloro che cercano la libertà, che sono contro la guerra, i fili spinati, le barriere, lo stato di polizia violenta. La lotta è sempre al centro dell’attenzione quando a farne le spese sono i più poveri, i più sfortunati e chi desidera solo la pace. La gente sta sempre con la massa, la gente teme la diversità, soprattutto culturale; la gente esalta la violenza con la quale pensa di esercitare un potere sugli altri e respinge la bellezza diversa, il colore, l’incrocio. Se guardiamo l’arcobaleno, è formato da vari colori, nessuno di essi prevale sull’altro e sono tutti belli. È così che dovrebbe essere la gente, dovrebbe brillare sempre con i suoi colori, i suoi incroci e rispettare la libertà di tutti. L’arcobaleno forma un arco che tocca la terra, il mare ed il cielo ed insegna a tenerci per mano e a percepire anche il vuoto riempito d’aria, quell’aria che tutta la gente deve respirare per continuare a vivere.
Dal nostro immaginario peschiamo le parole per trasmetterle alla gente che non smette mai di formare un mezzo cerchio esattamente come l’arcobaleno. La gente ha i suoi colori quando ti circonda, incrocia le braccia quando sceglie la pace; la gente sa ch’è giusto essere libera d’ascoltare e di capire, solo così la diversità può essere annullata.
Carlo Massarini, ha continuato ad esprimere la sua passione di comunicatore, la sua vocazione di trasmettere al grande pubblico arte e conoscenze che sono il patrimonio o l’esperienza solo di pochi. In uno strano meccanismo la direzione RAI ha deciso con una semplice comunicazione di chiudere l’eccellente (ed unica nel suo genere) trasmissione Ghiaccio Bollente su RAI 5, ideata da Paolo Giaccio e condotta da Massarini. Il mio sconcerto come quello di chi ascolta la radio e la televisione per seguire concerti importanti e in modo esclusivo la musica, è visibile. Si sono elevate numerose proteste e critiche da parte di giornalisti, dal popolo del web e dai musicisti. È evidente che la nuova classe dirigente RAI la musica non la “sente” o forse c’è qualcosa di ancora più inquietante nei corridoi del palazzone?
In una intervista esclusiva di Alberto Marchetti, il conduttore Carlo Massarini risponde alle sue domande e chiarisce molti aspetti interessanti di questo sistema.
Gloria Berloso

Carlo Massarini

Carlo Massarini

• Proprio in questi giorni si parla di una sospensione di Ghiaccio Bollente, magazine in onda in seconda serata su Rai 5, l’unica trasmissione rimasta sulla buona musica di ogni genere, l’unica capace ancora di informare su un universo culturale tagliato completamente fuori dai palinsesti. Una brutta notizia che ha scatenato il web, con una petizione on line che ha raccolto in pochi giorni migliaia di firme.
A – Ciao Carlo, parlami di Ghiaccio Bollente.
Ghiaccio Bollente è stata un’idea di Paolo Giaccio, l’ultima idea prima di andare in pensione, a lui si deve l’intuizione di Mr Fantasy, è stato lui a volerla, Rai 5 ci ha concesso questo spazio, uno spazio interessante perché è una specie di Stereonotte televisivo. Non era mai successo che ci fosse musica da mezzanotte circa fino alle 5 del mattino, musica di ottima qualità, in maniera così organica, strutturata, tutte le notti, con una programmazione che puoi sapere in anticipo in modo da scegliere cosa vedere, seguire, registrare, con materiali sonori più o meno rari dalle teche rai, e anche di acquisto. Su questo abbiamo aggiunto il magazine con l’ora settimanale di materiale prodotto da noi, lì ho cercato di fare un’operazione di storicizzazione e narrazione, la cosa più interessante che ora si possa fare, raccontare delle storie, raccontarle bene, con dovizia di particolari, con notizie e filmati d’epoca.
È un po’ il lavoro che sta facendo Buffa per il calcio, Lucarelli per la cronaca, io ho cercato di raccontare soprattutto le storie di persone evidentemente poco conosciute in Italia, come alcuni bluesmen, a partire da B.B. King, Hawling Wolf, Chuck Berry, Muddy Waters, gli Staples Singers, e anche alcune storie di rock come a esempio quella di Winwood dei Traffic, storie di rock che sono radicate nel mio dna prima ancora che nel mio cuore; quindi monografie di grandi come David Bowie, Brian Ferry, oppure una serata molto bella, intensa, lunga, tutta dedicata a Lou Reed. Insomma, arrivati a questo punto della storia del rock, magari anche solo per un fattore generazionale, più che impazzire per le nuove band, che francamente mi lasciano quasi sempre un po’ così, mi sono dedicato al racconto di band epocali del passato.
Ci sono naturalmente molti artisti interessanti come gli Arcade Fire, Kamasi Washington è un artista interessante, amante della contaminazione, a lui abbiamo dedicato spazio proprio da poco, ma in generale poche produzioni sono storicamente all’altezza di altri decenni passati. Anche questo potrebbe non voler dire nulla, diciamo allora che è proprio un mio sentire, per me Jackson Browne rappresenta molto di più di cantori del nuovo decennio.
Ma non siamo sordi a quel che di buono arriva da produzioni anche indipendenti, e abbiamo promosso, nell’ultimo semestre, i dischi del mese, mettendo in risalto proprio questo genere di musica, uno spazio certo non immenso, alla fine presentiamo 9 dischi per 3 minuti a testa, mettendo quei dischi, belli e sorprendenti, che spesso è molto difficile scovare, scoprire, a meno di lanci improvvisi. Per esempio di jazz abbiamo presentato l’album “Mockroot” di Tigran Hamasyan, che è un album di grande spessore, ricco di contaminazioni, abbiamo consigliato Charles Lloyd, il vecchio sassofonista che riportò in scena Michael Petrucciani, poi album rock molto particolari, cantautori meno ascoltati ma non per questo minori, quasi impossibili da trovare per un ascoltatore normale, e ti dico Father John Misty o Iosonouncane con uno dei migliori album italiani dell’anno.
Se non leggi le riviste settoriali, o se non sai cosa cercare nel mare di internet, se non incroci le informazioni, come puoi scovare cose tanto nascoste? Se uno fa un programma deve farlo come lo vorrebbe vedere da ascoltatore, per lo meno io ho sempre la curiosità di sentire cose belle lontane dai soliti suoni, diverse nell’intenzione e nel modo. È un paradosso, lo so.

Per voi giovani 1971

Per voi giovani 1971

Quando eravamo ragazzi noi, mi ricordo, se amavi i Traffic e volevi ascoltare un loro brano dovevi comprare le riviste, cercare le tue informazioni, chiedere in giro, parlare con gli altri appassionati; adesso che l’informazione è totale, ora che puoi sapere tutto di tutti perché hai internet, Wikipedia, i social, Amazon, in questo di tutto su tutti, su così tante persone, si capovolge il problema, e più che mai serve una guida per districarsi in questo arcipelago sconosciuto. Ho realizzato quindi questa rubrica proprio perché mi immedesimo in un ascoltatore medio alla ricerca di cose che valgono, di sorprese, di emozioni sempre più rare nel già sentito di tutti i canali fotocopia.
Poi abbiamo avuto quest’idea delle interviste approfondite, che non sono quelle stereotipate del tg, interviste che rivelano fatti originali, curiosità, il coinvolgimento emotivo dell’artista, dove c’è chi ride, chi si arrabbia, mostrando l’uomo oltre l’artista.
E ancora c’è la storicizzazione, perché i ragazzi di oggi sanno poco delle radici, del percorso che ha portato ai loro attuali beniamini, perché non sanno come andare indietro, quali percorsi seguire, non c’è spesso tempo, voglia o competenza per risalire un fiume che non ha un solo ramo ben definito, ma mille rivoli paralleli e spesso confluenti o divergenti. Io per esempio ho avuto una botta di blues una quindicina di anni fa, ho iniziato ad acquistare molti album del genere, sono tornato pian piano alla visione d’insieme, fino a comprendere buona parte della complessità. Come tutti sono preso dalle mie passioni, quella volta per esempio a quarant’anni, e prima avevo avuto innamoramenti per altri generi, sempre alla ricerca di una sorta di guida, oltre quello che si riesce a trovare da soli, perché hai bisogno di qualcuno che ti descriva le strade che poi puoi anche scegliere di non seguire. Ma le sai. La storicizzazione credo sia fondamentale per mettere tutto in prospettiva, per capire il valore di ciò che è accaduto in passato e comprendere meglio il tratto musicale contemporaneo.
A – Ho avuto modo di vederti su palchi importanti nell’ultimo anno, a L’Aquila per esempio, o a Roma per gli aiuti al Nepal.
Come si fa a dire di no richieste del genere? Mi sono sembrate iniziative nobili, degne di nota fin dall’inizio, fare il presentatore di grandi palchi non è esattamente il mio mestiere anche se l’ho fatto più di qualche volta. A Roma per esempio, per il Namaskar for Nepal (24 settembre 2015), la serata era costruita bene, eclettica, non solo rock, non solo jazz ma musiche molto diverse, a volte addirittura opposte, tutte comunque di qualità, fatte da persone di grandi capacità, evidentemente anche con un grande cuore perché comunque venire a proprie spese un po’ da tutta Italia è stato, come dire, sicuramente un bel gesto da parte di tutti quei musicisti. Ho trovato che molte delle persone che suonavano, molti dei musicisti che ho presentato io non li conoscevo neanche, prendi Jaka, o il sorprendente Joyeaux, i Bandabardò li conoscevo poco, però la cosa bella è che si è creato un clima fantastico, non solo sul palco ma anche nel retro, tutti erano contenti di esserci, nonostante la pioggia, nonostante la poca voglia della gente di rischiare, di mettersi in macchina con un tempo così incerto, però c’era un grande piacere, e anche un filo di orgoglio nell’essere lì, prima, nell’esserci stati, poi. Tutti disposti addirittura a tornare, così si diceva nel retro palco, concordi, perché era stato davvero peccato fosse stata fatta una cosa così bella per così poca gente. È segno che la cosa è piaciuta, non solo da un punto di vista musicale ma proprio da un punto di vista di spirito.
Credo si rifarà. Ovviamente bisognerà trovare una nuova data in cui tutti o la maggior parte degli artisti presenti saranno liberi, trovare una sala a Roma, chiusa, che abbia dei costi ragionevoli, perché l’auditorium sarebbe perfetto, ma purtroppo è carissimo. Quindi c’è un insieme di cose da cercare, da valutare, è una congiunzione rara quella di una serata come questa passata, una congiunzione che va evidentemente ritrovata, si, c’è tutta la voglia e il piacere di ripeterla.
A “Il Jazz Italiano per L’Aquila” (6 settembre 2015) sono stato invitato da Luciano Linzi e Paolo Fresu, era un po’ un paradosso, io lavoro per Rai 5, e per questa iniziativa per Rai 5, la mia struttura produttiva, la richiesta mi è giunta dall’esterno. Mi sono sentito onorato, conoscevo molti dei musicisti presenti, alcuni erano stati anche ospiti su Ghiaccio Bollente, ma avere una sorta di investitura da parte dei jazzisti italiani mi è sembrata una cosa davvero emozionante, bella, mi sono divertito a farla, ho sentito musiche che non conoscevo, tutte comunque straordinarie, non solo sul palco principale la sera ma anche andando in giro per la città. È stata una giornata davvero memorabile, non si era mai riunito tutto intero l’universo del jazz, intorno a una iniziativa nobile, evidentemente questa de L’Aquila è una motivazione molto forte, un po’ come per il Nepal per certi versi, una città a solo un centinaio di chilometri da Roma ferita da un terremoto violento, che fa fatica a riprendersi e dove soprattutto fa fatica a rinascere una vita culturale che c’era sempre stata.
Vedere 40.000 persone, come si è detto, sciamare per L’Aquila, riprenderne possesso, reimmettendo emozione, cultura, sentimento, è stata una vera gioia. Ho fatto un giro nel pomeriggio, ed era intrigante questo viaggiare da un concerto all’altro, sorridendo, lasciandosi trascinare dai flussi e dalle musiche, con i musicisti che si ritrovavano in mezzo alla folla, con le marching bands a rallegrare le vie piene di impalcature, e poi ti ritrovavi vicino a Trovesi, oppure alla Marcotulli, in uno scambio emotivo intensissimo.
Forse nessuno si aspettava tanto afflusso, ma in certe situazioni qui devi sempre essere molto cauto, non ne ho parlato con loro, ma immagino, si organizza una cosa bella, e lo sai che è bella, sai che arriverà tanta gente, ovvio, però è la prima volta, quanta gente arriverà? L’Aquila è un posto relativamente piccolo, la gente deve partire da Roma, Pescara, evidentemente c’è stato un richiamo molto forte, quindi si, ti aspetti che al concerto della sera ci sia gente ma hai sempre l’incognita della prima volta. Ebbene, c’è stata sicuramente più gente di quella che si aspettavano, da una previsione di ventimila ne sono arrivate il doppio, quelle che sono mancate sono le strutture del posto. Essendo una città con un centro storico non pienamente funzionale sono mancati i luoghi dove rifocillarsi, l’anno prossimo sapendo già la dimensione dell’affluenza la città si organizzerà sicuramente meglio. A noi portarci un maglione e una giacca a vento per non soffrire il freddo. L’Aquila non è Roma.
A – Dal punto di vista delle informazioni e della capacità di farsi guida, penso che Mr Fantasy sia stato un programma davvero epocale.
Si, la cosa nuova giusto al momento giusto, mettiamola così, la prima trasmissione al mondo a trasmettere video musicali, una grande intuizione di Paolo in un momento molto creativo, erano finiti gli anni settanta che erano stati anche loro anni creativi certo, ma anche anni molto difficili, gli anni di piombo, non c’erano più i concerti, la musica era stata sacrificata, la musica era importante ma faticava a ritrovarsi, si viveva un momento molto cupo, teso. Poi a contrasto sono arrivati gli ottanta che come spesso capita erano esattamente il contrario, colorati, anche frivoli, leggeri, ma anche di grandi contaminazioni, entrava prepotente l’elettronica, si allargava la world-music nel rock, il rock ampliava enormemente le sue sonorità.
Mr Fantasy (1981 – 1984) è stato un programma nato sull’onda di quel momento creativo, Milano stava vivendo anni di grande vitalità, di grande fermento, intorno alla scuola di architettura che si chiamava Menphis, dove lavoravano Mendini, Sottsass, grandi designer che hanno dato un impulso eccezionale al design italiano, e noi ci siamo trovati lì, con questa idea in mano, quella di una trasmissione incentrata sui videoclip, ai quali aggiungere i nostri, una serie di videoclip prodotti direttamente da noi, altra idea geniale, che ci proiettò subito avanti, molto più avanti di tutto quello che c’era in giro, che nel tempo ha un po’ lasciato il concetto di video solo musicali per diventare poi un programma di videoteatro, animazione, trasformando il video clip come forma breve di racconto compiuto, un punto di riferimento per tutti quelli che volevano fare danza, teatro, pubblicità, videoarte, e noi siamo stati in quegli anni al centro di questo movimento visivo, l’abbiamo anticipato e poi raccontato, fatto vedere.
È un programma durato relativamente poco, solo quattro anni, ma è un programma che proprio perché nato nel momento giusto, con la formula giusta, era tutto al suo posto, c’era un fantastico designer televisivo, Convertino, che utilizzando il cromakie e quest’idea di uno studio tutto bianco, l’iperspazio lo chiamavamo, dove entravo da un tunnel a marcare il cambio dimensionale, c’erano questi videoclip prodotti da noi che nella loro ingenuità primigenia permisero a tanti artisti di avere visibilità e un seguito.
Fummo noi a interrompere la programmazione, la Rai si era trovata in mano questa trasmissione nata un po’ di nascosto, quasi un programma del sottoscala, costava poco, ce l’avevano fatto fare senza sapere esattamente la forza di quella creazione, senza immaginare dove saremmo andati a parare.
La cosa poi ha funzionato e naturalmente erano tutti contenti, ma la fermammo noi, perché eravamo convinti in quel momento di poter lasciare il campo del video che aveva ormai dilagato, ce l’avevano tutti, ogni tv commerciale riempiva i palinsesti di video, non avevamo più quella sensazione di essere esclusivi anche sulle grandi prime uscite, avevamo poi altri progetti in cantiere, ci sentivamo molto creativi. Eravamo convinti delle nostre idee, fino ad abbandonare la trasmissione in fase alta, mentre era ancora un programma di culto.
Ripartimmo subito con Non Necessariamente (1986), che era un progetto di viaggi immateriali, precorreva internet, c’era la memoria, il computer, questa rete che catturava, si viaggiava in un mondo virtuale attraverso una mappa, un browser, una grande intuizione anche lì, forse non supportata dalla necessaria esperienza, troppo complessa dal punto di vista tecnologico, troppo visionaria, per la produzione richiedeva mesi e mesi di preparazione, e si sa che le cose troppo complesse poi diventano ostiche, il pubblico alla fine non si ritrovò. Ma sono orgoglioso d’averla fatta, a guardarla adesso è certo un filo datata, ma i mezzi erano davvero elementari a confronto con quelli contemporanei, si faceva in un pomeriggio di post produzione quello che oggi un ragazzo fa in mezz’ora col proprio pc, ma dal punto di vista concettuale, di ideazione, ancora oggi è un programma molto avanti.
Oggi programmi così la Rai non li farebbe proprio, non c’è più il piacere della sperimentazione, oggi la Rai punterebbe a programmi dal budget ridotto e dal massimo ascolto possibile, già allora fu possibile realizzare quel programma solo per l’onda di entusiasmo generata da Mr Fantasy, chiunque altro avrebbe ricevuto risposta negativa. Eravamo al posto giusto nel momento giusto, le circostanze erano favorevoli.
Mediamente (1995 – 2002) è stata un’altra grande intuizione, questa volta di Renato Parascandolo, che conoscevo come collaboratore di Per voi giovani, in radio, era quello impegnato socialmente e politicamente, di quelli che andavano nelle fabbriche a intervistare gli operai, consapevoli che col digitale stesse arrivando una nuova rivoluzione non solo nella comunicazione, era il 1994, internet non era ancora nulla, forse c’era qualche motore di ricerca rudimentale, fu un altro momento chiave per la creatività per chi aveva la giusta visionarietà, e invece che prendere esperti informatici ci avvalemmo di studenti in filosofia, quindi capaci di leggere meglio le ricadute della tecnologia sulla società, altra idea geniale.
A – Quali musicisti ricordi con più piacere?
Bob Marley rimane il più grande, quasi mitologico nel vero senso della parola, Marley era più di un cantante, era un leader spirituale, aveva evidentemente una missione, un uomo dal carisma immane. È stato un incontro bello, emozionante, e nel tempo ci siamo incrociati ancora, nel 1977, poi in Italia nel 1980, la sua presenza fisica e carismatica è la più forte che io abbia mai incontrato. Questo
indipendentemente dalla musica, che trovo comunque fantastica, resta il più grande interprete del roots reggae, e in giro ricordo che c’erano Peter Tosh, i Burning Spear, i Black Uhuru, insomma una scena eccezionale, che riempiva gli stadi, un genere tornato un po’ nella penombra.

Jackson Browne-Carlo-Massarini

Jackson Browne – Carlo Massarini

Poi ce ne sono stati tanti altri, Jackson Browne, di cui tradussi i testi in italiano, con lui ci fu un feeling particolare, era un comunicatore, capace di rendere universali le sue cose, le sue sensazioni, aveva il dono di una poetica di grande afflato pur parlando di sentimenti e sensazioni molto private. Fu una delle mie passioni più forti, era in quegli anni in una fase compositiva straordinaria, penso ad alcune canzoni come “Before the Deluge”, con una forza evocativa unica.

carlo massarini e massimo villa nello studio di popoff

Carlo Massarini e Massimo Villa nello studio di Popoff

A quel tempo erano necessarie operazioni di questo tipo, nei 70 prima di andare in radio (1973 – 1977 Popoff e Radio2 21.29) mi traducevo io i testi delle canzoni per la trasmissione, quelli di Zappa, Mitchell, Coen, Dylan. Allora bisognava tradurre i testi per conoscere gli artisti e i loro messaggi, i testi di quel periodo erano importanti e gli italiani proprio non parlavano inglese, un’operazione quasi didattica, mia e dei miei colleghi, per capire e far capire percorsi e temi. Mi è sempre stata congeniale questa posizione di mezzo tra le cose belle e quelli che le volevano conoscere, coerente con tutto quello che ho fatto, sia per la musica che per la tecnologia. Mi ci trovo a mio agio.

Alberto Marchetti

Alberto Marchetti

 

 

 

 

Intervista a cura di Alberto Marchetti

Gloria Berloso

Gloria Berloso

 

 

Prefazione e pubblicazione a cura di Gloria Berloso

gennaio 11, 2016

Starman David Bowie se n’è andato

Non sapevo che ora fosse, le luci erano basse, mi appoggiai comodamente, ascoltando la radio. Dei musicisti jazz suonavano rock and roll e molto soul, dissero. Poi il suono parve farsi sempre meno forte ritornò come una voce piana in un’onda di fase. Non erano di certo dei disc-jockeys, quelli: era una strana burla cosmica.

In cielo c’è un ultra terrestre, un uomo delle stelle. Vorrebbe venire a farsi conoscere, ma pensa che le nostre menti salterebbero a causa sua. Un ultra terrestre sta attendendo in cielo. Ci ha detto di non sbagliare, perché sa che è necessario. Mi ha detto: “lascia che i bambini perdano, lascia che i bambini facciano, lascia che i bambini ballino”. Sentivo il bisogno di telefonare a qualcuno, così ho chiamato te.

Hey, incredibile, l’hai sentito pure tu?

Se accendi il televisore, può darsi che lo prendiamo sul secondo canale. Guarda fuori la finestra, vedo la sua luce. Se riusciamo a fargli dei segnali, è possibile che atterri questa notte. Ma non dirlo a papà, perché ci chiuderebbe dentro per paura.

Reise ins Labyrinth, Die USA 1986 Regie: Jim Henson Darsteller: David Bowie Rollen: Koboldkoenig Jareth

Reise ins Labyrinth, Die USA 1986 Regie: Jim Henson Darsteller: David Bowie Rollen: Koboldkoenig Jareth

David Bowie, spesso disilluso ha abbandonato varie volte le scene. Il suo animo sensibile e i paurosi esaurimenti nervosi vinti dalla sua creatività lo hanno portato a ritornarci sempre con un gusto ed un culto dell’estetica che pochi artisti sono riusciti ad esaltare al pari suo. Bowie è sempre stato pronto a fare del nuovo, dello strabiliante, del rock che non risentiva delle influenze Dylaniane. Le sue canzoni sono fascinose, provocatorie, eccellentemente ben strutturate dal punto di vista musicale e in netto contrasto con l’ambiente americano. C’è tristezza quando dedica alcune note a Bob Dylan; ammirazione e tanta ironia nelle note dedicate a Andy Warholl; c’è rottura dopo i contrastanti rapporti con l’ex amico Lou Reed con la canzone del travestito Queen Bitch. Bowie è il marziano che diventa il simbolo del neo edonismo inglese con tutta la sensualità di Oscar Wilde, scrittore maledetto e rinnegato di Doryan Gray.

David Bowie 2Dorian Gray è Bowie per il quale il narcisismo Wildiano non può far a meno di tingersi di toni avveniristici. All’estrema fragilità e debolezza del personaggio Bowie non resta che l’ironia, il sarcasmo su di sé e sul suo successo nell’enorme circo che è il rock dove David è il clown, il travestito, il marziano, il cosmico menestrello.

Nel bellissimo disco Ziggy Stardust. uscito negli anni ’70 parla di sé, della sua bellezza, del suo super io, di Doryan Gray, e anche se i loro nomi non compaiono, il brano ne è intriso sino a trasudare gli effetti in un edonismo lampante.

David Bowie non ha mai però imposto nulla al pubblico, lui crea per il pubblico, cerca di provocare la curiosità e l’immaginazione, è libero da qualsiasi mercificazione. Lo ho dimostrato con il suo ultimo video in un letto d’ospedale. Per quanto ogni giudizio sul personaggio Bowie sia azzardato, credo che rimanga uno dei più grandi artisti in cui la comunicatività è spinta al massimo.

Non intendo dare delle indicazioni su cosa ascoltare di David Bowie; credo valga la pena di ascoltare tutto ciò ha creato, non solo la sua ultima opera Blackstar. La sua musica è per dirla con un termine inglese, exciting, una sorta di eccitazione che ne deriva dall’ascoltarla che non è tutta e solo fisica ma va al di là dei cinque sensi, ed arriva ad investire le sfere profonde del nostro cervello.

La sua voce ha sempre avuto una efficacia tutta sua ed un fascino magnetico; sempre modulata con immensa maestria, toccando ora toni bassi e gravi, ora raggiungendo falsetti leziosi e quasi femminili.

Avessi potuto catturare anche una sola goccia di tutta l’estasi che ci pervase quel pomeriggio, poter disegnare quell’amore su di un pallone bianco, e farlo volare dalla cima più alta di tutte le cime che l’uomo ha celato dietro il suo cervello.

Gloria Berloso

 

ottobre 10, 2015

Zeki Çağlar Namlı, l’inventore dello stereo naturale su chitarra e Baglama.

Zeki Çağlar Namlı, è nato nel 1981 a Trabzon ed ha iniziato a studiare musica quando aveva 8 anni; si avvicinò al Baglama quando ne aveva 14 .

Zeki Çağlar Namlı Model Bağlama

Zeki Çağlar Namlı Model Bağlama

Anche se non ha ricevuto un’educazione Baglama molto intensa, è stato in grado di assimilare le tecniche tradizionali e molto abilmente di percorrere una insolita strada combinando nuove tecniche. Nello stesso periodo si è inscritto al Conservatorio Statale di Musica in Turchia.

In questi anni ha riscoperto e ridefinito il Baglama, creando un nuovo stile musicale, che spazia dal jazz alla world music, un nuovo tono di colore e una tecnica particolare.

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Il Baglama è uno strumento a corde usato dai popoli del Mediterraneo Orientale, da alcune regioni dell’Asia Centrale e del Medio-Oriente. Dal turco baglamak significa legare. Molti degli strumenti che in qualche modo assomigliano al Baglama, sono stati trovati negli scavi archeologici in Anatolia tra i cumuli dei Sumeri e degli Ittiti.

Baglama

Baglama

 
Secondo Namlı, la musica è un tutt’uno. Con lo stile sviluppato negli anni di studio, ha creato un sacco di composizioni e ha dato numerosi concerti.

L’invenzione stereo naturale per gli strumenti a corda, iniziata nel 2000 è stata completata nel 2002 e Namlı ha ottenuto il brevetto per questa invenzione. Con questo sistema, che ha applicato su due strumenti, Stereo Baglama e Chitarra Stereo, gli strumenti possono essere ascoltati come in un impianto stereo naturale dove l’ottava musicale si espande ed emerge un nuovo suono che porta anche ad una modifica della tecnica della musica strumentale.

Zeki Çağlar Namlı

Zeki Çağlar Namlı-Album

Il suo primo album, “La Lune”, uscito nel 2006 comprende composizioni strumentali. Mentre le composizioni nell’album più recente (2015) sono già trasmesse da molte radio internazionali, con
lo stereo naturale Baglama; una delle sue composizioni è inserita nei cataloghi degli strumenti innovativi in vari campi. In questi anni ha accompagnato molti artisti in concerti ed dischi, ha preso parte in opere comuni a breve termine. La maggior parte di questi lavori sono stati inclusi negli album di completamento.

Uno di questi è la composizione chiamata “Senden Sonra: all’inizio del disco “Homegrown Istanbul.” Nel 2007, al fine di rafforzare il rapporto tra musica popolare e la musica strumentale, ha creato un programma televisivo concept in un format stile concerto chiamato “Müziğin Diliyle” (con la Lingua della Musica) ed ha iniziato le riprese demo alla fine del 2008.
In questo programma, i musicisti interpretano le immagini di fronte a loro con la Musica, improvvisando.

Nel 2010, ha pubblicato l’album dove duetta con Dominique Di Piazza, un notevole nome nel mondo della chitarra basso.

album
Nel 2012, il programma “Müziğin Diliyle,” (con il linguaggio della musica) e il modo di sviluppare i suoni da lui, ha iniziato ad essere trasmesso. Namlı non ha solo suonato, ma è stato anche il presentatore della programma. Egli ha interpretato le questioni relative alla vita, la musica e
problemi popolari in tutto il mondo, con quasi cinquanta ospiti internazionali.
Finora ha fatto un notevole sforzo per migliorare il potenziale suono, la musica e la tecnica dello strumento che suona e il lavoro è in continuo miglioramento.
In questi anni ha reinventato e ridefinito un nuovo timbro, ovvero una nuova tecnica in larga scala creando un nuovo stile nel mondo della musica jazz.
La musica di Namli è semplicemente unica. Numerosi sono i concerti che Namli ha dato in tutto il mondo.

Con questi strumenti etnici, a parte la musica tradizionale della propria terra, con l’impianto stereo avanzato ed universale, la tecnologia si trova a lottare per l’armonia e la struttura melodica. Questo processo, anche se in ritardo perché si è cercato di superare gli sforzi personali con strumenti etnici, per adattarsi ai tempi degli ultimi sviluppi là dove la percezione della musica, la comprensione universale della musica sta cercando di prendere parte a diverse interpretazioni.

Oggi l’armonia si sposa con le tecniche di improvvisazione delle sfide più importanti nella riflessione di strumenti etnici; conoscenze musicali limitate ed acquisite in precedenza dal musicista, i metodi sbagliati, le teorie, trovano all’interno delle tecniche di suono, la comprensione della musica. In questo senso, i dati scientifici più accurati e l’attuazione di educazione musicale è molto importante: lavorare con il metodo universale di strumenti etnici e uno strumento che in sé non perde nulla della musica tradizionale, ma piuttosto aggiunge.
Questa evoluzione, anche se molto difficile e dolorosa, è essenziale in termini di apertura del fronte allo sviluppo dello strumento e certamente, un giorno diventerà comune.
L’armonia è la musica della natura, Namli è stato il primo a scoprirlo. In questo senso, invece di formazione fornita attraverso una sola decisione, le sequenze principali secondarie e modali si intrecciano, in modo che tutti gli elementi di base della musica tonale, tutte le voci devono essere somministrate all’inizio della formazione sugli standard.

Canım Kızım – Emre Karabulut & Zeki Çağlar Namlı 2015

http://https://youtu.be/N7ib95bdBFU

Autore : Gloria Berloso

settembre 28, 2015

iostoconletartarughe, il libro di Simonetta Bumbi – Riedizione

Prossima Pubblicazione

“EMIGLI EDITORE”

(stavolta ci abbiamo messo il cuore)

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iostoconletartarughe

settembre 16, 2015

Premio Buscaglione Edizione 2015

premiofred_iscrizioni

Dal 15 settembre, sono aperte le iscrizioni al Premio Buscaglione, il concorso a cadenza biennale dedicato alla figura artistica di Fred Buscaglione che nelle prime tre edizioni si è affermato come una delle più interessanti manifestazioni italiane dedicate alla canzone d’autore. Un Premio giovane e dinamico, il primo in Italia ad aver dato la possibilità di iscriversi sul web, gratuito ed aperto a tutti.

Il Primo Premio consisterà in 3000 euro e nella possibilità di esibirsi in 5 dei festival partner della rassegna, il Premio della Critica darà diritto a 1500 euro e alla possibilità di esibirsi in 10 dei festival partner della rassegna, il Premio La Tempesta Dischi consentirà di vedere un proprio brano inserito all’interno della compilation prodotta annualmente della più prestigiosa etichetta indipendente Italiana ed infine il Premio King Kong – Radio 1 consentirà di presentare il proprio progetto all’interno della celebre trasmissione condotta da Silvia Boschero.

La nuova edizione segue di qualche mese la pubblicazione della compilation “Sotto il Cielo di Fred – un tributo a Fred Buscaglione”, realizzata per finanziare il Premio e a cui hanno partecipato, manifestando il proprio sostegno alla rassegna, artisti del calibro di Brunori sas, Dente, Bugo, Lo Stato Sociale, Perturbazione.

Fred Buscaglione

Fred Buscaglione

http://https://youtu.be/WWiO7vQUbPE

http://https://drive.google.com/folderview?id=0B-wvRS5BoH_bQ0tYWEs4R2ZOams&usp=sharing

www.libellulapress.it

ilblogfolk di Gloria Berloso

settembre 16, 2015

Galilei censurato per la prima volta in mostra a Orvieto per la Biennale dell’Eresia

Galilei censurato per la prima volta in mostra a Orvieto per la Biennale dell’Eresia

25, 26, 27 settembre Orvieto, Biblioteca L. Fumi (P.zza Febei 1, Orvieto)
Sidereus Nuncius

Sidereus Nuncius

Il Sidereus Nuncius originale, esposto per la prima volta alla Biennale dell’Eresia #ereticofuturo
Presso la Biblioteca L. Fumi, visibile al pubblico l’originale di uno dei testi più rivoluzionari di tutti i tempi, messo all’indice dalla Chiesa Cattolica nel 1610
Il 25, 26 e 27 settembre 2015, in occasione della Biennale dell’Eresia #ereticofuturo – tre giorni di incontri e scambi a Orvieto per sensibilizzare istituzioni e governatori, intellettuali e produttori sul grande tema dell’Eresia come innovazione, con ospiti del calibro di Mariana Mazzuccato e Giulio Giorello –  sarà possibile vedere da vicino un’originale del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei.
Un’opera rivoluzionaria e fondamentale alla scienza moderna, che fece aprire gli occhi sull’Universo rendendolo “visibile” per tutti.
Un testo che svelò al mondo l’esistenza dei 4 satelliti di Giove, i crateri lunari, confermando la teoria eliocentrica avversa alla Chiesa Cattolica, che impose la sua messa all’indice, censurando uno dei saggi più importanti dell’astronomia di tutti i tempi.
Oggi a distanza di oltre 400 anni dalla sua pubblicazione, la copia originale del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei viene esposto al pubblico a Orvieto, dal 25 al 27 settembre 2015 presso la Biblioteca L. Fumi in occasione della Biennale dell’Eresia coordinata dal giornalista e intellettuale Michele Mezza.
Tra i massimi pensatori italiani di tutti i tempi, “eretico”, innovatore e visionario, Galileo Galilei sarà lume, insieme alla figura rivoluzionaria di Giordano Bruno, della Biennale dell’Eresia #ereticofuturo: un grande melting pot di idee e proposte che vede protagonisti gli “eretici contemporanei” e mira ad aprire uno squarcio nella pratica di eresia per creare una vera scuola di  innovazione  creativa che parli al mondo concreto…per tentare l’impossibile.
Perché, come disse un altro grande pensatore come Alan Turing, padre del moderno computer ed eretico dei suoi tempi: “L’innovazione cresce lungo l’incerta linea che separa, l’iniziativa dalla disubbidienza”.
Ufficio Stampa HF4
settembre 13, 2015

Intervista ai Nnebia, rock band finalista a Lanterne Rock, Premio Nazionale della canzone d’autore di Vische e del Canavese.

Gloria Berloso, Davide Giannotto,David Bonato e i Nnibia

Gloria Berloso, Davide Giannotto,David Bonato e i Nnibia

Si è chiusa  la terza edizione del Premio Nazionale della Canzone d’Autore di Vische e del Canavese all’interno del Lanterne Rock Festival a Vische (TO).

Premiati dalla giuria e dai Perturbazione (che si sono esibiti come ospiti speciali) ecco i nomi dei vincitori: Nico Maraja da Roma è giunto terzo classificato, secondo posto per Degian da Brescia mente il primo posto è stato assegnato al ferrarese Icio Caravita.

Caravita segue nel palmares le affermazione de Lastanzadigreta (2013) e Lorenzo Malvezzi (2014).

La manifestazione si è svolta con una buona affluenza di pubblico soprattutto per la rock band torinese dei Proclama (sabato 5 circa 2000 persone) e per la toccante esibizione acustica dei Perturbazione che hanno scaldato i presenti con una performance d’altissimo livello.

Da citare l’altissimo livello artistico dei partecipanti al Premio Nazionale della Canzone d’Autore di Vische e del Canavese giunti da tutta Italia, Sardegna compresa.  Oltre ai tre vincitori già segnalati si sono sfidati Andrea De Balsi (Caserta), Antonio Nola (Treviso), Chiara Lobina (Genova), Elisabetta Gagliardi (Alessandria), Pasquale Demis Posadinu (Sassari), Nnebia (Mantova).

La giuria era composta dalla giornalista musicale Gloria Berloso (Bravonline), dal produttore discografico Fabio Lionello (Tam Tam Production), dal dj radiofonico Marco Balma (Urban The Best), dal fotografo Sergio Cippo e dall’insegnate di lettere e scrittrice Maria Teresa Binello. Coordinamento affidato all’ufficio stampa del Festival David Bonato (davvero comunicazione/Vrec)

Il Festival Lanterne Rock ed il Premio Nazionale per la Canzone d’Autore di Vische e del Canavese è una manifestazione aperta a tutti gli autori, cantautori, solisti o gruppi musicali, con contratto discografico in essere o liberi da vincoli contrattuali. Il concorso ha lo scopo di valorizzare e promuovere artisti e progetti musicali innovativi e di qualità.

L’evento è stato patrocinato da: Regione Piemonte, Comune di Vische ed organizzato dall’Associazione Culturale Promozione Artistica Eventi ed è stato presentato dal bravissimo Flavio Piovano,

Dopo l’intervista al vincitore, Icio Caravita, pubblicata l’otto di settembre, qui sotto pubblico l’interessante intervista all’unico gruppo rock presentatosi quasi al completo sul palco: Nnebia. Cito anche una loro breve biografia come segue:

I Nnebia sono una band rock indipendente italiana nata a Mantova nel 2006. Attualmente la line up è formata da Davide Giannotto (voce e secondo chitarrista del gruppo), Nicola Caleffi (pianoforte, tastiere e synth), Francesco Salis (chitarra solista), Gabriele Grespan (basso), Elia Ziviani (batteria e percussioni).

Nel 2008 incidono un primo EP, mai ufficialmente pubblicato, che li porta ad aprire i concerti di Fratelli Calafuria, Ministri, Negrita, Cisco e Nomadi. Nel 2010 inizia un intensa attività live, che vede consacrate le qualità sceniche della band con l’esibizione all’Alcatraz durante la finale di Emergenza Festival (2011).

Nel 2012 la band inizia la produzione artistica ed esecutiva di diversi brani: “La parata del nulla”, documentario in musica, “Memorie made in Italy” cantata insieme al rapper Virgo, “Solo mezz’ora” con il quale si aggiudicano il primo premio nella 59ª edizione del festival di musica internazionale Gondola d’Oro, come nuove proposte (Gondola d’Argento).

I brani andranno a comporre il loro primo album, “Alto Tradimento” grazie al supporto tecnico, artistico e professionale dell’associazione culturale ContamiNazione da loro fondata.

L’INTERVISTA A CURA DI GLORIA BERLOSO REGISTRATA A VISCHE DA DAVIDE BONATO (DAVVERO COMUNICAZIONE) A:

DAVIDE GIANNOTTO portavoce e autore dei NNEBIA

Davide Giannotto (Nnebia)

Davide Giannotto (Nnebia)

G.B. 1) Che cos’è per te la musica?

D.G. La musica è un vettore di espressioni, esprime quello che abbiamo dentro, i nostri concetti. E una domanda difficile nel senso che è tante cose. Direi che principalmente è questo.

G.B. 2) Scrivere canzoni è in genere un’attività solitaria ma alle volte può essere necessario un team di supporto. C’è qualcuno che ti aiuta o ispira?

D.G. Parlo al plurale, che ci ispirano ci sono tantissimi artisti musicali ma anche artisti di altro tipo. Ci ispira il mondo che ci sta attorno e ci stimola però il team di supporto per me che sono l’autore magari dei testi e magari della canzone strutturata nei quattro accordi, è fondamentale nel senso che la band, il team che ha scelto, perché noi ci siamo scelti, è fondamentale perché non faremmo il risultato del nostro suono, dei nostri testi e di tutto il pezzo a 360°; di tutto il lavoro è frutto sicuramente del team.

G.B. 3) Fabrizio De André sosteneva che il lavoro del critico musicale è un’arte complessa che differenzia l’arte vera da quella falsa. Che ne pensi a tal proposito?

D.G. Il lavoro del critico musicale hai detto, la citazione non la conoscevo. Il lavoro del critico non è un lavoro semplice nel senso che dipende per chi lavora, credo io. Il critico alla Mollica, il critico che ti deve fare l’articolo per il giornale tende a parlare sempre bene e in maniera positiva, poi c’è la critica magari come c’è stata posta ieri, che è una critica volutamente costruttiva. Ecco, io mi auguro che il critico sia più vicino a quella che ci è stata fatta ieri nel senso che ci ponga le cose come stanno su una base, mi auguro io, di esperienza: ti critico perché ho il diploma di conservatorio, perché lavoro nel settore, perché sono una professoressa di italiano e ti faccio la puntualizzazione sull’italiano che è importante. Perciò l’arte vera da quella falsa, credo abbia anche una metafora all’interno di questa frase. È una domanda difficilissima… (G.B. Anche perché Fabrizio logicamente si metteva nei panni della critica che secondo me è un po’ sottovalutata dalla maggioranza degli artisti). D.G. Certo. Se i presupposti dell’arte e dell’artista sono puri al 100%, come noi proponiamo come team, come siamo e come pensiamo, io mi auguro che la critica sia a pari livello, sia pura.

G.B. 4) Il suono e la voce sono elementi essenziali per esprime al meglio quello che vogliamo e desideriamo comunicare ma devono essere veri. Negli ultimi anni in Italia, il linguaggio, elemento basilare ed importante, è stato usato contro la falsa comunicazione ed in formato di stereotipi, frasi fatte e banalità. Qual è il ruolo del cantautore oggi, esiste un nuovo linguaggio?

D.G. La cosa bella e brutta del linguaggio che è mutevole, credo io; mutevole nel senso come ogni cosa mutabile è soggetta a evoluzioni. Gli stessi stimoli che generano l’arte sono gli stimoli che vanno anche a modificare il linguaggio. Perciò si, secondo me si formano dei linguaggi quando neanche ce ne accorgiamo. Facciamo un esempio banalissimo: abbiamo fatto un’intervista in una radio piccola della nostra zona, perché avevamo fatto un pezzo con un rapper. Lui (radio-cronista) ha subito pensato che il pezzo l’avesse scritto il rapper dicendo “ormai il loro cantautorato è il rap”, in verità no perché il pezzo l’ho scritto io. Però ho voluto utilizzare quel tipo di linguaggio perché mi permetteva di sviluppare (prendila con le pinze) una poetica più di strada e parlando di concetti che non sono assolutamente di strada perché un concetto che parla di tematiche di ingegneria ambientale. Perciò ho deciso di adottare quel tipo di poetica e farla cantare a chi fosse in grado di cantare il rap perché non sarei in grado di cantarla come l’ha cantata Virgo ed era il linguaggio più giusto. Perciò il linguaggio è mutevole, muterà sempre. Il linguaggio dei cantautori che ammiro sarà un linguaggio che muterà sempre. Cito Brunori sas, cantautori stranieri, mi viene da pensare sempre ai classici, adesso mi trovo un attimo spiazzato al riguardo. Vedi Sas, ha fatto un cantautorato che può ricordare qualcuno ma è diverso magari da Rino Gaetano che appena lo ascolti dici: cazzo, questo è Rino Gaetano. No, è Brunori sas, che ha un suo linguaggio, una sua intenzione.

G.B. 5) Come vi definite?

D.G. Noi abbiamo deciso un linguaggio rock che avesse delle sfaccettature cantautorali. Il tipo di rock è molto vasto, in realtà è il rock a cui noi ci ispiriamo, c’è dentro di tutto, parte dal rock anni ’70 al rock più moderno perciò direi che è un rock con delle sfaccettature vintage ma anche moderne con un linguaggio spesso più cantautorale che più pop-rock. (GB. Rock anni ’70? A quali gruppi, americani, inglesi …) D.G. Tanti. La maggior parte sono i grandi classici. Si parte dalle radici, dal blues. Si arriva ai Led Zeppelin, ai Pink Floyd, Deep Purple e poi si arriva ai più moderni ma anche i cantautori perché è quello di cui siamo fatti. Il linguaggio italiano è fatto di questo.

Le canzoni presentate in concorso: Cattive abitudini, Rock and roll inferno, Tachicardia.

Autore: Gloria Berloso